Discorso integrale del Papa in visita a Napolitano

napolitano.jpgSignor Presidente, è con vero piacere che varco nuovamente la soglia di questo palazzo, dove sono stato accolto per la prima volta a poche settimane dall’inizio del mio ministero di Vescovo di Roma e di Pastore della Chiesa universale. Entro in questa Sua residenza ufficiale, Signor Presidente, simbolica casa di tutti gli italiani, con memore gratitudine per la cortese visita che Ella ha voluto rendermi nel novembre 2006… in Vaticano, subito dopo la Sua elezione alla Suprema Magistratura della Repubblica Italiana. L’odierna circostanza mi è propizia per rinnovarLe i sentimenti della mia riconoscenza anche per il non dimenticato, e quanto mai gradito, dono del concerto musicale di alto valore artistico, che Ella ha voluto offrirmi il 24 aprile scorso. E’ pertanto con viva gratitudine che porgo a Lei, Signor Presidente, alla Sua gentile consorte e a tutti coloro che sono qui convenuti il mio deferente e cordiale saluto. Questo mio saluto è diretto in modo speciale alle distinte Autorità preposte alla guida dello Stato italiano, alle illustri Personalità qui presenti, e si estende all’intero Popolo d’Italia, a me molto caro, erede di una secolare tradizione di civiltà e di valori cristiani.

Questa mia visita, la visita del Romano Pontefice al Quirinale, non è solo un atto che si inserisce nel contesto delle molteplici relazioni fra la Santa Sede e l’Italia, ma assume, potremmo dire, un valore ben più profondo e simbolico. Qui, infatti, vari miei Predecessori vissero e da qui governarono la Chiesa universale per oltre due secoli, sperimentando anche prove e persecuzioni, come fu per i Pontefici Pio VI e Pio VII, entrambi strappati con violenza alla loro sede episcopale e trascinati in esilio. Il Quirinale, che nel corso dei secoli è stato testimone di tante liete e di alcune tristi pagine di storia del Papato, conserva molti segni della promozione dell’arte e della cultura da parte dei Sommi Pontefici.

In un certo momento della storia questo palazzo diventò quasi un segno di contraddizione, quando, da una parte, l’Italia anelava a comporsi in uno Stato unitario e, dall’altra, la Santa Sede era preoccupata di conservare la propria indipendenza a garanzia della propria missione universale. Un contrasto durato alcuni decenni, che fu causa di sofferenza per coloro che sinceramente amavano e la Patria e la Chiesa. Mi riferisco alla complessa “questione romana”, composta in modo definitivo e irrevocabile da parte della Santa Sede con la firma dei Patti Lateranensi, l’11 febbraio del 1929. Sul finire del 1939, a dieci anni dal Trattato Lateranense, avvenne la prima visita compiuta da un Pontefice al Quirinale dopo il 1870. In quella circostanza, il mio venerato Predecessore, il Servo di Dio Pio XII, del quale ricordiamo in questo mese il 50° della morte, così ebbe ad esprimersi con immagini quasi poetiche: “Il Vaticano e il Quirinale, che il Tevere divide, sono riuniti dal vincolo della pace coi ricordi della religione dei padri e degli avi. Le onde tiberine hanno travolto e sepolto nei gorghi del Tirreno i torbidi flutti del passato e fatto rifiorire le sue sponde dei rami d’olivo” (Discorso del 28 dicembre 1939).

Davvero si può oggi affermare con soddisfazione che nella città di Roma convivono pacificamente e collaborano fruttuosamente lo Stato Italiano e la Sede Apostolica. Anche questa mia visita sta a confermare che il Quirinale e il Vaticano non sono colli che si ignorano o si fronteggiano astiosamente; sono piuttosto luoghi che simboleggiano il vicendevole rispetto della sovranità dello Stato e della Chiesa, pronti a cooperare insieme per promuovere e servire il bene integrale della persona umana e il pacifico svolgimento della convivenza sociale. E’ questa – mi piace ribadirlo – una positiva realtà verificabile quasi quotidianamente a diversi livelli, e alla quale anche altri Stati possono guardare per trarne utili insegnamenti.

