Speciale Sinodo 2. Gli interventi di OLORUNFEMI ONAIYEKAN (Nigeria), THOMAS MENAMPARAMPIL (India), JOSIP BOZANIC (Croazia), JOSIP BOZANIC (Australia), VANHOYE, RABBINO CAPO SHEAR-YASHUV COHEN (Israele)

papa_4.jpgAFRICA. ARCIVESCOVO JOHN OLORUNFEMI ONAIYEKAN, DI ABUJA (NIGERIA). “Non dobbiamo stupirci che alcuni dei primi nuclei cristiani, che produssero teologia e teologi, ma anche martiri e confessori, abbiano avuto origine in Africa Settentrionale – Alessandria, Cartagine e Ippona – per menzionarne solo alcuni. (…) Il nostro continente può vantarsi di essere una ‘terra biblica’ in un modo… tale che molte delle grandi nazioni cristiane non possono neppure accostare”. “I testi delle Scritture in se stessi possono costituire un problema in molti luoghi. Infatti, il costo della Bibbia, che in molte altre parti del mondo può essere irrilevante, in Africa può arrivare ad uno stipendio mensile. Dunque, molti non dispongono di denaro sufficiente per l’acquisto di una Bibbia”. “A parte il problema dei testi, vi è anche la questione della lingua. Infatti la Bibbia non ha ancora trovato una traduzione adeguata in molte lingue. (…) Tuttavia, anche dopo aver ascoltato la Parola di Dio letta nelle nostre lingue, resta il compito di interpretarla per impregnare del vero significato del messaggio dello Spirito Santo coloro cui essa è rivolta. E qui abbiamo il compito dell’interpretazione e dell’esegesi a livello scientifico e popolare”.

“I missionari che portarono la fede cattolica in Africa alla fine del XIX secolo e durante la maggior parte del XX furono uomini e donne del loro tempo, figli dei paesi da cui provenivano. E’ dunque naturale che la Bibbia, in quanto testo scritturale, non fosse una priorità nella vita della chiesa di quei tempi. (…) Tuttavia ciò non significa che essi non conoscessero adeguatamente le Sacre Scritture, poiché lo stesso catechismo si basava, indirettamente, su di esse. Ancor più importante fu allora la liturgia. Durante la messa, venivano letti brani che poi venivano commentati nelle omelie”.

“L’Africa è ancora un continente di prima evangelizzazione” che richiede, naturalmente, che la Parola di Dio sia annunciata e proclamata in tutta la sua potenza e vigore, il che comporta che la Scrittura sia presentata in modo adeguato a coloro che esortiamo ad accogliere il messaggio cristiano”.

“Con i cristiani che non appartengono alla nostra Chiesa (…) esistono, ovviamente, delle difficoltà, soprattutto con quei gruppi che, oltre a essere fondamentalisti, sono dichiaratamente anti-cattolici. (…) Molti dei nostri membri si sentono spesso in imbarazzo per gli attacchi e gli abusi di questi gruppi, soprattutto quando non sono adeguatamente preparati a difendere la propria posizione di cattolici. Per questo molti dei nostri fedeli si sono trovati nella necessità di approfondire le Scritture, proprio per poter controbattere gli attacchi rivolti a loro e alla loro Chiesa”.

“Con il Sinodo speriamo che l’entusiasmo che sta vivendo il nostro continente per la Parola di Dio venga rafforzato e sostenuto. Inoltre, speriamo che l’aver raccontato la nostra storia, le sfide che dobbiamo affrontare e i limiti delle nostre risorse, ci permetta di avere più sostegno da coloro che ci hanno aiutato nelle necessità che ho già menzionato”.

ASIA. ARCIVESCOVO THOMAS MENAMPARAMPIL, S.D.B., DI GUWAHAT (INDIA). “Sin dagli inizi del cristianesimo, gli evangelizzatori cristiani ebbero sempre una forza di persuasione, perché la loro ‘Parola’ veniva tradotta in azione. Madre Teresa ne è un esempio recente. I missionari hanno conservato la loro creatività e hanno continuato ad esplorare nuovi ambiti di lavoro. Il loro servizio nel campo dell’educazione e della salute è tenuto in grande considerazione. (…) E sono impegnati attivamente per la giustizia a favore dei gruppi oppressi, nel lavoro a favore del cambiamento sociale, nella promozione culturale, nella tutela dell’ambiente, nella difesa della vita e della famiglia; nell’assistenza ai deboli, agli oppressi e agli emarginati, dando voce a chi non ne ha. Anche laddove il Vangelo incontra una maggiore resistenza, la testimonianza evangelica delle opere socialmente rilevanti è bene accetta”.

