“Essere uniti non solo nella Chiesa ma sempre e ovunque”

Siamo giunti all’ultimo giorno del Campo Ecumenico. Se nei giorni scorsi – ha sottolineato don Francesco Pierpaoli – siamo entrati nella Casa e siamo stati invitati a rimanere, senza paura, davanti a ciò che siamo. Finalmente, oggi, l’invito è ad andare. A Maria è bastato un “sì” per partire e andare da Elisabetta e servire, a Francesco è bastato l’abbraccio di un lebbroso crocifisso per vivere nella gioia. Ci impegniamo – ha proseguito don Pierpaoli – a essere  costruttori e testimoni di unità. Per questo i giovani hanno scritto un decalogo di impegni e hanno detto, davanti a tutti e davanti al Signore in particolare, che sono pronti ad impegnarsi:
 – ad ascoltarsi l’un l’altro
– a conoscersi meglio
– a essere uniti non solo nella Chiesa ma sempre e ovunque
– a non essere egoisti mettendo la nostra Chiesa al primo posto 
– a preoccuparsi di chi è diverso perchè ci aiuta a crescere
– a socializzare di più rispettando la diversità
– ad essere aperti di mente per una migliore comunicazione
– a riconoscere che non siamo migliori di nessuno
– a riconoscere che la carità non ha orario
– a riconoscere che da soli possiamo fare molto poco, ma insieme possiamo fare tanto

Loreto è la casa degli inizi, Loreto segna sempre l’inzio di qualcosa di nuovo, sarà così sempre perchè qui l’impossibile si è fatto possibile. Loreto fa qualcosa di nuovo, qui, per ciascuno di questi giovani. Loreto ci invita, nella vita, nel dialogo, nel cammino ecumenico, a guardare avanti. e dove c’è un inizio c’è una vita che nasce. In questo campo, abbiamo avuto con noi anche la piccola Alice, una neonata. Questa piccola sta a testimoniarci che, fra 20 anni, sarà lei a prendere il nostro testimone e a dare un nuovo inizio. Siamo stati nella Casa di Maria qui a Loreto e quello che abbiamo visto ci mostra la sua vita semplice ed essenziale. La sua Casa ha resistito a 2000 anni di storia, ai terremoti, all’usura del tempo. Abbiamo toccato le pietre e, con loro, abbiamo ricordato il fondamento solido su cui sono poggiate”.
Don Francesco si è poi soffermato sulla casa che in questi giorni ha ospitato i ragazzi del Campo Ecumenico, il Centro Giovanni Paolo II voluto da San Giovanni Paolo II, il papa dei giovani, delle GMG. “I giovani vedono questa casa come il prolungamento delle pietre della Casa di Maria, è questa casa che desideriamo riparare oggi con questo Campo Ecumenico e i giovani ci dicono “Manteniamo questo progetto per il futuro”.

 

Audio della sesta giornata:

 

Il tema del quinto giorno del campo è dettato dal testo del Vangelo di Luca in cui il Signore designò altri 72 discepoli e li inviò, a due a due, davanti a sé. Siamo messaggeri, e in questo caso particolarissimo del nostro campo ma universale, di unità. Permettetemi di ricordare – ha sottolineato don Francesco Pierpaoli – che questo testo ha dato l’input, 10 anni fa, alla meravigliosa esperienza del campo ecumenico, un dono dello Spirito. Fu papa Benedetto XVI, a Montorso durante l’Agorà dei Giovani italiani, a chiamare 72 giovani rappresentanti di regioni, movimenti, associazioni e a consegnare loro la sacca del pellegrino invitandoli a essere messaggeri, annunciatori di quella gioia meravigliosa che sperimentammo in quella spianata. Due di questi 72 ragazzi erano due giovani inviati a Sibiu con un’icona di Maria, Madonna di Loreto, e una lettera per il patriarca con cui i due manifestavano questo desiderio di unità che avevamo nel cuore. Il centro stava vivendo la bellissima esperienza dell’Agorà del Mediterraneo. All’epoca ci accorgevamo che intorno al Mediterraneo i popoli erano di diverse culture, ma il Mediterraneo era una grande tavola imbandita in cui si partecipava tutti alla stessa mensa, quasi un segno profetico quello in cui oggi, purtroppo, il Mare Nostrum è diventato la tomba per tanti e la ricchezza per tanti altri, per pochi altri forse.

