"Il Camerun ha capito cosa voleva dire il Papa. L'Europa no". L'episcopato camerunense sulla recente visita di Benedetto XVI

 “L’Episcopato camerunese sottolinea con forza che i camerunesi hanno accolto con gioia e entusiasmo papa Benedetto XVI, confermando così la loro leggendaria ospitalità. Non nega la realtà dell’AIDS, né i suoi effetti devastanti sulle famiglie del Camerun”. È quanto si legge nella nota della Conferenza episcopale camerunese (Cec), diffusa oggi dall’agenzia Fides:.. “È soprattutto stupefacente che la stampa voglia far credere all’esistenza di un malcontento dell’opinione pubblica camerunese durante la visita del Santo Padre, come conseguenza delle sue dichiarazioni”. I vescovi camerunensi, “sbigottiti” per il trattamento che i media hanno riservato a Benedetto XVI riprendendo parzialmente la risposta del Papa ad un giornalista sull’impegno della Chiesa nel combattere la diffusione dell’AIDS in Africa, “si rammaricano del fatto che i media, soprattutto occidentali, abbiano dimenticato gli altri aspetti nondimeno essenziali del messaggio africano del Santo Padre sulla povertà, sulla riconciliazione, sulla giustizia e la pace”: “Questo è molto grave, quando si conosce il numero di morti causati dalle altre malattie in Africa sulle quali non vi è alcuna pubblicità; quando si sa il numero di morti che causano in Africa le lotte fratricide, dovute all’ingiustizia e alla povertà”.

AI GIORNALISTI NEL VIAGGIO DI RIENTRO VERSO ROMA

“Cari amici giornalisti mi sono rimaste nella memoria soprattutto due impressioni: da una parte l’impressione di questa cordialità quasi esuberante, di questa gioia, di un’Africa in festa, e mi sembra che nel Papa hanno visto, diciamo, la personificazione del fatto che siamo figli e famiglia di Dio. Esiste questa famiglia e noi con tutti i limiti siamo in questa famiglia e Dio è con noi. E così la presenza del Papa ha … aiutato a sentire questo … E dall’altra parte mi ha fatto grande impressione lo spirito di raccoglimento nelle liturgie, il forte senso del sacro: nelle liturgie non c’è autopresentazione dei gruppi, autoanimazione, ma c’è la presenza del sacro, di Dio stesso; anche i movimenti erano sempre movimenti di rispetto e di coscienza della presenza divina. Questo mi ha fatto una grande impressione.
Poi devo dire che sono stato profondamente colpito dal fatto che sabato nel caos formatosi all’ingresso dello stadio sono morte due ragazze. Ho pregato e prego per loro. Purtroppo una non è stata ancora identificata. Il cardinal Bertone e mons. Filoni hanno potuto visitare la mamma dell’altra ragazza: una donna vedova, coraggiosa, con cinque figli. La ragazza deceduta, era la prima dei suoi figli ed era una catechista. E noi tutti preghiamo e speriamo che in futuro le cose possano essere organizzate in modo che questo non succeda più.
Poi due altri ricordi rimasti nella mia memoria: un ricordo speciale – ci sarebbe tanto da dire – è il Centro Cardinal Léger: mi ha toccato il cuore vedere qui il mondo delle sofferenze molteplici, tutta la sofferenza, la tristezza, la povertà dell’esistenza umana, ma anche vedere come Stato e Chiesa collaborano per aiutare i sofferenti. Da una parte lo Stato gestisce in modo esemplare questo grande Centro, dall’altra, movimenti ecclesiali e realtà della Chiesa collaborano per aiutare realmente queste persone. E si vede, mi sembra, che l’uomo aiutando il sofferente diventa più uomo, il mondo diventa più umano: questo rimane iscritto nella mia memoria.
Poi abbiamo distribuito l’Instrumentum laboris per il Sinodo e abbiamo anche lavorato per il Sinodo. Nella sera del giorno di San Giuseppe mi sono riunito con i componenti del Consiglio per il Sinodo – 12 vescovi – e ognuno ha parlato della situazione della sua Chiesa locale, delle loro proposte, delle loro aspettative, e così è nata un’idea molto ricca della realtà della Chiesa in Africa, come si muove, come soffre, che cosa fa, quali sono le speranze, i problemi. Potrei raccontare molto, per esempio che la Chiesa del Sudafrica, che ha avuto un’esperienza di riconciliazione difficile, ma sostanzialmente riuscita, aiuta adesso con le sue esperienze il tentativo di riconciliazione in Burundi e cerca di fare qualcosa di simile, anche se con grandissime difficoltà, in Zimbabwe.
Infine vorrei ancora una volta ringraziare tutti coloro che hanno contribuito per la bella riuscita di questo viaggio: abbiamo visto quali preparativi lo avevano preceduto, come hanno collaborato tutti, vorrei ringraziare le autorità statali, civili, della Chiesa e tutti i singoli che hanno collaborato. Mi sembra che veramente la parola “grazie” dovrebbe concludere questa avventura e grazie ancora una volta anche a voi, giornalisti, per il lavoro che avete fatto e farete. Buon viaggio a voi tutti. Grazie!”