Se Dio accetta di essere uno di noi, la vita dev’essere splendida!

Precario e indifeso: l’uomo di oggi in preda alla paura

“Guerre, terrorismo, crisi economica, migrazioni di massa, violenza sbattuta ogni giorno in prima pagina. E internet ci mette sotto il naso ciò che accade a migliaia di chilometri di distanza. Ma cosa succede? Nell’era globale ci si sente più fragili.

Reagire al timore di non farcela o abbattersi all’idea che tanto “tutto va male” non è solo un compito politico da assegnare ai decisori istituzionali, ma anche un impegno spirituale e civile per ciascuno di noi. L’ascolto interiore è importante. E la via del meglio è fatta di piccoli passi, gesti quotidiani di speranza, attraverso un’opzione concreta che si rinnova continuamente per ciascuna persona” (Giovanni Grandi. Professore associato di Filosofia all’Università di Padova).

La paura ci blocca, ci irrigidisce, ci rende diffidenti e ci porta a offrire al mondo il nostro personale capitolo di una macro-narrazione spaventata del tempo che viviamo. Spaventati dalla paura tendiamo a diffondere a nostra volta racconti di un mondo più difficile di prima, più avverso, più insicuro. Condividiamo con gli altri solo il male quotidiano delle nostre esistenze, enfatizziamo le fatiche e tendiamo persino a nascondere il buono e il bello. La paura si auto-amplifica proprio perché stimola la narrazione di scenari apocalittici, dinanzi ai quali abbiamo progressivamente l’impressione di avere margini di manovra sempre più stretti.

Siamo senza scampo?

Bauman ritiene che la via di uscita sia anzitutto di tipo politico. Spetta a chi governa mettere in atto misure di contrasto. Occorre chiedersi come possiamo aiutarci a convertire il nostro sguardo sulla realtà. Le narrazioni sociali apocalittiche saturano l’immaginario: il futuro appare incapace di superare il malessere del tempo presente; tace la voce della speranza e quel che rimane interiormente è un monologo cupo, eco per lo più di timori di sventure generalizzate (non ci sarà più lavoro, addio alle pensioni, crollerà il sistema sanitario, aumenterà la delinquenza…) che colpiranno alla cieca e rispetto a cui la persona si sente impotente, costretta a giocare unicamente in difesa di quel che ha, nella motivata incertezza di un domani migliore.

La paura è paralizzante socialmente proprio perché lo è anzitutto spiritualmente. Reagire alla paura non è solo un compito politico da assegnare ai decisori istituzionali. E’ anche un compito spirituale per ciascuno, che consiste nell’affinare la capacità di ascolto interiore, imparando a cogliere e accogliere l’interazione tra timori e speranze.

Per sostenere questo compito può essere importante non assecondare quelle rappresentazioni della stagione sociale che viviamo dipinta come aperta unicamente al peggio, in balia di forze cieche e governabili esclusivamente a livello di istituzioni globali.

C’è altresì un imbarbarimento nelle relazioni interpersonali in cui la quotidianità del vivere si deteriora e si sfilaccia in un clima sempre meno umano.

Legato a questo deterioramento, emerge la miseria del discorso sociale e politico, la mancanza di un orizzonte per la polis. In ogni discussione c’è chi alza i toni del linguaggio, abbassando simultaneamente il livello etico del contenuto: vengono giustificate le ineguaglianze, si alimenta il culto dell’arroganza e della forza, si esalta la competizione sfrenata e ci si compiace di frasi urlate del cui contenuto fino a ieri ci si sarebbe vergognati non solo di pronunciarlo, ma persino di ascoltarlo… Com’è possibile il sistematico insulto, l’ostentato disprezzo per l’altro? Com’è possibile la continua demonizzazione del diverso, come se fosse l’incarnazione del male? Com’è possibile il ripetersi di proclami politici che adottano argomenti e termini da gradasso di quartiere, di discorsi che, con la scusa di farsi vicini alla gente, ne solletica le peggiori tendenze? Non si dimentichi che le parole quando si caricano di odio diventano armi, che le accuse reciproche, senza più limiti né rispetto, spingono alla negazione e alla distruzione dell’avversario.

Saremo capaci di un forte risveglio di dignità umana e di etica democratica? Sapremo riscattare il senso alto della politica, oggi pesantemente affetta da una malattia autoimmune di svilimento?

Da questa analisi vogliamo elevare un appello alla vigilanza, al non rassegnarsi alla parcellizzazione dell’individuo, al lavorare con rinnovato vigore alla custodia dei rapporti interpersonali e sociali. Dobbiamo essere consapevoli che è reale il rischio di pensare che siano gli altri e non noi a poter cadere nella barbarie, dobbiamo demistificare la credenza in una società perfetta, rifiutando così ogni utopia, ma nel contempo opponendo resistenza contro la barbarie: questa resistenza – possibile, necessaria e doverosa – potrà allora animare una nuova cultura dell’impegno. Ed è un appello che si rivolge anzitutto a noi cristiani, affinché sappiamo trarre da questa ardua sfida elementi per un rinnovamento della nostra fede e della testimonianza resa nel mondo: un cristianesimo critico, e, proprio per questo, capace di edificare una convivenza più abitabile; una chiesa che sia fermento di civilizzazione e di umanesimo in una società laica, multietnica e religiosamente variegata. Occorre la vigilanza di uomini e donne che non rinuncino a pensare, occorre l’impegno di “sentinelle”, come Giovanni Paolo II ha voluto chiamare i cristiani in quest’ora difficile: sentinelle del dialogo, del confronto, dei diritti, della pace. Sì, perché la barbarie non è una fatalità, e l’annuncio del vangelo è davvero “buona notizia per tutti” (Comunità di Bose).

Natale: Se Dio accetta di essere uno di noi, la vita dev’essere splendida!

Un Dio che ama la vita fino a volerla condividere; un Dio che, per amore, decide di mettersi alla pari, di annientarsi, che accetta la sfida di spogliarsi della propria divinità per condividere ogni istante con l’uomo. Dio, incarnandosi, ha già preso la sua decisione: amerà l’uomo ad ogni prezzo.

Dio non sarà mai un concorrente dell’uomo; anzi è a servizio della nostra felicità.

Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo”. Dio si prende cura di noi, ha a cuore la nostra vita e per noi dona la sua vita: da ricco che era si è fatto povero per renderci ricchi della sua nuova umanità.

Che fare per rendere gli uomini migliori? Bisogna amarli, amarli ad ogni costo, amarli sempre. Il mondo appartiene a chi più lo ama e meglio gliene dà prova” (Santo Curato d’Ars).

Dentro le circostanze della vita Dio anche oggi ripete ad ogni uomo e ad ogni donna, come ripeté duemila anni fa a Maria, a Giuseppe e ai pastori, smarriti per l’enormità di fatti che li stavano toccando: “Non temere, io sono con te”. Dio – per usare una bellissima espressione di San Giovanni Paolo II – ha preso su di sé il rischio dell’amore.

 

+ Armando  vescovo