“Il servizio sincero, sebbene silenzioso, ha una sua eloquenza. ‘Non è linguaggio e non sono parole di cui non si oda il suono. Per tutta la terra si diffonde la loro voce e ai confini del mondo la loro parola’ (Sal 19, 3-4). Vi sono luoghi in Asia dove il messaggio viene ‘detto all’orecchio nelle stanze più interne’ piuttosto che ‘annunziato sui tetti’ (Lc 12, 3). Questa è una scelta strategica in situazioni in cui la libertà religiosa è limitata e non una rinuncia al proprio dovere. Infatti il dovere di comunicare il messaggio rimane. In questo, alcuni sono arrivati fino all’estremo e hanno testimoniato i valori evangelici e la causa di Cristo al prezzo della propria vita”.

“Si registra inoltre una crescita della Chiesa dove il nostro personale apostolico (sacerdoti, religiose e catechisti) è attivamente impegnato nel lavoro missionario fra ‘comunità ricettive’, si reca nei villaggi, visita le case, stabilisce contatti individuali e di gruppo mediante un’interazione diretta. Fra tali gruppi, possiamo ricordare molte minoranze etniche (popolazioni tribali) che si trovano in diverse parti della Cina, nelle isole indonesiane, nel Myanmar settentrionale, in Thailandia e nell’India nord-orientale”.

“In Asia, la vita religiosa viene compresa, se ne riconosce l’importanza, se ne apprezza il contributo e se ne rispettano i rappresentanti. Infatti, esistono modelli nativi di vita religiosa appartenenti ad altre religioni asiatiche. Valori religiosi come la rinuncia, l’austerità, il silenzio, la preghiera, la contemplazione e il celibato sono tenuti in grande considerazione. (…) In Asia, le persone religiose sono considerate i custodi della saggezza, religiosa ma anche umana. Con una formazione adeguata, i giovani credenti possono crescere diventando annunciatori efficaci del messaggio cristiano”.

“Il consolidamento della formazione teologica comporta anche l’approfondimento della riflessione sulla Parola di Dio in un contesto, quello dell’Asia, caratterizzato dalla povertà e dall’ingiustizia, nonché da una pluralità di religioni, civiltà e culture. Ciò implica l’uso di categorie di pensiero, simboli, tradizioni spirituali che abbiano un significato per gli asiatici. È un compito, questo, molto impegnativo per coloro che insegnano la ‘Parola ‘”.

“Quando una civiltà è strettamente legata a una delle religioni più importanti (per esempio, l’Islam, l’Induismo, il Confucianesimo, lo Shintoismo), è necessario fare attenzione nel mutuare da quelle religioni gli elementi adatti alla fede e all’adorazione. Se chi insegna la ‘Parola ‘ inizia ad usare espressioni che i seguaci di quelle grandi religioni considerano proprie, essi potrebbero considerarla una violazione di ciò che per loro è sacro e percepire la comunità cristiana come un’imposizione estranea. L’iniziativa potrebbe offendere entrambe le comunità. Al contrario, le espressioni cristiane tradizionali potrebbero non avere attrattiva per la mentalità collettiva della società alla quale è rivolto il messaggio”.

“Molto dell’insegnamento di Gesù che è giunto fino a noi è stato impartito durante normali incontri fra persone. I cuori erano toccati, le vite cambiate, in molti andavano ad aggiungersi alla comunità dei fedeli. Questo è ciò che sta accadendo oggi in Asia, silenziosamente, ma decisamente, grazie allo sforzo dei credenti cristiani che portano un messaggio di pace nelle situazioni di conflitto, di giustizia dove esistono degli oppressi, di onestà dove regna la corruzione, di uguaglianza dove esistono differenze di casta, di genere, di razza e di etnia, di aiuto ai poveri e agli affamati. È un modo diverso di portare la testimonianza di Cristo, differente dalla presentazione di Cristo di un libro impostato sulla rivendicazione della verità, su dibattiti e disquisizioni, ma è anche un modo assai eloquente di spiegare gli insegnamenti del Vangelo. E’ così che si traduce in vita vissuta il messaggio cristiano”.

