“Lasciate questo universo come avreste voluto trovarlo”

Pasqua VescovoQuesto universo messo, improvvisamente e completamente, a nostra disposizione ci dovrebbe indurre a ringraziare: per la perfezione dei meccanismi in atto, la loro bellezza, per il fatto che quella perfezione ci consente di vivere, per la gratuità con cui tutto questo è successo.

Ringraziare e custodire, certo: tenendo a mente che si “custodisce” qualcosa che non ci appartiene, che presto o tardi dovremo lasciare e siamo chiamati a lasciarlo con lo stesso tasso di bellezza, salute e perfezione con cui è stato dato in affidamento. Anzi, se i custodi nostri predecessori non sono stati abbastanza diligenti, siamo chiamati anche a riparare i danni che ereditiamo. Perché è questo che fanno i custodi: la normale manutenzione e la straordinaria amministrazione. Non importa chi quando ha causato o prodotto il danno, il bene è sotto la nostra tutela e lo stato in cui sarà quando lo riconsegneremo è di nostra responsabilità.
Lasciate questo universo come avreste voluto trovarlo, o meglio: come avreste dovuto trovarlo. Perché trovarlo in perfetto stato era nostro diritto, come è diritto di quelli ai quali passeremo la mano. Ecco che qui l’idea del dono, del creato, per forza si complica un po’.

Il creato a volte perde davvero la pazienza…

Pensate al dramma del cambiamento climatico, o dello spopolamento dei mari, o delle alluvioni. La madre terra non ce la può fare ad essere giusta con tutti, se non siamo onesti con i nostri fratelli. Gandhi ce l’aveva spiegato: ci sono risorse per i bisogni di tutti, ma non per l’avidità di chiunque.
Abbiamo trascurato i nostri doveri di custodi del creato, ci siamo comportati come figli egoisti e degeneri verso la nostra Madre Terra.
Ci siamo spinti troppo in avanti e adesso siamo, finalmente e giustamente, spaventati dal futuro e inorriditi da quel che abbiamo fatto. Ognuno di noi può e deve avere la pietà nel cuore. Con quella pietà, con quel senso di condivisione dobbiamo iniziare a guardare all’universo che ci circonda e a quanti insieme a noi lo abitano. Se riusciamo a farlo, come una terapia, una volta al giorno, mettendo insieme tante piccole azioni misericordiose, potremo sperare di guarirci dalla follia autodistruttiva che ci ha fatto credere che il denaro potesse e dovesse sostituirsi ad ogni diritto e ad ogni dovere. I legami che ci uniscono non sono frutto del denaro, ma sono resi possibili dalla vita che ci circonda.

Come scriveva il poeta Giorgio Caproni nei suoi bellissimi versi: “Chi per profitto vile / fulmina un pesce, un fiume, / non fatelo cavaliere/del lavoro. L’amore/finisce dove finisce l’erba / e l’acqua muore”.

quando ha causato o prodotto il danno, il bene è sotto la nostra tutela e lo stato in cui sarà quando lo riconsegneremo è di nostra responsabilità.

Lasciate questo universo come avreste voluto trovarlo, o meglio: come avreste dovuto trovarlo. Perché trovarlo in perfetto stato era nostro diritto, come è diritto di quelli ai quali passeremo la mano. Ecco che qui l’idea del dono, del creato, per forza si complica un po’.

Il creato a volte perde davvero la pazienza…

Pensate al dramma del cambiamento climatico, o dello spopolamento dei mari, o delle alluvioni. La madre terra non ce la può fare ad essere giusta con tutti, se non siamo onesti con i nostri fratelli. Gandhi ce l’aveva spiegato: ci sono risorse per i bisogni di tutti, ma non per l’avidità di chiunque.

Abbiamo trascurato i nostri doveri di custodi del creato, ci siamo comportati come figli egoisti e degeneri verso la nostra Madre Terra.

Ci siamo spinti troppo in avanti e adesso siamo, finalmente e giustamente, spaventati dal futuro e inorriditi da quel che abbiamo fatto.

Ognuno di noi può e deve avere la pietà nel cuore. Con quella pietà, con quel senso di condivisione dobbiamo iniziare a guardare all’universo che ci circonda e a quanti insieme a noi lo abitano. Se riusciamo a farlo, come una terapia, una volta al giorno, mettendo insieme tante piccole azioni misericordiose, potremo sperare di guarirci dalla follia autodistruttiva che ci ha fatto credere che il denaro potesse e dovesse sostituirsi ad ogni diritto e ad ogni dovere. I legami che ci uniscono non sono frutto del denaro, ma sono resi possibili dalla vita che ci circonda.

Come scriveva il poeta Giorgio Caproni nei suoi bellissimi versi: “Chi per profitto vile / fulmina un pesce, un fiume, / non fatelo cavaliere/del lavoro. L’amore/finisce dove finisce l’erba / e l’acqua muore”.