La riflessione del Vescovo Armando in occasione della Festa di San Giuseppe

“San Giuseppe è grandissimo nella sua rispettosa delicatezza”

Patris Corde (con cuore di padre). Un concetto di paternità piuttosto sorprendente, legato alla tenerezza e allo stare in seconda linea, ma capace di un protagonismo straordinario, eroico, e al tempo stesso una bussola per orientarci nella palude della scomparsa del padre.

 Nelle nostre società, ha affermato il Papa, i figli sembrano spesso orfani di padre…

Sì, siamo disorientati. Non abbiamo più un’idea chiara sulla paternità, sul come esercitare il ruolo di padre. Prima della crisi della paternità il padre era una figura autoritaria, “eroica”, legata ad un concetto di mascolinità talvolta “ingombrante”; un archetipo spazzato via dal ’68. Ed oggi il Pontefice risponde a questo vuoto offrendo un modello controcorrente: nella società dell’apparire propone un modello fatto di nascondimento, accoglienza, sostegno, incoraggiamento e tenerezza. Non forza esibita, muscolare, ma la categoria – inedita e quasi sconosciuta alla società di oggi, ma molto cara al Papa – della tenerezza.

Sì, ma è una tenerezza che si sposa con una profonda forza interiore. Del resto, per il Papa, solo chi è realmente forte sa essere veramente tenero…

Certo. La vera forza non ha bisogno di autoritarismo, sa essere al tempo stesso tenera e autorevole.

Con questa lettera il Papa ci offre la bussola che abbiamo perduto con la disgregazione del modello di paternità. Una bussola per orientarci nella palude in cui siamo impantanati da più di cinquant’anni, attraverso il paradigma costituito da un mix straordinario di forza e tenerezza.

Dopo aver ascoltato in sogno la voce degli angeli, per quattro volte San Giuseppe obbedisce con immediatezza e senza tentennamenti ai loro ordini…

Dopo la nascita di Gesù, per tre volte si alza nella notte, prende il bambino e sua madre e partono. Giuseppe è il capofamiglia e Maria si fida dello sposo: è lui a decidere e lei ne riconosce l’autorità. Un’autorità non impositiva o prevaricatrice, bensì ispirata ad una tenerezza che è riflesso della tenerezza di Dio. Come è noto, il Santo Padre tiene sulla scrivania una statuina di San Giuseppe dormiente, sotto la quale mette dei foglietti con preghiere e richieste.

Dormiente, a dimostrare che la forza di san Giuseppe non sta in se stesso ma deriva dalla capacità di ascoltare un’altra forza e un’altra autorevolezza: quella di Dio Padre.

 Padri non si nasce, lo si diventa, spiega ancora il Papa… Si diventa padre e madre quando si comincia ad avere la responsabilità di qualcuno da educare e, come spiega il Papa, da “introdurre all’esperienza della vita”, per renderlo capace di scelte, di libertà e anche di “partenze”.

 Paradossalmente, anche se oggi la nascita del primo figlio è rinviata molto in avanti negli anni – per le donne l’età media è 34 anni, per gli uomini anche più tardi – la transizione dei giovani adulti al ruolo genitoriale rimane faticosa.

Il Papa lancia un’altra provocazione dicendo che il mondo ha bisogno di padri, non di padroni…

Perché l’amore autentico è legato alla capacità di donarsi, non alla smania di possesso; la sua è una logica di libertà. La figura del padre “padrone” apparteneva all’archetipo pre’68; la paternità di San Giuseppe rinvia invece ad una paternità altra e alta: la paternità di Dio che ama ma lascia liberi.

Tuttavia, oltre che di padre, San Giuseppe è anche un potente modello maschile per la società di oggi: non cerca i riflettori, non ha bisogno di salire sul palcoscenico ma è grandissimo nella sua operosità silenziosa e nella sua rispettosa delicatezza verso Maria. E’ questo il miglior antidoto al maschilismo e al narcisismo diffuso di chi tenta di prevaricare la donna per auto affermarsi.

A proposito di Maria si dice che dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna.

(tratto da Tonino Cantelmi)

Certo per un credente il richiamo all’umile falegname di Nazareth, luminosamente tratteggiato nei Vangeli di Matteo e Luca, assume un significato speciale. L’esistenza oscura di quest’uomo ordinario colpito da una verità trascendente, pronto a mettere da parte la propria umana incertezza per ascoltare in sogno la voce degli angeli ubbidendo senza indugio ai loro comandi, rappresenta la radice stessa della fede, l’adesione non semplicemente legalistica a una chiamata superiore come ci ricorda il papa, il suo Fiat, di pari potenza rispetto a quello di Maria, è ben più che un reclinare il capo al cospetto di un evento incomprensibile come la gravidanza della promessa sposa.

Molte delle intuizioni presenti nel testo reso pubblico nella giornata dell’Immacolata, elaborate a partire dalla figura di san Giuseppe, possono costituire anche un breviario della vita giusta  e felice: l’elogio delle seconde linee, il valore intrinseco del nascondimento rispetto alle luci fosforescenti della ribalta, la profonda dignità del lavoro come modo di partecipazione al ritmo comunitario, il dono prezioso del servizio che non chiede riscontro, simile a quello che stanno prestando in questi mesi medici e infermieri, il senso profondo che siamo chiamati ad attribuire all’accoglienza dei migranti.

Pensiamo all’indicazione del ‘coraggio creativo’ quale molla propulsiva della Santa Famiglia per risolvere tutti i problemi concreti del sofferto esilio egiziano: dove trovare da mangiare, dove andare a dormire, come fare a sopravvivere con un bambino piccolo. La stessa richiesta d’iniziativa originale spinge i poveri contemporanei a inventarsi un sistema per sbarcare il lunario.

Ma è forse nel settimo punto della lettera, intitolato ‘Padre nell’ombra’, che personalmente ho trovato maggiore ispirazione. Con questa immagine il Papa definisce la figura di San Giuseppe che nei confronti di Gesù è l’ombra del Padre Celeste sulla terra, lo custodisce, lo protegge, non si stacca mai da lui per seguire i suoi passi perché padri non si nasce, lo si diventa, non solo mettendo al mondo un figlio, ma tutte le volte che si assume la responsabilità della vita di altri

“Tutte le volte che qualcuno si assume la responsabilità della vita di un altro, in un certo senso esercita la paternità nei suoi confronti”: questa affermazione vertiginosa, presente nel documento vaticano, oltre a rinnovare gli insegnamenti della tradizione, ci esorta a prendere posizione, aiutandoci a capire che il padre deve accettare la libertà del figlio, fino al punto di affrontare a testa alta la propria ‘inutilità’. Così avrà svolto il suo compito, sfuggendo alla tristezza e alla frustrazione. Ciò vale per ogni altra attività umana: bisogna passare dall’idea del ‘sacrificio di sé’ al ‘dono di sé’. Che non significa dimenticare chi siamo, bensì, al contrario, legittimare la nostra vera presenza in questo mondo. I figli non dovrebbero essere soltanto di chi li ha generati. Dovremmo imparalo tutti noi.