“In molti paesi dell’Asia, i cristiani vivono sotto una pesante oppressione. Esistono limitazioni alla libertà, i neo-convertiti vengono perseguitati e la comunità dei credenti è vittima di persecuzioni, come è recentemente accaduto a Orissa (India). Tuttavia la pazienza, il riserbo, la moderazione delle reazioni, lo spirito di perdono dimostrati dalla comunità hanno in sé un potere di evangelizzazione”.

EUROPA. CARDINALE JOSIP BOZANIC, ARCIVESCOVO DI ZAGABRIA (CROAZIA). “Esiste un legame indissolubile tra la Bibbia e l’Europa. Tutto ciò che ha fatto grande la cultura europea e la sua civilizzazione – ha il proprio punto di partenza nella Bibbia. Temi quali la dignità della persona, il riconoscimento dei diritti umani, la separazione tra Chiesa e Stato – solo per fare alcuni esempi – hanno il loro nucleo sorgivo nella Bibbia. La giustizia sociale, il diritto, la critica a qualsiasi tipo di idolatria, il rifiuto delle false immagini di Dio, hanno il loro fondamento nella Bibbia”.

“Oggi in Europa si avvertono i segni di un rinnovato interesse per la Bibbia. Perciò è necessario ripartire da Dio e dall’evento della sua Rivelazione, e al tempo stesso avere il coraggio di una nuova e più matura proposta di ‘Lectio divina’”.

“L’Europa senza Dio rischia di diventare un nido di angustia e di costruire una civiltà della paura. La Parola di Dio restituisce speranza e gioia. L’Europa, inoltre, entra in crisi quando non accetta la forza interpretante della Parola di Dio, che trova nella fede e nell’ispirazione il suo ultimo fondamento. È arduo questo compito per tutte le discipline scientifiche e specialmente per la teologia. L ‘Europa a ragione si vanta dello sviluppo del proprio pensiero teologico, ma c’è bisogno di un ulteriore sforzo per un più proficuo confronto con le nuove interpretazioni e ricerche scientifiche, che spesso di proposito sono separate dai paradigmi ermeneutici della verità cristiana”.

“Infatti, una cultura che rompa con la celebrazione cristiana, cioè con la celebrazione del Mistero della bontà di Dio e della salvezza realizzata in Cristo, rischia la propria gioia e spinge l’Europa nella civiltà dell’afflizione e della tristezza, che avverte il peso della vecchiaia e della morte. La Parola di Dio restituisce all’uomo europeo la capacità di celebrare la vita. Là dove esiste la celebrazione dei misteri cristiani, la Chiesa è giovane, e questo garantisce anche la giovinezza dell’Europa”.

“Colmi dello Spirito di Cristo attinto dalle Sacre Scritture molti cattolici e cristiani europei del ventesimo secolo hanno potuto discernere tra il bene e il male, hanno potuto resistere alla sfida dei totalitarismi, rivelandone la perfida e satanica deviazione. La Sacra Scrittura ha permesso loro di scoprire non solo le debolezze degli altri e quelle proprie, ma prima di tutto la speranza che sgorga dalla stessa Parola di Dio”.

OCEANIA. VESCOVO MICHAEL ERNEST PUTNEY, DI TOWNSVILLE (AUSTRALIA). “L’impegno straordinariamente zelante e talvolta eroico dei missionari che hanno condiviso la Parola di Dio con la predicazione del Vangelo, i sacramenti e l’insegnamento della tradizione della Chiesa a tante persone in tutto il Pacifico, ha portato copiosi frutti. Tali frutti non sono stati privi di ambiguità poiché, come è stato sottolineato in ‘Ecclesia in Oceania’, i missionari introducevano talvolta elementi culturalmente estranei alla gente. È anche vero che, a volte, elementi in contraddizione con la Parola di Dio appartenenti alla cultura che accoglie, continuano ad influenzare la vita delle persone. Di fronte a queste sfide, c’è bisogno di personale qualificato per insegnare nei seminari maggiori e negli istituiti di educazione superiore nei numerosi paesi dell’Oceania”.

“Le nuove Chiese del Pacifico devono ora far fronte alla sfida della transizione culturale nel momento in cui, in alcuni luoghi, passano dalle comunità dei villaggi alla vita urbana e alla partecipazione ad un’economia globale. A causa di questa transizione possono verificarsi tensioni nella vita familiare e una disgregazione del tessuto sociale. Inoltre, talvolta possono trovare difficoltà ad affrontare il processo politico occidentale che la maggior parte di esse ha ereditato dai colonizzatori europei, nonché minacce ambientali sempre più grandi a causa del cambiamento climatico. Inoltre, nei numerosi paesi dell’Oceania vi è un numero incredibile di lingue in cui idealmente la Parola di Dio dovrebbe essere comunicata. Per esempio, solo in Papua Nuova Guinea vi sono ottocento e quarantasette lingue distinte. Complessivamente in Oceania vi sono mille e duecento lingue differenti”.

