(Lettera ad una mamma che ha perso un figlio) “Per la tua dignità, avrei voluto star zitto, pensando che come per un occhio infiammato anche il rimedio più delicato è causa di dolore, così per l`anima afflitta dal peso del dolore, la parola, anche se di gran consolazione, può sembrare inopportuna se rivolta nel momento della sofferenza. Ma poi mi è venuto in mente che avrei parlato a una cristiana, già da tempo ammaestrata nelle realtà divine e preparata agli eventi umani, e perciò non ho ritenuto giusto trascurare il mio dovere. Conosco com`è il cuore di una madre e quando penso in particolare al tuo cuore, per tutti tanto mite e buono, ne so misurare il dolore nelle presenti circostanze. Hai perso un figlio che, quando era vivo, tutte le madri stimavano beato, desiderando che i loro figli fossero come lui; morto, tutte lo piangono come se i loro propri figli fossero sepolti sotterra. La sua morte è stata una sventura per due patrie, la nostra e quella dei cieli. Con lui è crollata una stirpe grande e illustre, privata quasi del suo sostegno. O incontro col demone malvagio: quanto male ha potuto fare! O terra, costretta ad accogliere tanto dolore! Il sole stesso è rabbrividito, se c`è un po` di senso in lui, a questo triste spettacolo! Chi potrebbe tradurre in parole ciò che l`anima impotente suggerisce?
Ma i nostri eventi non si svolgono senza la provvidenza: come abbiamo imparato nel Vangelo, neppure un passero cade a terra senza la volontà del nostro Padre (cf. Mt 10,29). Quando qualcosa succede, succede per volontà del nostro Creatore. Chi può opporsi alla volontà di Dio? Accettiamo gli eventi: con l`impazienza non correggiamo ciò che è avvenuto e piuttosto roviniamo noi stessi: non accusiamo il retto giudizio di Dio. Non siamo saggi abbastanza per giudicare i suoi disegni arcani. Ora il Signore mette alla prova il tuo amore per lui. Ora ti viene porta l`occasione di aver parte tra i martiri, con la tua pazienza. La madre dei Maccabei vide morire i suoi sette figli, eppure non gemette, non versò una lacrima indegna; invece ringraziò Dio di vederli liberare dai vincoli della carne col ferro e col fuoco, tra tormenti atroci; così piacque a Dio e divenne celebre tra gli uomini (cf. 2Mac 7). Il dolore è grande, lo affermo anch`io; ma è grande anche la mercede riposta presso Dio per chi sa sopportare.
Quando diventasti madre, vedesti il fanciullo e ringraziasti Dio, ma certo sapevi che tu, donna mortale, avevi generato un uomo mortale. E` strano dunque che sia morto chi era mortale? Ma ci tormenta che sia morto così presto. Eppure non sappiamo se sia morto proprio a suo tempo: non siamo in grado di giudicare ciò che è utile per le anime e determinare i limiti della vita umana. Considera il mondo intero in cui tu abiti e rifletti che tutto quello che vediamo è mortale, tutto è soggetto alla distruzione. Guarda lassù il cielo: anch`esso un giorno si dissolverà; guarda il sole: neppure esso resterà per sempre. Le stelle tutte, gli animali terrestri e marini, la bellezza del mondo, la terra stessa: tutto è soggetto alla distruzione, tutto fra non molto più non sarà. Il pensiero di ciò ti sia di conforto nella disgrazia. Non misurare il dolore in sé, altrimenti ti sembra insopportabile; giudicalo insieme con tutti gli eventi umani e così troverai un conforto.
A tutto ciò, devo aggiungere ciò che è più forte: abbi pietà di tuo marito! Siate di conforto l`uno all`altro! Non rendergli più grande la disgrazia, lasciandoti consumare dal dolore. Ritengo che le parole non siano sufficienti per confortare, ma credo che in queste circostanze sia necessaria la preghiera. Prego dunque il Signore stesso che con la sua ineffabile potenza tocchi il tuo cuore, illumini la tua anima con buoni pensieri, affinché tu possa trovare in te stessa il modo di confortarti.