Essere messaggeri di unità
 Tra respingimenti, indifferenze, vogliamo ancora dire che siamo messaggeri di unità e, raccogliendo quell’idea di papa Benedetto XVI, i giovani hanno continuato a venire a Loreto e, in questi dieci anni, oltre mille giovani hanno vissuto la loro esperienza di unità. Padre Marco – ha proseguito don Pierpaoli – è riuscito con la sua semplicità ad ascoltare il cuore di questi giovani del campo ecumenico e a condividere con loro il suo cammino di fede. Ci ha esortato a ripartire con le valigie più piene, piene di che cosa? Sicuramente i vestiti pesano di più perché sono intrisi di sudore, ma in quel sudore c’è la vita, l’amicizia, la gioia di questi giorni. Siamo partiti da una domanda che il Crocifisso ci ha posto “Va’ e ripara la mia casa”. Il primo giorno ci siamo domandati “Maestro dove abiti? Dimmi quali sono i recapiti della gioia perché non voglio vivacchiare ma voglio vivere”. E tutti ci siamo messi davanti alla Casa, davanti alla vita per poterla ascoltare e per poter lasciarci guidare.

Il percorso di queste giornate insieme
Siamo entrati nella casa, quella del Centro Giovanni Paolo II di Loreto, quella stessa casa in cui Maria ha accolto il Verbo fatto Carne, una casa con tre pareti perché un lato è aperto all’uomo, a Dio, al mondo. Il terzo giorno siamo rientrati nell’intimità di questa casa accompagnati da Francesco e Maria e siamo arrivati alle pietre della casa di Nazareth. Nella veglia guidata dal Vescovo Dal Cin siamo entrati con Maria e Francesco, abbiamo incrociato gli occhi del Crocifisso che ci ha detto “Va’ e ripara la mia casa” e ognuno dei giovani ha risposto in una maniera del tutto personale. Sono convinto che quella casa si sia riempita di lacrime, ma anche di impegni e di responsabilità. Ieri (giovedì 19 luglio, ndr) siamo andati a Visso a incontrare le persone nelle zone colpite dal sisma, in particolare un detenuto che ci ha raccontato come dal buio di quella cella è riuscito a salvarsi grazie a chi, come il buon samaritano, si è chinato su di lui, sulle sue ferite, lo ha tirato fuori. E oggi (venerdì 20 giugno, ndr) l’invito ad andare, a preparare la via. E’ giunto il momento cari giovani, ha ripetuto padre Marco, di tornare con il grande desiderio di unità, di camminare verso la piena unità della Chiesa. 

 Alcuni passi concreti per camminare insieme
dobbiamo imparare ad andare a piedi appoggiandoci sulle cose essenziali, su quel bastone unico che viene dato a tutti noi, il bastone del pellegrino, della fede, perchè lungo il cammino della vita abbiamo bisogno di un punto fermo su cui appoggiarci che dà fondamento alla casa
– in questo cammino abbiamo bisogno di un amico. Non si può camminare da soli senza dipendere da nessuno. Non siamo isole. Non è possibile manifestare la fede se non “a due a due”. Dobbiamo imparare a camminare insieme e, ricordiamoci che in questo cammino non siamo mai soli, Gesù cammina al nostro fianco esortandoci a lasciare i luoghi comuni, le sicurezze per andare all’altra riva, permettendoci all’altro di condurci a quella novità che solo in due riconosciamo possibile. Guardiamo ciò che ci unisce.

