Il martire è ‘parola di Dio’ alla Chiesa e all’uomo

Proseguono i Quaresimali incentrati sul triduo pasquale. Lunedì 20 marzo, nella Basilica di San Paterniano, il Vescovo si è soffermato, nell’introduzione, sul venerdì santo. “Fin da quando ha avuto inizio la tradizione di celebrare il triduo pasquale, il venerdì è stato sempre dedicato alla Passione e al mistero della Croce accompagnato dal digiuno. Soprattutto su ispirazione della chiesa di Gerusalemme, dal IV secolo, si è dato inizio al segno, folle e incomprensibile per la ragione umana, della adorazione della croce. Qual è l’esperienza umana di fondo? – ha proseguito il Vescovo – esiste il dolore, esiste il sacrificio di Abele, esistono i prepotenti, gli sconfitti. L’esperienza della vita ci dice che la croce, la malattia, sofferenza, dolori, umiliazioni riempiono di sé la storia di oggi e di sempre. Penso al sacrificio degli innocenti, ai genitori che hanno perso figli, che hanno avuto figli suicidi, ai bambini orfani nel mondo, alla povertà, alla disoccupazione, alla fame. La croce è diventata il luogo dove il Figlio dell’uomo incontra la miseria e lo scandalo del male che l’umanità comunque si trova a vivere, scandalo che Gesù assume su di sé fino in fondo diventando l’anello definitivo della lunga catena di martiri che appartengono alla stirpe di Abele. Nel tempo noi siamo la comunità che rende attuale il grido di dolore che si leva da tante parti del mondo, della storia e il venerdì santo è il segno annuale per eccellenza per affermare che il dolore del mondo c’è. Dopo la croce di Gesù di Nazareth – ha sottolineato il Vescovo – nessun dolore umano potrà mai restare anonimo”.

Nella lectio si è soffermato, innanzitutto, sul cantico del servo di Jahvè (Isaia 52,12-53,8). Per la prima volta nell’Antico Testamento si parla di un servo che, malgrado l’apparente fallimento, si fa carico delle colpe e dell’iniquità di altri. Su di lui, innocente, ricade il peccato della storia. “Con questo servo – ha messo in evidenza il Vescovo – può aprirsi la strada di un nuovo universalismo. Nei vangeli, infatti, Gesù è spesso identificato con questa figura misteriosa di servo sofferente e universale. A partire dal servo è stata elaborata anche la teologia della redenzione: tutti siamo gratuitamente salvati dal peccato che spesso domina su di noi”.

Nella lettera agli Ebrei (4,14-16; 5,7-8) si è soffermato sul tema del nuovo sacerdozio che nasce proprio dalla Croce. Tutti noi siamo sacerdoti nel Battesimo perché tutti, nella nostra vita, abbiamo qualcosa da offrire.

Riflettendo sul Vangelo di Marco (14,32-42) il Vescovo ha sottolineato come Dio si nasconde nelle vittime e mai nei carnefici. Le prime comunità avevano visto in Gesù di Nazareth il primo martire che dava senso a tutti i martiri della storia. Il Vescovo ha fatto poi accenno allo svelamento della Croce. “Il venerdì santo la Croce viene scoperta, le si toglie il velo per lasciare apparire il Crocifisso, l’amore inchiodato per ognuno di noi. Dal venerdì santo può nascere una spiritualità della Croce: Gesù non è salito sulla croce per darci un esempio di sofferenza, ma per amore”.

Il Vescovo ha concluso la lectio citando le parole del poeta cattolico Paul Clodel: “Il Figlio di Dio non è venuto a distruggere la sofferenza, ma a soffrire con noi. Non è venuto a distruggere la Croce, ma a distendervisi sopra”. “Gesù – ha sottolineato il Vescovo – non ha inventato la Croce, la novità che lui ha inventato è mettere sulla croce il germe dell’amore. In Gesù la croce è diventata la strada che porta alla vita”.

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