(testo della catechesi di Paolo VI) Noi ci siamo chiesti più volte quali siano i bisogni maggiori della Chiesa, noi che dalla meditata sapienza del Concilio abbiamo approfondito la conoscenza e la coscienza di questo fenomeno umano, polarizzato in Gesù Cristo, definito Popolo di Dio, suo Corpo mistico, di Cristo, in Lui… compaginato e articolato (Cfr. Eph. 4, 16), destinato a fare del genere umano una società di fratelli, dall’aspetto così luminoso da orientare gli uomini, come segno e strumento, al loro destino religioso (Lumen Gentium, 1); noi, che dall’esperienza del mondo moderno, gigante meraviglioso di scienza e di potenza, ma a tratti cieco e folle su ciò che più importa, l’amore e la vita; noi, che intravediamo designarsi nei secoli passati e aprirsi al secolo nuovo più chiara, più diritta, più impellente la vocazione santificatrice e missionaria di lei, la Chiesa, e che la sentiamo impegnata a collaborare nel superamento del dislivello sociale, quasi scala, non ostacolo, che ancora separa e contrappone fra loro gli uomini a causa della diversa e spesso ingiusta fruizione del regno della terra, mentre tutti sono invitati, e più lo sono i poveri, al godimento del regno dei cieli; noi, quale bisogno avvertiamo, primo e ultimo, per questa nostra Chiesa benedetta e diletta, quale?Lo dobbiamo dire, quasi trepidanti e preganti, perché è il suo mistero, e la sua vita, voi lo sapete: lo Spirito, lo Spirito Santo, animatore e santificatore della Chiesa, suo respiro divino, il vento delle sue vele, suo principio unificatore, sua sorgente interiore di luce e di forza, suo sostegno e suo consolatore, sua sorgente di carismi e di canti, sua pace e suo gaudio, suo pegno e preludio di vita beata ed eterna (Cfr. Lumen Gentium, 5).
La Chiesa ha bisogno della sua perenne Pentecoste; ha bisogno di fuoco nel cuore, di parola sulle labbra, di profezia nello sguardo.
La Chiesa ha bisogno d’essere tempio di Spirito Santo (Cfr. 1 Cor. 3, 16-17; 6, 19; 2 Cor. 6, 16), cioè di totale mondezza e di vita interiore; ha bisogno di risentire dentro di sé, nella muta vacuità di noi uomini moderni, tutti estroversi per l’incantesimo della vita esteriore, seducente, affascinante, corruttrice con lusinghe di falsa felicità, di risentire, diciamo, salire dal profondo della sua intima personalità, quasi un pianto, una poesia, una preghiera, un inno, la voce orante cioè dello Spirito, che, come c’insegna S. Paolo, a noi si sostituisce e prega in noi e per noi «con gemiti ineffabili», e che interpreta Lui il discorso che noi da soli non sapremmo rivolgere a Dio (Cfr. Rom. 8, 26-27).
Ha bisogno la Chiesa di riacquistare l’ansia, il gusto, la certezza della sua verità (Cfr. Io. 16, 13), e di ascoltare con inviolabile silenzio e con docile disponibilità la voce, anzi il colloquio parlante nell’assorbimento contemplativo dello Spirito; il Quale insegna «ogni verità» (Ibid.); e poi ha bisogno la Chiesa di sentir rifluire per tutte le sue umane facoltà l’onda dell’amore, di quell’amore che si chiama carità, e che appunto è diffusa nei nostri cuori proprio «dallo Spirito Santo che a noi è stato dato» (Rom. 5, 5); e quindi, tutta penetrata di fede, la Chiesa ha bisogno di sperimentare un nuovo stimolo di attivismo, l’espressione nelle opere di questa carità (Cfr. Gal. 5, 6), anzi la sua pressione, il suo zelo, la sua urgenza (2 Cor. 5, 14), la testimonianza, l’apostolato.
Uomini vivi, voi giovani, e voi anime consacrate, voi fratelli nel sacerdozio, ci ascoltate? Di questo ha bisogno la Chiesa. Ha bisogno dello Spirito Santo. Dello Spirito Santo in noi, in ciascuno di noi, e in noi tutti insieme, in noi-Chiesa.
Come mai si è affievolita questa pienezza interiore in tanti spiriti, che pur della Chiesa si dicono? come mai tante schiere di fedeli militanti nel nome e sotto la guida della Chiesa si sono impigrite e diradate? come mai molti si sono fatti apostoli della contestazione, della laicizzazione e della secolarizzazione, quasi pensando di dare più libero corso alle espressioni dello Spirito? o talvolta più fidando nello spirito del mondo, che in quello di Cristo? E ancora: come mai alcuni hanno allentato, anzi denunciato come catene moleste, i vincoli dell’obbedienza ecclesiale e della gelosa adesione alla comunione col ministero della Chiesa, per il pretesto di vivere secondo lo Spirito, affrancati dalle forme e dalle norme proprie delle istituzioni canoniche, di cui il corpo visibile della Chiesa pellegrina, storico ed umano, anche se mistico, deve essere compaginato? Sarebbe forse il ricorso allo Spirito Santo ed ai suoi carismi un pretesto, non forse troppo sincero, per vivere, o per credere di vivere, la religione cristiana in modo autentico, mentre chi di tale pretesto si serve, vive secondo il proprio spirito, il proprio libero esame, la propria arbitraria e spesso effimera interpretazione?
Oh! se cotesto fosse vero Spirito, non saremo noi certamente ad estinguerlo! (Thess. 5, 19) Ben sappiamo che «lo Spirito soffia dove vuole» (Io. 3, 8); e sappiamo che la Chiesa, se è esigente verso i veri fedeli per le sue stabilite osservanze, e se spesso ella si mostra cauta e diffidente verso le possibili illusioni spirituali di chi prospetta fenomeni singolari, ella è e vuol essere estremamente rispettosa delle esperienze soprannaturali concesse ad alcune anime, o dei fatti prodigiosi, che talvolta Iddio si degna miracolosamente inserire nella trama delle naturali vicende.
Ma vogliamo ancora una volta valerci dell’autorità della tradizione,espressa, com’è noto, da S. Agostino, il quale ci ricorda che«nulla deve più temere il cristiano quanto il separarsi dal corpo di Cristo. Se infatti si separa dal corpo di Cristo, non è più membro di Lui; e se non membro di Lui, non è nutrito dallo Spirito di Lui (In Ev. Io. 27, 6; PL 35, 1618) «non vive dello Spirito di Cristo, se non il corpo di Cristo» (Ibid. 26, 13). Perché l’umile e fedele adesione alla Chiesa non solo non ci priva dello Spirito Santo, ma ci mette piuttosto nella migliore e sotto un certo aspetto nell’indispensabile condizione per godere personalmente e collettivamente della sua vivificante circolazione. La quale ciascuno di noi può mettere in attività. Primo con l’invocazione. Dobbiamo avere come prima «devozione» quella allo Spirito Santo (e quella alla Madonna ad essa ci porta, come a Cristo ci porta!). Secondo con il culto dello stato di grazia, si sa. E terzo con la vita tutta penetrata ed al servizio della Carità, che altro non è se non l’effusione dello Spirito Santo. Ecco: di Lui, soprattutto, ha oggi bisogno la Chiesa!
Dite dunque e sempre tutti a Lui: vieni! con la nostra Apostolica Benedizione.