Sinodo dei giovani
Il Sinodo è per tutti i giovani, anche per quelli agnostici, per quelli con la fede tiepida, per coloro che sono lontani dalla Chiesa, per gli atei. Ogni giovane in questo mondo a qualcosa da dire agli altri, agli adulti, ai sacerdoti, ai religiosi, ai vescovi, al Papa. Dobbiamo, quindi, vivere la vita non da riserve, ma da titolari entrando in campo quando l’allenatore, il Signore, ce lo chiede anche a partita iniziata. Padre Marco ha detto anche a noi adulti – ha concluso don Francesco – una cosa molto importante: se conta molto seminare nel cuore dei giovani questo amore che Dio ci ha fatto conoscere e che noi, in qualche modo, restituiamo con il nostro servizio di sacerdoti, educatori, è importante che educhiamo i giovani a coltivare ciò che abbiamo seminato. Non lasciamo i giovani nella solitudine, ma stiamo loro accanto, facendoli sentire amati.

 

Audio della quinta giornata:

 

“La giornata di giovedì 19 luglio ha come tema la carità. L’immagine biblica presa in esame è stata quella del buon samaritano, quest’uomo che si china, si curva, dà tempo, perde tempo perché nulla c’è di più importante che l’altro che incontra sulla sua strada. Questa mattina – spiega don Francesco Pierpaoli – padre Marco, nella sua catechesi, ha riportato le parole di Papa Francesco che invita i giovani a cambiare il divano e il letto con un paio di scarponi, scarponi che ci mettono in cammino, che ci aprono nuovi orizzonti, strade nuove. E qui la bellissima immagine biblica di Francesco che si china davanti al lebbroso, a colui che era fuori, scartato dalla comunità. Guardare la vita, la strada, le persone con occhi nuovi: è questo l’invito di oggi. La carità è il come riparare la casa perché ci fa vedere l’altro in un modo nuovo, in un modo diverso. Mi aiuterà a riconoscere nell’altro il fratello, nel mondo il mondo nuovo. Noi cristiani – prosegue don Francesco – possiamo guardarci con occhi nuovi, perché siamo stati guardati da Dio con occhi nuovi. Come è riuscito San Francesco a guardare con occhi nuovi il lebbroso? Perché è stato lui, per primo, guardato in modo nuovo, perché in quel lebbroso ha visto il lebbroso per eccellenza, Gesù, che ha preso la nostra lebbra, il nostro peccato per guarirlo. Ha visto nella lebbra di quel lebbroso la sua lebbra. Francesco ha intuito che i primi lebbrosi siamo noi. Allora, cosa ricostruisce la Casa, la famiglia, l’amicizia, il nostro cammino di unità? La carità, l’amore, i gesti concreti, quotidiani, quelli feriali. Padre Marco si è soffermato su una sua esperienza di missione al popolo, quando, una mattina in una periferia di Torino, alla porta di un palazzo aprì una signora che lo invitò ad entrare a casa sua e lo portò in cucina. Sul tavolo della cucina c’erano tantissime medicine. Lei, signora, prende tutte queste medicine – ha chiesto padre Marco. E la signora ha risposto: Se ci fosse solo una persona che come lei viene a chiedermi come sto potrei buttare via metà di queste medicine. Questa è la carità concreta, quella dei piccoli gesti. Dobbiamo andare incontro all’altro e dire che è possibile fare le cose insieme, pregare insieme. C’è uno scambio di doni ogni volta che ci incontriamo. Noi, davanti al lebbroso, sperimentiamo il suo cattivo odore, la sua sporcizia. Francesco ci insegna che dobbiamo portarci noi addosso l’odore del fratello perché solo così cammineremo insieme nell’unità. Oggi – prosegue don Francesco – questa catechesi ci ha aperto alla visita dei tanti paesi della nostra regione colpiti dal sisma. Queste case distrutte che abbiamo davanti agli occhi, in particolare le case di Visso, ci fanno sentire ancora una volta un appello, quello a ricostruire con la carità questa ferita perché, alla fine, le case potranno essere ricostruite, ma la vita di una persona, con le sue ferite, con le sue solitudini, non potrà essere ricostruita che dalla carità. In questa giornata ci siamo fermati per ascoltare il racconto di Antonella, un’imprenditrice che, la notte in cui c’è stato il terremoto, ha dormito in macchina e ha saputo dire “Devo rimanere qui a Visso, non posso fuggire, devo rimanere in questo posto dove sembra che non ci sia più speranza perché è in questo restare, in questo ‘sporcarmi le mani’, in questo dolore che io riesco a trovare la forza per ridare impulso alla mia vita. Una città come quella di Visso – ha sottolineato don Francesco – ci impegna in questo stare, in questa volontà di non fuggire dalle ferite che ci circondano. E allora guai a noi se davanti al povero, all’ultimo, all’immigrato ci chiudiamo altrimenti non cureremo mai quella ferita dell’individualismo che ci portiamo tutti dietro, quella lebbra drammatica che è chiuderci all’altro. Il Signore fa di tutti noi dei capolavori e, forse, a un certo punto anche noi stessi diventiamo guaritori feriti capaci, cioè, nelle nostre ferite di guarire le ferite degli altri. In questa bellissima esperienza che stiamo facendo a Visso, in questa città colpita dal terremoto ma dove tutto ci parla, al contrario, di vita anche se ancora sono in azione i camion dell’esercito che portano via tonnellate di macerie, i ragazzi del campo ecumenico sono queste pietre nuove, giovani, flessibili, per così dire, al terremoto, capaci di stare e di non arrendersi. Questa è una giornata di speranza grazie anche alle tante testimonianze di persone che, nonostante la ferita del terremoto, hanno ancora la speranza di non essere sole perché il Signore è la Resurrezione e la Vita”.