Signor Presidente, l’odierna mia visita ha luogo nel giorno in cui l’Italia celebra con grande solennità il suo speciale Protettore, San Francesco d’Assisi. Fra l’altro, proprio a San Francesco Pio XI fece riferimento nell’annunciare la firma dei Patti Lateranensi e soprattutto la costituzione dello Stato della Città del Vaticano: per quel Pontefice la nuova realtà sovrana era, come per il Poverello, “quel tanto di corpo che bastava per tenersi unita l’anima” (Discorso dell’11 febbraio 1929). Insieme a Santa Caterina da Siena, San Francesco fu proposto dai Vescovi italiani e confermato dal Servo di Dio Pio XII come celeste Patrono d’Italia (cfr Litt. ap. Licet commissa del 18 giugno 1939; AAS XXXI [1939], 256-257). Alla protezione di questo grande santo ed illustre italiano Papa Pacelli volle affidare le sorti dell’Italia, in un momento in cui minacce di guerra si addensavano sull’Europa, coinvolgendo drammaticamente anche il vostro “bel Paese”.

La scelta di San Francesco come Patrono d’Italia trae, pertanto, le sue ragioni dalla profonda corrispondenza fra la personalità e l’azione del Poverello d’Assisi e la nobile Nazione italiana. Come ebbe a ricordare il Servo di Dio Giovanni Paolo II nella sua visita al Quirinale, compiuta in questo stesso giorno del 1985, “difficilmente si potrebbe trovare un’altra figura che incarni in sé in modo altrettanto ricco e armonioso le caratteristiche proprie del genio italico”. “In un tempo in cui l’affermarsi dei liberi Comuni andava suscitando fermenti di rinnovamento sociale, economico e politico, che sommuovevano dalle fondamenta il vecchio mondo feudale, – continuava Papa Wojtyła – Francesco seppe elevarsi tra le fazioni in lotta, predicando il Vangelo della pace e dell’amore, in piena fedeltà alla Chiesa di cui si sentiva figlio, e in totale adesione al popolo, di cui si riconosceva parte” (Discorso del 4 ottobre 1985).

In questo Santo, la cui figura attrae credenti e non credenti, possiamo scorgere l’immagine di quella che è la perenne missione della Chiesa, pure nel suo rapporto con la società civile. La Chiesa, nell’epoca attuale di profonde e spesso sofferte mutazioni, continua a proporre a tutti il messaggio di salvezza del Vangelo e si impegna a contribuire all’edificazione di una società fondata sulla verità e la libertà, sul rispetto della vita e della dignità umana, sulla giustizia e sulla solidarietà sociale. Dunque, come ho ricordato in altre circostanze, “la Chiesa non si propone mire di potere, né pretende privilegi o aspira a posizioni di vantaggio economico e sociale. Suo solo scopo è servire l’uomo, ispirandosi, come norma suprema di condotta, alle parole e all’esempio di Gesù Cristo che «passò beneficando e risanando tutti» (At 10,38)” (Discorso del 4 ottobre 2007).

Per portare a compimento questa sua missione, la Chiesa ovunque e sempre deve poter godere del diritto di libertà religiosa, considerato in tutta la sua ampiezza. All’Assemblea delle Nazioni Unite, in quest’anno che commemora il 60° della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, ho voluto ribadire che “non si può limitare la piena garanzia della libertà religiosa al libero esercizio del culto; al contrario, deve esser tenuta in giusta considerazione la dimensione pubblica della religione e quindi la possibilità dei credenti di fare la loro parte nella costruzione dell’ordine sociale” (Discorso del 18 aprile 2008). Questo contributo all’edificazione della società la Chiesa lo offre in maniera pluriforme, essendo un corpo con molte membra, una realtà al tempo stesso spirituale e visibile, nella quale i membri hanno vocazioni, compiti e ruoli diversificati. Particolare responsabilità essa avverte nei confronti delle nuove generazioni: con urgenza, infatti, emerge oggi il problema dell’educazione, chiave indispensabile per consentire l’accesso ad un futuro ispirato ai perenni valori dell’umanesimo cristiano. La formazione dei giovani è, pertanto, impresa nella quale anche la Chiesa si sente coinvolta, insieme con la famiglia e la scuola. Essa infatti è ben consapevole dell’importanza che l’educazione riveste nell’apprendimento della libertà autentica, presupposto necessario per un positivo servizio al bene comune. Solo un serio impegno educativo permetterà di costruire una società solidale, realmente animata dal senso della legalità.

