Informazione non raccontata. Tragedia quotidiana in Somalia, la guerra civile. 4mila morti al giorno

Circa quattromila persone fuggono ogni giorno dalla Somalia stretta nella morsa della siccità e della guerra civile, secondo quanto riferito ieri a Ginevra da Raouf Mazou, il responsabile per la regione del Corno d’Africa dell’alto commissariato dell’Onu per i rifugiati (Unhcr). Tra le persone che fuggono dal Paese, molte sono in gravi condizioni di salute, tanto che il tasso di mortalità nel campo rifugiati gestito dall’Onu a Dolo Ado, in Etiopia, è molto più alto di quello di altre strutture nell’Africa subsahariana. Paul Spiegel, responsabile per il dipartimento sanitario dell’Unhcr, si è detto sconvolto per quello che sta avvenendo nella regione. «A Dolo Ado la situazione è terribile», ha affermato.

Nel campo vivono circa centomila rifugiati, per lo più originari della Somalia, e oltre la metà dei bambini soffre di malnutrizione. Situazioni altrettanto drammatiche si registrano a Dadaab, in Kenya, il più vasto agglomerato di campi profughi al mondo, dove si trovano ormai quasi quattrocentomila rifugiati.
Secondo i dati dell’Onu, un terzo dei circa sette milioni e mezzo di somali sono profughi, tra rifugiati all’estero e sfollati interni. Proprio oggi, la missione locale dell’Onu ha dichiarato ufficialmente lo stato di carestia in due regioni del sud della Somalia, il Bakool e il Basso Shabelle, dove sono circa 350.000 a rischio imminente di morte per fame. Da parte sua, l’Unhcr sta aumentando le forniture di aiuti d’emergenza nel sud e nell’ovest della Somalia e monitorando lo spostamento di persone verso i Paesi vicini per assistere al meglio i somali in fuga dalla patria.
Ma «attualmente la situazione degli operatori umanitari in Somalia non è per nulla ideale», ha osservato il portavoce dell’Unhcr, Adrian Edwards. La Somalia, proprio per il perdurare della guerra civile, è infatti il Paese dove è più difficile operare per contrastare le conseguenze della siccità che sta stremando anche vaste aree del Kenya, dell’Etiopia e di Gibuti.

In tutto il Corno d’Africa decine di migliaia di persone sono costrette a spostarsi, sia all’interno dei territori nazionali, sia oltre confine. «I movimenti di popolazione coinvolgono non solo rifugiati e richiedenti asilo, ma anche un gran numero di comunità nomadi pastorizie che non hanno altra scelta che lanciarsi sulle complesse rotte della migrazione, inizialmente dalle zone rurali verso le città, e per molti attraverso i confini», ha sottolineato ieri una nota dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim).
Oltre ai somali, in fuga sono soprattutto gli etiopici, in particolare allevatori che devono far fronte alla moria del bestiame, loro unica fonte di sostentamento. L’Oim ricorda che i loro spostamenti alla ricerca di pascoli o di fonti d’acqua diventano spesso un fattore di tensione con le comunità stanziali, soprattutto nel nord del Kenya, nei distretti di Turkana, Wajir e Mandera.

(Osservatore Romano, 22 luglio)