Domenica 19 giugno il Vescovo ha presieduto la Santa Messa in occasione della Solennità del Corpus Domini

Rendere grazie, rendersi dono

“L’eucaristia è anche affermazione di uno stile di vita: la vita come servizio, la vita come dono volontario di se stessi”. Queste le parole del Vescovo Armando nell’omelia della Santa Messa che ha presieduto domenica 19 giugno in Cattedrale, alla quale hanno preso parte autorità civili e militari del nostro territorio e tantissimi fedeli, in occasione della Solennità del Corpus Domini a cui è seguita al Solenne Processione fino alla Basilica di San Paterniano. “Il Corpus Domini, stando all’esempio che san Paolo fa a i suoi ascoltatori – ha proseguito il altro non è che la Chiesa. Siamo noi il corpo di Cristo e lui è il capo. Lui guida i nostri passi e noi ci lasciamo portare da Lui. L’eucaristia ha, dunque, una doppia  valenza: identificarci con Cristo e costituirci Chiesa.  Tutti sono chiamati a far parte di questa unione. Tutti sono invitati a questo banchetto spirituale. Cristo, mentre ci nutre, ci perfeziona. La comunità cristiana – ha sottolineato il Vescovo – esce dall’eucaristia per vivere nella società con l’altra parte del corpo di Gesù, quello lontano, spezzando il pane materiale, condividendo i beni, lavorando per la giustizia, impegnandosi a migliorare questa nostra società per renderla accogliente e solidale, perché tutti sono chiamati a salvezza”.
Il Vescovo si è, poi, soffermato sull’Eucaristia che è anche affermazione di uno stile di vita: la vita come servizio, la vita come dono volontario di se stessi. “Certamente chi non crede vuol fare da padrone sui suoi fratelli; Cristo invece propone il servizio. Chi non crede vuole dominare; Cristo invece cerca l’ultimo posto. Chi non crede vuole tutto quaggiù: chi crede invece sa calarsi nel solco della pazienza e della croce con la certezza che il Calvario è la via della risurrezione”.
Ha poi posto l’accento sulla moltiplicazione dei pani e dei pesci. “L’episodio è inscritto in un contesto di ‘guarigione’. Gesù, in mezzo al deserto, guarisce tutti coloro che avevano bisogno di cure (Gv 9,11). L’umanità è questo immenso corpo che in mezzo ad un deserto esistenziale, ha bisogno di essere preso in carico ed essere guarito. Ciascuno di noi ha bisogno di essere curato nelle sue ferite più profonde, esistenziali. Ciascuno di noi soffre di una fame che non si estingue col semplice pane che mettiamo sulla tavola, ma di una molto più profonda, fame di una vita piena, che conosca finalmente la dignità, che sperimenti che cosa vuol dire vivere da uomo e da donna e non solo come straccio usato e buttato in un angolo. Fame di senso, di sapere se la propria vita merita di essere vissuta, se è possibile ricominciare dopo ogni sconfitta, se c’è qualcuno ai cui occhi io possa essere prezioso e che la mia vita valga la pena di essere abbracciata, anche senza alcun merito. Gesù, in questa terra desolata, vede e si prende cura proprio di questa umanità addolorata. E invita poi ciascuno di a sfamare questa umanità in attesa, rivelandoci così la preziosa logica che la propria fame si estinguerà solo sfamando quella degli altri. Egli invita non tanto a dare cose, denari o altro per compiere la sazietà dell’altro, bensì se stessi: “Voi stessi date loro da mangiare”, ossia ‘datevi in cibo a questa umanità affamata’ (v. 13a)”.

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