Il Vescovo Andrea si è soffermato, nell'omelia, sulle reliquie del santo

Celebrata la Solennità di San Paterniano

“Le reliquie di un santo sono quello che rimane della sua persona, del suo corpo, della sua vita. Cosa rimane della vita del vescovo Paterniano? Cosa rimane dell’amore di Cristo tra le pagine chiare e le pagine scure della nostra vita? Guardiamo al nostro patrono nel giorno della sua festa e andiamo alla ricerca delle sue reliquie”. Queste le parole del Vescovo Andrea nell’omelia della Santa Messa, mercoledì 10 luglio, nella Solennità di San Paterniano, patrono della città di Fano e della Diocesi. “La capacità di rimanere fermo sulla Parola di Dio, saldo nella fede – ha sottolineato il Vescovo –  vivo nella relazione con la vite, quella vera. L’opus divinum dell’ideale monastico rimane vero ancora oggi e ci permette di dare radice alle parole e alle azioni di ogni giorno. Forse non è un caso che la Festa di San Paterniano preceda solo di un giorno quella di San Benedetto. Questo ci permette di collegarci alla ricchezza dei nostri monasteri e alla ricerca di Dio delle sorelle e dei fratelli che li abitano. Contro il rischio dell’immediato o del fallo di reazione – che è sempre da cartellino rosso – Paterniano vescovo, oggi, nel giorno della sua festa, suggerisce sapientemente gli antidoti della mediazione, della meditazione, della calma, del silenzio, della preghiera”. Il Vescovo Andrea si è soffermato, poi, sul bastone sempre unito alla figura del santo, il bastone e il vincastro tipici del pastore, ma necessari anche a ogni uomo in cammino sulla terra, a che vive la missione dell’annuncio del Vangelo. “Questa reliquia dice che il buon Dio sostiene i nostri passi. Il pastorale è suo, la pastorale è sua, e meno male. Possiamo appoggiarci a lui quando la fatica comincia a farsi sentire, possiamo confidare in lui perché siamo suo popolo e gregge del suo pascolo. La reliquia di San Paterniano più preziosa è quel bastone che non dice tanto il comando, che smaschera la vita del sovrano di corte, che evita di scimmiottare lo scettro dei potenti della terra. Oggi il Patrono ci consegna più vivo che mai l’oracolo profetico mai esaurito di Ezechiele: «Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all’ovile quella smarrita, fascerò quella ferita e curerò quella malata, avrò cura della grassa e della forte; le pascerò con giustizia». A parlare è Dio stesso, perché con l’esilio le istituzioni non ci sono più e ogni possibile ripartenza è data dalla sua parola e dalla sua iniziativa profetica. Pensare a Dio oggi quale pastore della diaspora e dell’esilio impone di ripensare e semplificare noi stessi quando siamo troppo complicati, valutare se certi nostri organismi sono ancora vivi oppure se sono morti, vedere se i tralci danno frutto oppure no, se valga la pena uscire la sera per andare in parrocchia o al centro pastorale oppure se convenga restarsene a casa con i familiari. La terza reliquia si discosta dalle prime due in quanto non è rappresentata da un oggetto, ma da un testamento, quello di Gesù e quello dei Santi. Proviamo a pensare cosa potrebbe suggerirci Paterniano mentre ci rivolgiamo a lui: portare avanti cosa rimane da fare con più urgenza, il comando che ci è stato lasciato in eredità dallo stesso Signore Gesù: amatevi gli uni gli altri. Questo resta come più vero e autentico cimelio di una persona: il fatto che ci abbia voluto bene, che ci abbia donato la vita e si sia speso per noi. Poi resta ancora molto altro da fare. Restano i nemici da amare, resta la grande partita del perdono, rimane ancora tanto vangelo da vivere. Paterniano lo ha sperimentato in parte. Alla sua chiesa e alla sua città il compito di portare avanti il lavoro in questo tempo che ci è dato di vivere e che è pur sempre benedetto da Dio”.

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