 

Audio della quarta giornata:

 

 
La terza giornata del Campo Ecumenico, mercoledì 18 luglio, ha come filo conduttore “Che cosa cercate?”. Sono le prime parole di Gesù ai discepoli nel Vangelo di Giovanni. E’ una domanda quella che Gesù pone ai giovani di questo campo ecumenico. E’ significativo – prosegue don Francesco Pierpaoli – che questa giornata coincida, per i giovani del campo, con la giornata di deserto cioè con un’esperienza in piccoli gruppi attraverso alcune tappe che li porterà a entrare più profondamente nella risposta a questa domanda. Hanno come apripista due grandi giovani che hanno cambiato la storia del mondo: Maria di Nazareth e Francesco d’Assisi. Nazareth e Assisi, due piccole periferie del mondo dalle quali due giovani sono stati capaci di rispondere a due grandi interrogativi. La cosa che ci ha stupito fin dall’inizio – ha messo in evidenza don Francesco – è stata proposta dal testo del profeta Osea “Quando Israele era fanciullo io l’ho amato, ma più lo chiamavo più si allontanava. Io insegnavo a camminare tenendolo per mano, li traevo con legami di bontà, con vincoli d’amore; ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia; mi chinavo su di lui per dargli da mangiare. Il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione”. I giovani, in questo giorno, hanno scoperto, per dirla con le parole pronunciate da San Giovanni Paolo II durante la Giornata Mondiale della Gioventù di Parigi nel 1997,  che si comincia con il cercare ma che, alla fine, ci si scopre cercati, amati. Questo cammino dei giovani, attraverso l’ascolto e il silenzio, li ha condotti al cuore della ricerca di Dio nei loro riguardi. La storia della salvezza è proprio questo, Dio che viene a cercare l’uomo, non l’uomo che si mette a cercare Dio. Dio scende a Nazareth, viene ad Assisi, incontra i giovani nelle loro situazioni là dove vivono. Questa giornata di cammino nel deserto del nostro tempo – ha sottolineato don Francesco –  attraverso il monastero delle Passioniste, il silenzio della natura, il museo della Prelatura di Loreto per incontrare il volto di Dio nella bellezza dell’arte li condurrà questa sera, alle ore 21.00, nella Santa Casa per la veglia di preghiera insieme all’Arcivescovo di Loreto Mons. Dal Cin. Vorremmo che anche i giovani, passando in quella Casa, possano, dopo aver vissuto il loro silenzio, rispondere come Maria “Eccomi. Si compia di me ciò che è detto”. I giovani amano il cambiamento che passa anche attraverso questi momenti di silenzio. Da tutto ciò capiamo che l’ecumenismo passa attraverso la nostra conversione personale perchè tutti siamo amati da Dio e tutti dobbiamo rispondere all’amore con l’amore”.

