(testo integrale del messaggio) L’occidente è riuscito, bene o male, a raggiungere un diffuso livello di benessere; sembra però aver smarrito la capacità di superare tale soddisfacimento. Il bisogno di amore, di affetto, il desiderio di essere preziosi agli occhi di un partner, di avere un posto privilegiato nei sentimenti di un’altra persona, non esprime, al di là della connaturata spinta alla relazione, la profonda necessità che alberga in ogni uomo di esistere, di essere riconosciuto, accolto, amato?
L’imbarbarimento della nostra Italia, che alza i toni, che elimina le sfumature, che contrappone le idee, che gode della fragilità altrui, in un gioco al massacro che vuole tutti compromessi, tutti sporchi, tutti ignobili, giustificando così la propria mediocrità, non è forse il sintomo di un profondo malessere interiore?
I giovani restituiscono, amplificati, i messaggi che noi adulti trasmettiamo coi fatti, prima che con le parole. Il denaro fa comodo a tutti, ma se resta l’unico orizzonte di riferimento produce dei piccoli robot ossessionati dal profitto.
Se Dio è morto l’universo intero sta precipitando nel caos! Con la sua drammatica accusa, Nietzsche, nella Gaia scienza, vedeva lontano.
Credo che sia ingeneroso però liquidare l’attuale momento storico come superficiale e decadente: con linguaggi inappropriati l’uomo si pone le domande che si è sempre posto, non si capacita della propria esistenza, sente dentro di sé il bisogno di senso che ha caratterizzato da sempre la civiltà. Lo esprime solo in maniera diversa.
Il mondo occidentale non affronta la catastrofe esistenziale dilagante; anzi: se ne disinteressa completamente. Peggio: ne abusa per trarne vantaggio. Il messaggio che passa è inquietante: la ragione del tuo malessere è che non sei abbastanza bello, abbastanza giovane o sano, abbastanza ricco….
Oggi il senso della vita è in vendita al miglior offerente.
Dalla mia esperienza credo che se le cose migliorassero anzitutto a livello interiore, andrebbero poi decisamente meglio dal punto di vista economico, sociale, relazionale.
Un grande dubbio emerge prepotente.
“Perché la Chiesa, maestra di cose spirituali, che possiede un tesoro straordinario, che propone una soluzione alla vita da millenni, non sa più parlare al cuore delle persone? Perché è entrata in una incomunicabilità insostenibile? Perché mentre le giovani generazioni esprimono il disagio di vivere, non riesce a essere credibile mentre comunica il Vangelo?” (Card. Martini)
La Chiesa contemporanea si confronta con altre opinioni, con altre idee, con altre visioni della vita e della storia, con altre religioni. E questo le fa un gran bene. Oggi non si è più cristiani perché italiani, o islamici perché marocchini…, ma ognuno ha la possibilità di acquisire informazioni, di scegliere, anche nella fede. O dovrebbe poterlo fare.
La Chiesa è solo una delle voci in campo, perciò dev’essere maggiormente credibile e la obbliga a presentare il Vangelo nella sua continua novità.
La grande sfida della Chiesa italiana è quella di evangelizzare il cristianesimo popolare senza mortificarlo, senza distruggerlo. Il grande rischio del cristianesimo popolare è quello di diventare una religione sociale.
“Siete curiosi, voi italiani: volete tenere il crocifisso nelle aule dopo averlo tolto dalla vostra vita” (Touché).
La crisi di autorevolezza nella chiesa continua il suo inevitabile percorso. E dovrebbe spingerla a dire il Vangelo con parole nuove.
E’ tempo di analizzare con verità il crescente anticlericalismo nei confronti dell’istituzione ecclesiastica. Siamo definiti troppo preoccupati a difendere i privilegi. E questo non fa il bene del Vangelo.
La Chiesa che vive per annunciare Gesù Cristo, deve mettere il vangelo al centro del suo percorso; possiede una chiave di comprensione dell’uomo e della storia, deve confrontarsi con la modernità. Il centro propulsore della fede , l’esperienza di Dio, dovrà essere messo in primo piano: altrimenti il cristianesimo rischia l’insignificanza o, peggio, la riduzione ad “agenzia di valori”.
La Chiesa ha in mano un tesoro che fatica a comunicare.
E’ possibile spogliare il messaggio della Chiesa del superfluo per ritornare all’essenziale?
E’ possibile ridire il cristianesimo con un linguaggio accessibile, che incontri il desiderio di pienezza che ogni uomo porta nel cuore?
Il cristianesimo, nel suo fondamento, ha a che fare con il senso della vita? Intende rispondervi?
Un pensiero di affetto e di rispetto per i giovani.
Educare non significa semplicemente incanalare informazioni, veicolare contenuti o nozioni. La responsabilità educativa esige prima di tutto un’interiorizzazione nel cuore, nel centro della propria coscienza, l’assimilazione di una appartenenza e di una identità.
“Ricordatevi – ammoniva don Bosco nel suo epistolario – che l’educazione è cosa del cuore e che Dio solo ne è il padrone…”.
Il ‘disorientamento’ dei giovani ha bisogno di simboli sensibili. E chi vuole svolgere come mestiere l’educatore deve coltivare la propria leadership, cioè coltivare la forza di ciò che si è.
L’educatore non è tenuto a imporre un modello perfetto e impeccabile, ma può mostrare un progetto fatto di fatica, dolore, peccato e pentimento. Essere educatori – genitori – significa scegliere di essere autorevoli anche se implica fatica. Solo ciò che ci è costato impegno e fatica ha valore; per questo la dimensione del sacrificio è la prima scaturigine di senso nel caos della vita.
Mai mi stancherò di ripetere che il dolore è l’esperienza fondativa della condizione umana. E se accettiamo di vivere il dolore allora comprendiamo il senso della fatica, dell’impegno e anche del fallimento.
Alla fine della nostra vita ci resterà soltanto ciò che abbiamo donato e non ci ricorderemo neanche di tutto quello che abbiamo fatto.