“L’Australia è uno dei paesi più secolarizzati del mondo. In Nuova Zelanda molte più persone vengono dalle isole del Pacifico e tendono a una maggiore religiosità, ma la cultura europea predominante è secolarizzata come quella australiana”.

“Dopo la Giornata Mondiale della Gioventù, alcuni australiani e neozelandesi hanno la percezione che la promessa di una nuova evangelizzazione potrebbe essere finalmente in atto, nonostante l’apparente impermeabilità della cultura secolarizzata”.

“La sfida che l’Australia e gran parte dell’Oceania devono affrontare è quella di trovare nuovi modi per permettere che questo dono del Vangelo venga ascoltato”.

“‘Ecclesia in Oceania’ chiedeva anche che le Scritture venissero tradotte nel maggior numero possibile di lingue vernacolari. Il numero delle lingue nelle numerose isole dell’Oceania rappresenta una sfida unica per la Chiesa a questo riguardo”.

“La Chiesa in Australia e in Nuova Zelanda e negli altri paesi dell’Oceania si sofferma con sempre maggiore insistenza sulla necessità di impegnarsi in una nuova evangelizzazione nella nostra regione, specialmente nella cultura secolarizzata dell’Australia e della Nuova Zelanda. Tuttavia, attualmente non sono emersi né un metodo unico né una comprensione comune di ciò che è necessario in termini pratici”.

“Allo stesso tempo, i rapporti ecumenici con le maggiori Chiese cristiane e i rapporti con la comunità ebraica, con la comunità islamica e con le altre religioni mondiali sono un’esperienza molto positiva per la Chiesa, in gran parte dell’Oceania. Operiamo insieme, nella nostra cultura secolarizzata, per affermare il valore fondamentale della fede in Dio e il diritto dei credenti a dare un contributo alla nostra cultura secolarizzata”.

“Mentre queste sono alcune delle sfide con cui si confronta la Chiesa in Oceania, vi sono anche molti segni di nuova vita e la testimonianza di decine di migliaia di cattolici impegnati che sono rimasti fedeli nonostante l’impatto del secolarismo. La Giornata Mondiale della Gioventù ci ha dato grande speranza. Spetta a noi, ora, raccoglierne i frutti”.

Successivamente è intervenuto in qualità di Invitato Speciale, il Rabbino Capo Shear Yashuv Cohen, di Haifa (Israele) ed il Cardinale Albert Vanhoye S.I. ha concluso la Congregazione.

RABBINO CAPO SHEAR-YASHUV COHEN, DI HAIFA (ISRAELE) “Sento profondamente che la mia presenza qui fra voi è molto significativa. Porta un segnale di speranza e un messaggio di amore, coesistenza e pace per la nostra generazione e per le generazioni future”.

“Preghiamo Dio usando le Sue stesse parole, come viene riportato nelle Scritture” – ha affermato il Rabbino Capo Cohen – “Nello stesso modo lodiamo Dio – usando le Sue stesse parole desunte dalla Bibbia. Imploriamo da Dio la Sua misericordia – menzionando quanto Egli ha promesso ai nostri antenati e a noi. Tutto il nostro servizio si basa su di una regola antica, come è stata tramandata dai nostri Rabbini e Maestri: ‘Date a Lui ciò che è Suo, perché voi e i vostri siano Suoi”.

“Crediamo che la preghiera è il linguaggio dell’anima nella sua comunione con Dio. Crediamo sinceramente che la nostra anima è Sua, data a noi da Lui”.

“Quando i Rabbini, affrontano questioni importanti nei nostri Sermoni, quali: ‘La santità della vita’; ‘Combattere la promiscuità’; ‘Combattere il secolarismo’; ‘Promuovere i valori della fratellanza e della fraternità, l’amore e la pace, l’Eguaglianza e il Rispetto per l’Altro e per quanti sono diversi da noi, sempre ci adoperiamo per costruire la nostra trattazione delle citazioni bibliche, come interpretata dai nostri santi saggi, lungo le generazioni”.

