(Editoriale) Le esequie del giovane pilota Marco Simoncelli, presiedute da Mons. Francesco Lambiasi vescovo di Rimini, hanno messo in evidenza diversi elementi di stile e di contenuto a livello comunicativo, pastorale, ecclesiale a mio avviso molto significativi. Il vescovo Lambiasi ha usato tre codici importanti nella comunicazione, specie quella ecclesiale, e questi elementi al telespettatore e alle tantissime persone presenti a Coriano e a Misano con maxi schermi, sono arrivati chiari, nitidi, puliti: il codice dell’onestà, il codice della verità, il codice della compagnia.
Il codice dell’onestà. Un’omelia quella del vescovo Lambiasi che addita, a tanti parroci, a saper fare omelie pulite in occasioni così preziose, fragilissime e sensibili nel contempo, ben sapendo che per moltissimi può essere il penultimo o ultimo contatto con la chiesa. Lambiasi ha dichiarato – cosa non affatto scontata per un uomo di Dio – la sua onestà affermando quanto segue: “Io non posso cavarmela ora con risposte preconfezionate, reperibili sulla bancarella delle formule pronte per l’uso. Sì, alle volte noi credenti pensiamo di svignarcela con l’allusione enigmatica a una indecifrabile volontà di Dio. Ci ripetiamo, instancabili: «È la volontà di Dio», e non ci rendiamo conto che, sbandierando parole senza cuore, rischiamo di far bestemmiare il suo santo nome. Il mio animo si ribella all’idea volgare di un Dio che si autodenomina “amante della vita”, che mi si rivela come il Dio che “ha creato l’uomo per l’immortalità” (Sap 2,23) e poi si apposta dietro la curva per sorprendermi con un colpo gobbo o una vile rappresaglia”. La gente non è sciocca e tanto meno sorda o cieca alla voce di Dio e, giustamente, non si può far passare per volontà di Dio ciò che con Dio, padre della vita, non ha nulla a che fare. L’onestà può mettere suscitare ripresa di cammini di fede interrotti, troncati per molteplici motivi e le nostre parole sono sentiero di Grazia.
Il codice della verità. In un successivo passaggio dell’omelia (breve e senza sbavature) scritta e letta da Lambiasi il vescovo dice: “Datemi un po’ del vostro coraggio e aiutatemi ad abbinare, a quello di Marco, il nome dolcissimo del Maestro mio e di ogni cristiano. Voi lo conoscete: il suo nome non è di quelli che condannano a morte; lui si chiama Gesù, che significa “Dio-Salva”. Le persone sanno chi è Gesù. A loro il vescovo ha dato e detto il cuore del cristianesimo senza perdersi in frasi di ecclesialese e tanto meno moraliste. Lambiasi è stato bravo, pulito, vero. Nella comunicazione il codice della verità genera il codice della credibilità.
Il codice della compagnia. La celebrazione delle esequie emanava dal video della tv, dallo schermo di internet un profumo di casa, di parrocchia, di comunità parrocchiale. Dai canti semplici e feriali della domenica ben eseguiti, ai ministri, ai sacerdoti, allo stesso parroco. Queste cose la gente le coglie immediatamente. Il grande valore aggiunto è dato, senza dubbio, dalla dimensione del paese, di tanti paesi in Italia come Coriano dove ci si conosce tutti e si respira un clima umano che diviene aggregante in ogni situazione, in modo particolare in circostanze di lutto. La parrocchia di Coriano, la Diocesi di Rimini con il suo Vescovo Lambiasi hanno dato una bella immagine di chiesa: semplice, senza orpelli, asciutta e diretta al cuore. Così si fa.
Questo stile possa tracciare una breccia di insegnamento per le parrocchie e i loro pastori che, in tali occasioni, hanno in mano “un tesoro in vasi di creta”. Le parole che si dicono nelle esequie, in ogni esequie, specie di un giovane o di un bambino vanno calibrate, pregate, soppesate, filtrate nella verità. Sono delle perle preziose, così preziose che possono dar vita ad esempi edificanti e nascosti, quando mi accadde di sentirmi dire da un prete confratello: “Non riesco a parlare in questa situazione: aiutami tu”. Ho ricevuto una lezione di umiltà.
G. R.