Signor Presidente, mi piace qui rinnovare l’auspicio che le comunità cristiane e le molteplici realtà ecclesiali italiane sappiano formare le persone, in modo speciale i giovani, anche come cittadini responsabili ed impegnati nella vita civile. Sono certo che i Pastori e i fedeli continueranno a dare il loro importante contributo per costruire, anche in questi momenti di incertezza economica e sociale, il bene comune del Paese, come pure dell’Europa e dell’intera famiglia umana, prestando particolare attenzione verso i poveri e gli emarginati, i giovani in cerca di occupazione e chi è senza lavoro, le famiglie e gli anziani che con fatica e impegno hanno costruito il nostro presente e meritano per questo la gratitudine di tutti. Mi auguro altresì che l’apporto della Comunità cattolica venga da tutti accolto con lo stesso spirito di disponibilità con il quale viene offerto. Non vi è ragione di temere una prevaricazione ai danni della libertà da parte della Chiesa e dei suoi membri, i quali peraltro si attendono che venga loro riconosciuta la libertà di non tradire la propria coscienza illuminata dal Vangelo. Ciò sarà ancor più agevole se mai verrà dimenticato che tutte le componenti della società devono impegnarsi, con rispetto reciproco, a conseguire nella comunità quel vero bene dell’uomo di cui i cuori e le menti della gente italiana, nutriti da venti secoli di cultura impregnata di Cristianesimo, sono ben consapevoli.

Signor Presidente, da questo luogo così significativo, voglio rinnovare l’espressione del mio affetto, anzi della mia predilezione per questa amata Nazione. Per Lei e per tutti gli italiani e le italiane assicuro la mia preghiera, invocando la materna protezione di Maria, venerata con tanta devozione in ogni angolo della Penisola e delle Isole, dal nord al sud, come ho modo di costatare anche in occasione delle mie visite pastorali. Nel congedarmi, faccio mia l’esortazione che con accenti poetici il Beato Giovanni XXIII, pellegrino ad Assisi alla vigilia del Concilio Vaticano II, indirizzò all’Italia: “Tu, Italia diletta, alle cui sponde venne a fermarsi la barca di Pietro – e per questo motivo, primieramente, da tutti i lidi vengono a te, che sai accoglierle con sommo rispetto e amore, le genti tutte dell’universo – possa tu custodire il testamento sacro, che ti impegna in faccia al cielo e alla terra” (Discorso del 4 ottobre 1962).

Iddio protegga e benedica l’Italia e tutti i suoi abitanti!

Commento di Della Torre all’incontro del Papa con Napolitano 

I due colli del Quirinale e del Vaticano non soltanto si guardano con amicizia ma esprimono, nei simboli e nei fatti, una collaborazione crescente, a favore del bene di tutti e della dignità di ogni persona umana”. E’ quanto si legge nell’edizione odierna de “L’Osservatore Romano” a proposito dell’incontro di ieri mattina al Quirinale tra Benedetto XVI e il presidente della Repubblica Italiana…, Giorgio Napolitano. Molti i temi al centro del colloquio, in particolare la questione della libertà religiosa e il riconoscimento della dimensione pubblica del fatto religioso. Ecco in proposito il commento del prof. Giuseppe Dalla Torre, giurista e rettore della LUMSA.