“Il nostro punto di partenza ha origine nei tesori della nostra Tradizione Religiosa, anche quando ci adoperiamo per esprimerci in un linguaggio moderno e contemporaneo e per affrontare questioni attuali. É incredibile osservare quanto le Sacre Scritture mai perdano di vitalità e rilevanza nella presentazione dei problemi della nostra epoca. Questo è il miracolo della eterna e perenne ‘Parola di Dio'”

CARDINALE ALBERT VANHOYE, S.I. “In merito al Documento della Pontificia Commissione Biblica su ‘Il popolo ebraico e le Sacre Scritture nella Bibbia Cristiana’, ha affermato: “Il Documento si compone di tre ampi capitoli. Il primo si intitola ‘Le Sacre Scritture del popolo ebraico, parte fondamentale della Bibbia cristiana’. (…) L’Antico Testamento non è semplicemente un pezzo fra gli altri della Bibbia cristiana. Ne è la base, la parte fondamentale. Se il Nuovo Testamento si fosse stabilito su un’altra base, non avrebbe vero valore. Senza la sua conformità alle sacre Scritture del popolo ebraico, non avrebbe potuto presentarsi come il compimento del disegno di Dio”.

“Il primo capitolo presenta una lunga dimostrazione dell’affermazione contenuta nel suo titolo. Esso mostra anzitutto che ‘il Nuovo Testamento riconosce l’autorità delle sacre Scritture del popolo ebraico’. (…) Successivamente il Documento mostra che ‘il Nuovo Testamento attesta la propria conformità alle Scritture del popolo ebraico’”.

“Il Documento approfondisce molto il tema del compimento delle Scritture, poiché si tratta di un tema assai importante per i rapporti tra i cristiani e gli ebrei, ed è molto complesso. (…) Il compimento delle Scritture comporta necessariamente tre aspetti: un aspetto fondamentale di continuità con la rivelazione dell’Antico Testamento, ma allo stesso tempo un aspetto di differenza su alcuni punti ed un aspetto di superamento. Una semplice ripetizione di ciò che si trova nell’Antico Testamento non è sufficiente per poter parlare di compimento. È indispensabile un progresso decisivo”.

“Al paragrafo 21 il Documento torna sulla nozione di compimento e afferma che ‘è estremamente complessa, e può essere facilmente falsata se si insiste unilateralmente o sulla continuità o sulla discontinuità’. La pastorale deve dunque essere attenta a non falsare la nozione di compimento delle Scritture. Il documento continua affermando che ‘la fede cristiana riconosce il compimento, in Cristo, delle Scritture e delle attese di Israele, ma non comprende tale compimento come la semplice realizzazione di quanto era scritto. Una tale concezione sarebbe riduttiva. In realtà, nel mistero di Cristo crocifisso e risorto, il compimento avviene in modo imprevedibile. Comporta un superamento. (…) Il messianismo di Gesù ha un significato nuovo e inedito. (…) È meglio perciò non insistere eccessivamente, come fa una certa apologetica, sul valore di prova attribuita al compimento delle profezie. Questa insistenza ha contribuito a rendere più severo il giudizio dei cristiani sugli ebrei e sulla loro lettura dell’Antico Testamento”.

“Il Documento trae allora una conclusione che riguarda gli ebrei che non credono in Cristo: ‘Non si deve perciò dire che l’ebreo non vede ciò che era annunciato nei testi, ma che il cristiano, alla luce di Cristo e della Chiesa, scopre nei testi un di più di significato che vi era nascosto”. L’espressione, come si può notare, presenta molte sfumature. L’interpretazione cristiana supera il significato letterale di alcuni testi; conferisce loro ‘un di più di significato’ nei testi stessi, dato che ‘vi era nascosto'”.

“Ne consegue, secondo il Documento, che ‘i cristiani possono e devono ammettere che la lettura ebraica della Bibbia è una lettura possibile’. (…) Ma il Documento fa chiaramente comprendere che questa lettura, possibile per gli ebrei che non credono in Cristo, non è invece possibile per i cristiani, in quanto implica l’accettazione di tutti i presupposti del giudaismo, in particolare quelli ‘che escludono la fede in Gesù come Messia e Figlio di Dio’. ‘Ciascuna delle due letture è correlata con la rispettiva visione di fede di cui essa è un prodotto e un’espressione, risultando di conseguenza irriducibili l’una all’altra’”.

“Il Documento può dunque affermare che ‘sul piano concreto dell’esegesi, i cristiani possono, nondimeno, apprendere molto sull’esegesi ebraica praticata da più di duemila anni, e in effetti hanno appreso molto nel corso della storia’”.