Basilio il Grande, Lettere, 6 (alla moglie di Nettario)
“L`agricoltore non si lamenta quando vede il frumento dissolversi; ma fino a quando lo vede restare immutato nel terreno, teme e trema; se poi lo vede dissolversi, si rallegra. La dissoluzione infatti è il principio della futura messe. Così anche noi rallegriamoci quando cade la nostra casa corruttibile [ossia il nostro corpo], quando l`uomo viene seminato nel terreno. Non meravigliarti se l`Apostolo chiama seminagione la sepoltura: anzi questa è la migliore seminagione dell`uomo. A quell`altra seminagione (ossia alla nascita dell`uomo) seguono la morte, la fatica, i pericoli e le preoccupazioni; a questa, se viviamo rettamente, la corona e il premio; a quella (ossia alla nascita), la corruzione e la morte; a questa, l`indistruttibilità, l`incorruttibilità e mille beni. In quella seminagione (alla nascita) vi sono amplessi, piaceri e sonno; in questa, solo una voce che discende dal cielo, e tutto in un momento è compiuto. E chi risorge, non ritorna più in una vita piena di sofferenze, ma in una vita in cui è escluso il dolore, il travaglio e il pianto. Se tu cerchi aiuto e protezione, se per questo ti lamenti dell`uomo, rifugiati nel protettore, nel difensore, nel benefattore comune di tutti: in Dio, alleato inespugnabile, aiuto pronto, riparo durevole, che è sempre presente e da tutto ci protegge.
Giovanni Crisostomo, Omelie sulla prima lettera ai Corinti, 41,4
“Anche a me, quantunque il più piccolo e il più umile, quante volte è stato rivelato, quanto spesso e apertamente mi è stato imposto dalla grazia di Dio di attestare assiduamente, di predicare pubblicamente che non dobbiamo piangere i nostri fratelli liberati, per la chiamata di Dio, da questo mondo. Sappiamo infatti che non sono andati perduti, ma sono andati avanti, che ci hanno lasciato per precederci. Come per chi è in viaggio, come per chi è in mare, dobbiamo certo desiderarli, ma non piangerli; e non dobbiamo indossare, quaggiù, abiti neri, giacché essi, lassù, sono rivestiti di abiti candidi. Non dobbiamo dare occasione ai pagani di rimproverarci, a diritto e merito, di piangere i morti come perduti, mentre diciamo che vivono presso Dio, e di non provare con la testimonianza dei sentimenti e degli affetti quella fede che professiamo a voce, a parole. Tradiamo la nostra fede, la nostra speranza, se le nostre parole si dimostrano false, artefatte, truccate. A nulla giova mostrare virtù a parole, e distruggere coi fatti la realtà. Anche l`apostolo Paolo rimprovera fortemente chi si contrista per la dipartita dei suoi. Dice: Non vogliamo, o fratelli, che siate nell`ignoranza a proposito dei fratelli addormentatisi, perché non vi rattristiate come tutti gli altri che non hanno speranza. Se infatti crediamo che Gesù è morto ed è risorto, così Dio condurrà con sé coloro che si sono addormentati in Gesù (1Ts 4,13-14). Asserisce dunque che si rattristano per la morte dei loro cari coloro che non hanno speranza. Ma noi che viviamo di speranza, che crediamo in Dio, che confidiamo, per la passione e la risurrezione di Cristo, di restare in lui e di risorgere per lui e con lui, perché ricusiamo di partire da questo secolo, e ci affliggiamo per i nostri trapassati e li piangiamo come perduti? Eppure lo stesso Cristo Signore e Dio nostro ci ammonisce e ci dice: Io sono la risurrezione. Chi crede in me, anche se muore, vive, e chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno (Gv 11,25-26). Se crediamo in Cristo, abbiamo fede nelle sue parole e nelle sue promesse: andiamo incontro a Cristo lieti e sicuri di non morire in eterno, ma di vivere e regnare sempre con lui.
Cipriano, La mortalità, 20-21