R. – E’ importante il richiamo alla libertà religiosa, non solo perché fuori d’Italia – lo stiamo vedendo anche oggi – spesso viene violata e pertanto anche il nostro Paese ha il compito di far rispettare i diritti umani a livello mondiale; ma anche perché spesso si insinuano nella cultura corrente delle concezioni o delle visioni “strane” della libertà religiosa. Si pensa, per esempio, alla religione come ad un fatto meramente privato e personale, mentre la libertà religiosa, in quanto diritto collettivo e anche come diritto istituzionale, ha inevitabilmente una dimensione pubblica.
D. – Tra l’altro, il Papa ha detto che non si può limitare la piena garanzia della libertà religiosa al libero esercizio del culto. Questo è quello che avviene in molti Paesi del mondo..
R. – Libertà religiosa significa immunità da coercizioni esterne in materia religiosa e quindi la libertà di poter vivere secondo la propria dimensione di fede. Faccio riferimento per esempio al fatto che nel cristianesimo il precetto della carità è un precetto che appare fondamentale. Se si riservasse ai cristiani la mera libertà di culto, impedendo loro di poter animare la società cristianamente attraverso opere sociali, attività di assistenza, istruzione, cultura e quant’altro, evidentemente questo potrebbe essere una lesione anche grave del diritto di libertà religiosa.
D. – E’ emerso in maniera abbastanza chiara dal discorso del Papa e del presidente della Repubblica che Stato e Chiesa sono pronti a cooperare insieme per promuovere e servire il bene integrale della persona umana. C’è un’alleanza per il bene comune…
R. – Si supera una vecchia concezione dei rapporti tra Stato e Chiesa di tipo istituzionale o di vertice nell’interesse dello Stato e nel pur legittimo interesse della Chiesa. Si pone così al centro dell’attenzione l’uomo, la persona. Lo Stato e la Chiesa sono tutti e due, seppur a titolo diverso – dice il Vaticano II nella “Gaudium et Spes” – a servizio della persona. E quindi è evidente che questo servizio sarà da ciascuno reso nell’ambito della propria competenza, quanto più vi sarà tra di loro una collaborazione, non un contrasto o anche una semplice ignoranza reciproca.

Poco dopo le 11 di sabato 4 ottobre il presidente della Repubblica italiana ha ricevuto al Quirinale un Pontefice. Benedetto XVI è stato accolto nel palazzo presidenziale – antica residenza dei Papi – da Giorgio Napolitano, che era stato in udienza in Vaticano il 20 novembre 2006 (parte del discorso del Papa)…,La Chiesa non farà mai mancare il sostegno al bene comune dell’Italia, ma si aspetta anche rispetto per la sua azione pastorale, senza per questo chiedere privilegi né ledere la libertà di alcuno. Con questi pensieri, Benedetto XVI ha concluso il suo intervento di questa mattina al Quirinale, nel corso della visita al presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano. Il Papa ha ribadito l’importanza della collaborazione tra Santa Sede e Stato, nel riconoscimento delle reciproche “sovranità”. “Simbolica casa di tutti gli italiani” e, in un’epoca nemmeno troppo lontana, sede di “tante liete e di alcuni tristi pagine di storia del Papato”. Nel varcare per la seconda volta la soglia del Quirinale – la prima era stata nel 2005, accolto da Carlo Azeglio Ciampi – Benedetto XVI ha fatto correre il pensiero ai decenni della cosiddetta “questione romana”, ovvero a quando, tra il 1870 e il 1929, l’antico palazzo dei Papi “diventò – ha osservato – quasi un segno di contraddizione” tra l’Italia, che “anelava a comporsi in uno Stato unitario”, e la Santa Sede “preoccupata di conservare la propria indipendenza a garanzia della propria missione universale”. Un excursus storico che ha permesso al Papa di porre subito in risalto, all’inizio del suo intervento e una volta di più, come nella città di Roma convivano “pacificamente” e collaborino “fruttuosamente lo Stato Italiano e la Sede Apostolica”:
“Anche questa mia visita sta a confermare che il Quirinale e il Vaticano non sono colli che si ignorano o si fronteggiano astiosamente; sono piuttosto luoghi che simboleggiano il vicendevole rispetto della sovranità dello Stato e della Chiesa, pronti a cooperare insieme per promuovere e servire il bene integrale della persona umana e il pacifico svolgimento della convivenza sociale”.
Accompagnato, fra gli altri, dal cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, e dal cardinale vicario, Agostino Vallini, Benedetto XVI aveva fatto il suo ingresso al Quirinale verso le 11, seguendo un percorso e un protocollo suggestivi in una Roma passata, in pochi minuti, da sole a grandine a nuove nubi. Scortato dai Corazzieri in motocicletta del Quirinale fino a Piazza Venezia – dove a porgergli il saluto è stato il sindaco di Roma, Gianni Alemanno – di lì il corteo papale ha proseguito verso il Quirinale affiancato da uno squadrone di Corazzieri a cavallo, mentre sul Torrino del palazzo presidenziale la bandiera vaticana sventolava accanto al tricolore italiano. Dopo gli onori militari e il saluto alle autorità istituzionali radunate del Salone degli Arazzi, il presidente Napolitano e il Pontefice si sono trattenuti a colloquio in privato per oltre mezz’ora nello Studio della Vetrata. Successivamente, salutati i presidenti emeriti, è stata la volta dei discorsi ufficiali nel Salone delle Feste.
Prendendo spunto da San Francesco, del quale si celebra oggi la festa, Benedetto XVI ha notato che in questa figura che “attrae credenti e non credenti, possiamo scorgere l’immagine di quella che è la perenne missione della Chiesa, pure nel suo rapporto con la società civile. La Chiesa, nell’epoca attuale di profonde e spesso sofferte mutazioni – ha proseguito – continua a proporre a tutti il messaggio di salvezza del Vangelo e si impegna a contribuire all’edificazione di una società fondata sulla verità e la libertà, sul rispetto della vita e della dignità umana, sulla giustizia e sulla solidarietà sociale”. E dunque, ha affermato:
“Per portare a compimento questa sua missione, la Chiesa ovunque e sempre deve poter godere del diritto di libertà religiosa, considerato in tutta la sua ampiezza. All’Assemblea delle Nazioni Unite, in quest’anno che commemora il 60.mo della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, ho voluto ribadire che ‘non si può limitare la piena garanzia della libertà religiosa al libero esercizio del culto; al contrario, deve esser tenuta in giusta considerazione la dimensione pubblica della religione e quindi la possibilità dei credenti di fare la loro parte nella costruzione dell’ordine sociale'”.
Per far questo, tuttavia, “la Chiesa non si propone mire di potere, né pretende privilegi o aspira a posizioni di vantaggio economico e sociale”, ha ripetuto Benedetto XVI con le stesse parole pronunciate lo scorso anno, toccando uno dei punti più delicati del rapporto tra cattolici e società civile:
“Non vi è ragione di temere una prevaricazione ai danni della libertà da parte della Chiesa e dei suoi membri, i quali peraltro si attendono che venga loro riconosciuta la libertà di non tradire la propria coscienza illuminata dal Vangelo”.
Da parte della Chiesa, ha assicurato il Papa:
“I Pastori e i fedeli continueranno a dare il loro importante contributo per costruire, anche in questi momenti di incertezza economica e sociale, il bene comune del Paese, come pure dell’Europa e dell’intera famiglia umana, prestando particolare attenzione verso i poveri e gli emarginati, i giovani in cerca di occupazione e chi è senza lavoro, le famiglie e gli anziani che con fatica e impegno hanno costruito il nostro presente e meritano per questo la gratitudine di tutti”.
In precedenza, il presidente Napolitano aveva parlato di “sintonia” con la visione di Benedetto XVI circa la necessità di lavorare a un progresso umano e civile nel segno del “rispetto della dignità umana, in tutte le sue forme e in tutti i luoghi”, stigmatizzando per contrasto l’allarme per le “nuove manifestazioni preoccupanti” di discriminazione razziale emerse di recenti in vari Paesi:
“E’ dunque rispetto a rischi e fenomeni di oscuramento di valori fondamentali, quello della dignità umana insieme ad altri, che noi sentiamo di trovarci di fronte – come Ella ha detto – a ‘un’emergenza educativa’ anche nel nostro Paese. Superare quell’emergenza è nostra comune responsabilità, su diversi terreni, se siamo convinti che si debba suscitare nel mondo d’oggi una grande ripresa di tensione ideale e morale”.
Benedetto XVI ha replicato in modo analogo mostrando “l’urgenza” del problema educativo che, ha detto, non può prescindere “dai perenni valori dell’umanesimo cristiano”:
“La formazione dei giovani è, pertanto, impresa nella quale anche la Chiesa si sente coinvolta, insieme con la famiglia e la scuola. Essa infatti è ben consapevole dell’importanza che l’educazione riveste nell’apprendimento della libertà autentica, presupposto necessario per un positivo servizio al bene comune. Solo un serio impegno educativo permetterà di costruire una società solidale, realmente animata dal senso della legalità”.
Infine, ancora gli inni e il picchetto militare a salutare il congedo di Benedetto XVI che verso le 12.30 ha lasciato il Quirinale per rientrare in Vaticano, salutato lungo la strada da migliaia di persone.