“Le Scritture del popolo ebraico sono raccolte nella Bibbia cristiana sotto il nome di Antico Testamento. Il Documento fa subito osservare in proposito che ‘definendo le Scritture del popolo ebraico ‘Antico Testamento’, la Chiesa non ha voluto affatto suggerire che esse siano superate e che se ne potesse ormai fare a meno. Al contrario, essa ha sempre affermato che Antico e Nuovo Testamento sono inseparabili”.

“Il Documento constata che ‘il Nuovo Testamento accetta pienamente tutti i grandi temi della teologia di Israele’, ma non si accontenta di ripetere ciò che è stato già scritto al riguardo; li approfondisce, e ciò esige un superamento in vista di una progressione. ‘La persona e l’opera di Cristo così come l’esistenza della Chiesa si situano (nettamente) nel prolungamento della storia d’Israele'”.

“In tal modo il Nuovo Testamento si colloca, in rapporto alle Sacre Scritture del popolo ebraico, secondo una linea di profonda fedeltà, ma di una fedeltà che è al tempo stesso creatrice, conformemente agli oracoli profetici che annunciavano ‘una nuova alleanza’ e il dono di un ‘cuore nuovo’ e di uno ‘spirito nuovo'”.

“Il III capitolo del Documento si intitola ‘Gli Ebrei nel Nuovo Testamento’. Inizia con una esposizione preliminare (…), sui ‘Punti di vista diversi’ (…). Sarebbe effettivamente un errore concepire il giudaismo dell’epoca come una realtà monolitica. Occorre al contrario constatare l’esistenza di diverse correnti di pensiero e di comportamento, spesso opposte tra di loro”.

“Il Documento ritiene ‘probabile che Gesù non sia appartenuto ad alcuno dei partiti che esistevano allora in seno al giudaismo. Era semplicemente solidale con la maggior parte del popolo. (…) Quanto al gruppo dei discepoli, sembrava ‘riflettesse il pluralismo allora esistente in Palestina’”.

“Dopo questa esposizione preliminare, il Documento esamina il modo in cui gli ebrei vengono presentati nei Vangeli e negli Atti degli Apostoli; (…). ‘Sugli ebrei, i Vangeli e gli Atti hanno una prospettiva fondamentale molto positiva, perché riconoscono il popolo ebraico come il popolo scelto da Dio per realizzare il suo disegno di salvezza”.

“Un altro aspetto della situazione è espresso in seguito con questi termini: ‘Accolta positivamente all’inizio da molti ebrei, la Buona Novella (annunciata in nome di Gesù) si è scontrata con l’opposizione dei dirigenti, che alla fine sono stati seguiti dalla maggior parte del popolo. Ne è risultata, tra le comunità ebraiche e le comunità cristiane, una situazione conflittuale, che ha evidentemente lasciato il suo segno nella redazione dei Vangeli e degli Atti”.

“Il Documento fa osservare che ‘nel Nuovo Testamento i rimproveri rivolti agli ebrei non sono più frequenti né più virulenti delle accuse espresse contro gli Israeliti nella Legge e nei Profeti. Non devono quindi servire da base all’antigiudaismo. Un utilizzo a questo scopo è contrario all’orientamento d’insieme del Nuovo Testamento. Un vero antigiudaismo, cioè un atteggiamento di disprezzo, di ostilità e di persecuzione contro gli ebrei in quanto ebrei, non esiste in alcun testo del Nuovo Testamento ed è incompatibile con l’insegnamento che questo contiene’. Ciò che esiste, sono dei rimproveri rivolti a certe categorie di ebrei per motivi religiosi (…) I rimproveri non corrispondono mai a un atteggiamento di odio”.

“Per concludere, il Documento osserva che il Nuovo Testamento ‘si trova in forte disaccordo con la grande maggioranza del popolo ebraico’, perché è ‘essenzialmente una proclamazione del compimento del disegno di Dio in Gesù Cristo (annunciato nell’Antico Testamento)’ e la grande maggioranza del popolo ebraico ‘non crede a questo compimento. (…) Per quanto profondo possa essere, un tale dissenso non implica affatto ostilità reciproca”.

“‘Il dialogo resta possibile, poiché ebrei e cristiani posseggono un ricco patrimonio comune che li unisce, ed è fortemente auspicabile, per eliminare progressivamente, da una parte e dall’altra, pregiudizi e incomprensioni, per favorire una migliore conoscenza del patrimonio comune e per rafforzare i reciproci legami’. È in questa direzione che una completa docilità alla Parola di Dio porterà la Chiesa a progredire”.