  

Audio della terza giornata:

 

La riflessione della giornata di martedì 17 luglio, al Campo Ecumenico. è stata incentrata sulla parabola del figlio prodigo o del padre misericordioso. 
“Ieri, lunedì 16 luglio – ha messo in evidenza don Francesco Pierpaoli – ci eravamo lasciati con Gesù che diceva “venite e vedrete” e oggi, martedì 17 luglio, vogliamo entrare nella casa, dentro la Chiesa. “Venite e vedrete” è quello che abbiamo fatto, ci ha detto padre Marco, venendo qui a Loreto per trascorrere una settimana insieme, per vedere il Signore, per vedere chi può dare un senso alle domande profonde. L’immagine che ci è stata offerta è quella del figlio minore che, a un certo punto della sua vita, si è allontanato dalla casa paterna e poi è voluto tornare, la famosa parabola del figlio prodigo o del padre misericordioso. La domanda che ci poniamo, alla fine di quel brano del Vangelo di Luca, è se ci siamo rivisti in quel figlio, se anche noi abbiamo visitato la casa e poi l’abbiamo abbandonata per cercare la felicità fidandoci più di un dio-denaro, di un dio-divertimento e non di un Dio che desse senso alla nostra esistenza. Non si vede la figura del figlio maggiore perché vorremmo, in qualche modo, che quel figlio maggiore fosse identificabile in ognuno di noi. “Che figlio sono?” ci domandiamo oggi. “Se tuo fratello se n’è andato di casa, se ha lasciato la Chiesa tu sei andato a cercarlo? Se il fratello che hai accanto sta avendo delle difficoltà e tu non lo vai a cercare, che cosa stai facendo?”. Alla fine, questo figlio, dopo aver sperperato tutto, torna a casa e trova un padre che lo accoglie a braccia aperte. Anche in famiglia, come nella Chiesa questo padre ci esorta a domandarci “Che rapporto ho con mia madre e con mio padre? Che rapporto ho con l’autorità della Chiesa?”. La prima Chiesa, non dimentichiamoci, è quella domestica, è la famiglia, nella famiglia cominciamo a vivere sperimentando le diversità. Padre Marco in questi giorni – ha proseguito don Francesco – ci ha esortato a vedere, nelle diversità di appartenere alla stessa famiglia, una grande ricchezza. Questi giorni, quindi, sono una prova che si può camminare insieme nella diversità e capire che amare fa rima con dare. Su facebook tante volte leggiamo “dammi l’amicizia”, Gesù non ci dà l’amicizia, Gesù ci dà la vita. Il dare la vita per, questo amore, è un linguaggio difficile, molto più grande delle nostre parole, di un “mi piace” su facebook. San Francesco ha vissuto un grande amore per i fratelli, ma si è sentito rifiutato perchè lo hanno abbandonato o. Lui non ha mai smesso di amare. Anche noi, sull’esempio di San Francesco, siamo invitati, nella nostra casa, nella nostra famiglia ma anche nella nostra Chiesa a stare nelle difficoltà, nelle ferite. Padre Marco ha terminato la riflessione con un racconto molto interessante: vengono regalati al re due giovani falchi i quali vengono affidati a un maestro falconiere per essere addestrati. Dopo un po’ di tempo il maestro falconiere torna dal re dicendo che solo uno dei falchi è riuscito a volare, l’altro non vola perchè è voluto rimanere sul ramo. Il re, allora, chiama tutti gli uomini al suo servizio e vuole che lo aiutino a farlo volare. Ad un certo punto qualcuno riesce a far volare il piccolo falco, un contadino che alla domanda del re per capire come sia riuscito in questa impresa, il contadino risponde che è stato semplicissimo, ha semplicemente tagliato il ramo. Talvolta Dio permette a qualcuno di tagliare il ramo su cui siamo attaccati perchè possiamo renderci conto che abbiamo delle ali per poter volare. Quello che il Signore ci chiede con il suo amore – ha concluso don Pierpaoli – anche faticoso è quello di tagliare il ramo perchè anche noi possiamo volare”. A seguire la testimonianza di Andrea, una ragazza di Oradea, la quale ha spinto i giovani a sentirsi amabili, Dio ci ama soprattutto riempiendoci del suo amore, spingendoci ad amare come Lui ci ha amato.

   

Audio della seconda giornata:

Circa 150 giovani di diverse confessioni religiose, da domenica 15 luglio al Centro Giovanni Paolo II di Montorso, stanno vivendo l’esperienza del Campo Ecumenico che quest’anno ha come tema “Va’ e ripara la mia casa. Costruttori e messaggeri di unità”.

Dopo la giornata di domenica dedicata in particolare all’incontro dei leaders per la formazione dei gruppi, la giornata di lunedì 16 luglio si è aperta, dopo la Celebrazione dell’Eucaristia secondo la tradizione Cattolica e consegna della Parola del giorno, con l’incontro dei Soul’s Animator e la formazione guidata da Padre Marco che in questa settimana accompagnerà i giovani nella riflessione. “Padre Marco – sottolinea don Francesco Pierpaoli uno degli ideatori del campo – parla di Loreto come ‘casa degli inizi’ perché proprio qui a Loreto la casa di Nazareth custodisce l’inizio. Loreto segna l’inizio di qualcosa di nuovo nella nostra vita, nel dialogo ecumenico. Ed è proprio questa l’esperienza che da dieci anni stiamo facendo e vorrei che veramente diventasse un nuovo inizio per tutti noi. Padre Marco, durante il suo momento di formazione, ha parlato di una “spiritualità della lumaca” fatta di tre piccole, ma grandi cose: la lumaca ha tanto tempo, lascia sempre un segno e si porta sempre con sé la sua casa. Questa casa, i giovani però la trovano distrutta e divisa non certo per colpa loro, come la nostra vita, come la vita dei giovani alcune volte. Come Francesco di Assisi si è sentito dire – prosegue don Pierpaoli – Va’ e ripara la mia casa e quella casa non si riparava con il cemento, ma guardandosi dentro, le nostre vite sono belle ma sono ferite, hanno delle crepe da cui, è vero, entra una luce, una luce nuova, la luce del Signore che noi vorremmo non rifiutare, una crepa che permette di far passare la luce. Quali sono le domande per i giovani di oggi: com’è la nostra casa, la casa delle relazioni? Se vogliamo ricostruire la casa – ha messo in evidenza don Pierpaoli – dobbiamo dare il nostro “sì”, dobbiamo metterci in gioco, uscire da noi stessi e capire a chi abbiamo dato le “chiavi” della nostra casa. Nella testimonianza che hanno offerto ai presenti i ragazzi del Punto Giovani di Senigallia, Mirko, Luca e Maria Giovanna, uno di loro ha detto: ‘Gesù non toglie spazio nella tua casa, ma rende viva la tua casa”. Padre Marco ci ha esortato a chiedere al padrone di casa dove abita la gioia? Come posso essere felice? Occorre una app ovvero le tre lettere, la A di amore, la P di preghiera e l’altra P di perdono. Padre Marco ci ha invitato, metaforicamente, a scaricare questa app. La gioia di essere uniti è indispensabile per dire “io credo”. Come possiamo credere se vediamo una Chiesa divisa, se vediamo i cristiani che i cristiani non si amano? Questi giorni i ragazzi si impegnano a cercare la casa abitata da Dio, quella dell’unità”.

E’ possibile seguire le giornate ecumeniche sulla pagina facebook Ecumenical Camp

    

Audio della prima giornata: