L’identità del vescovo/ Meditazione tenuta dal cardinale prefetto della Congregazione per i Vescovi a un’assemblea di presuli brasiliani riuniti nel santuario di Nostra Signora di Aparecida.
Poiché il nucleo essenziale della santificazione del mondo consiste nella comunione con l’amore trinitario, occorre approfondire la dimensione trinitaria della nostra identità di battezzati e di ministri ordinati che possiedono la pienezza del sacerdoPzio. L’esortazione apostolica Pastores gregis mette in evidenza l’identità trinitaria del vescovo nei seguenti termini: «La vita di Cristo è trinitaria. Egli è il Figlio eterno ed unigenito del Padre e l’unto di Spirito Santo, mandato nel mondo; è Colui che, insieme col Padre, invia lo Spirito alla Chiesa» (n. 7).
Applicando questa dimensione trinitaria al vescovo, la Pastores gregis, ispirandosi a Ignazio di Antiochia, mostra che il vescovo è Padre: «Ogni vescovo occupa di conseguenza il posto del Padre di Gesù Cristo, in modo che, proprio in funzione di questo ruolo, deve essere rispettato da tutti» (Ibidem). Ciò avviene perché il vescovo è configurato a Cristo che è «l’icona originale del Padre» e la manifestazione della «sua presenza misericordiosa tra gli uomini» (Ibidem). Per questo la Pastores gregis aggiunge: «Il Vescovo, agendo in persona e in nome di Cristo stesso, diventa, nella Chiesa a lui affidata, segno vivente del Signore Gesù Pastore e Sposo, Maestro e Pontefice della Chiesa» (Ibidem).
Infine, ultima dimensione della sua identità trinitaria, il vescovo è configurato a Cristo mediante l’unzione dello Spirito Santo, che gli conferisce il potere di dare vita alla Chiesa nonostante la sua debolezza.
Si potrebbe pensare che tale identità trinitaria del vescovo basti a fondare e a nutrire la sua spiritualità e la sua ricerca della santità. Il Vaticano II non dice forse che, per un sacerdote — e soprattutto per un vescovo — l’esercizio delle sue funzioni pastorali nello Spirito di Cristo è il mezzo più sicuro per conseguire la santità? «I presbiteri raggiungeranno la santità nel loro modo proprio se nello Spirito di Cristo eserciteranno le proprie funzioni con impegno sincero e instancabile» (Presbyterorum ordinis, n. 13).
Notiamo tuttavia che tutte queste dimensioni della sua pienezza sacerdotale sono volte al servizio del sacerdozio comune dei battezzati che permane nella persona del vescovo come in tutti i battezzati.
Ora, però, importa innanzitutto inquadrare bene l’identità trinitaria del battezzato e la sua dimensione sacerdotale al fine di comprendere come il vescovo resti su un piano di uguaglianza con tutti i battezzati, pur essendo posto «dinanzi a loro e di fronte all’assemblea» proprio per servire la piena realizzazione del sacerdozio dei battezzati.
In quanto battezzato, il vescovo, come ogni battezzato, gode della grazia più importante che ci sia: la filiazione divina adottiva. Questa viene ricevuta in condivisione ed è confermata dall’effusione dello Spirito filiale che rende il battezzato capace di testimoniare Cristo con forza e perseveranza in ogni circostanza.
Essendo l’identità filiale del battezzato intrinsecamente ecclesiale, la prima testimonianza del confermato è di unirsi all’assemblea eucaristica dove la sua identità trinitaria è portata a termine, secondo la sequenza tradizionale dei sacramenti dell’iniziazione cristiana.
In effetti, mediante la partecipazione all’offerta sacrificale di Cristo e la comunione al suo Corpo e al suo Sangue, il battezzato accede alla comunione vitale con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo.
I tre sacramenti dell’iniziazione stabiliscono così, in successione, un legame personale del battezzato con ogni Persona divina: il battesimo conferisce la grazia dell’adozione filiale; la confermazione vi aggiunge il sigillo dello Spirito Santo che rende capaci di testimoniare, con la forza di Dio; l’Eucaristia corona l’identità cristiana mediante il rapporto personale con il Padre, poiché è Lui, il Padre, a essere l’ospite per eccellenza del banchetto eucaristico.
Il ministero del vescovo, in comunione con il suo presbiterio, è interamente al servizio dell’identità trinitaria dei fedeli nella Chiesa.
Esso raggiunge il suo apice nella celebrazione eucaristica, dove la Chiesa come tale diviene un sacramento della comunione trinitaria, essendo intimamente associata all’esercizio del sacerdozio di Cristo (Cfr. costituzione dogmatica Lumen gentium, n. 10: «Il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale o gerarchico, quantunque differiscano essenzialmente e non solo di grado, sono tuttavia ordinati l’uno all’altro, poiché l’uno e l’altro, ognuno a suo proprio modo, partecipano dell’unico sacerdozio di Cristo»).
Questa partecipazione implica le due forme del sacerdozio — «che differiscono essenzialmente e non solo di grado» — che sono strettamente legate e che si corrispondono come le Persone nella Santissima Trinità.
Il sacerdozio gerarchico esiste dunque nella Chiesa per far vivere il sacerdozio filiale dei battezzati. L’articolazione delle due forme, nell’unità dello stesso Spirito, opera sacramentalmente la santificazione del mondo ottenendo per esso lo Spirito di santità. È questa la missione della Chiesa nei riguardi del mondo.
Questa riflessione sull’identità trinitaria del battezzato e del vescovo deve ricordarci che, sebbene rappresenti il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, il vescovo resta fondamentalmente un figlio di Dio come gli altri, la cui santità specificatamente ministeriale dipende in ultima analisi dalla sua santità filiale, dalle sue intime disposizioni di apertura alla volontà divina, di gratitudine, di disponibilità allo Spirito e dall’umile perseveranza nella preghiera e nella carità. «Con tutti gli altri fedeli egli condivide l’insuperabile dignità di figlio di Dio, da vivere nella comunione e in spirito di grata fraternità». «Il Vescovo diventa “padre” proprio perché pienamente “figlio” della Chiesa», ci dice l’esortazione apostolica Pastores gregis (n. 7).
Per evitare il pericolo di attivismo, di assorbimento nella funzione e di esercizio inappropriato dell’autorità, il vescovo non deve dimenticare che egli continua a vivere come figlio di Dio, deve riposare con il Figlio nella braccia del Padre, deve talvolta smettere di correre per unirsi a Cristo nella contemplazione, per lasciarsi rinnovare nell’anima e godere della gioia di credere, di sperare e di amare. Anche se è spesso pesantemente sovraccarico di responsabilità, il vescovo conserva la serenità che danno la fede, la fiducia in Dio e l’affidarsi alla sua Provvidenza. Non dimentica che il Padre che egli rappresenta si occupa non solo dei gigli dei campi, ma soprattutto dei suoi amati figli.
È meglio affidarsi a Lui abbandonandosi alla sua volontà che voler risolvere a tutti i costi problemi complessi dalle molteplici ramificazioni. Tanti mali colpiscono i nostri popoli: miseria, povertà, ingiustizie, scarsità di risorse umane e pastorali, conflitti, ecc. Il vescovo resta un protagonista importante a capo del suo popolo, si conta molto sulla sua presenza, sulla sua parola e sulla sua azione a favore dei poveri, ma in ultima istanza è sempre la testimonianza della sua vita di fede saldamente radicata nella preghiera a conferirgli quell’autorità morale e paterna di cui i fedeli hanno bisogno per rendere a loro volta testimonianza. La sua testimonianza rimanda sempre in ultima analisi al primato della grazia e della comunione. E i suoi rapporti fraterni con i sacerdoti, suoi stretti collaboratori, sono i primi a beneficiarne per il bene della Chiesa.
Il primo vescovo del Québec, il beato Francesco de Laval, fu un grande pioniere dell’evangelizzazione in America del Nord, alla fine del XVII secolo. Egli dovette combattere il commercio dell’acquavite per proteggere la dignità degli autoctoni contro certi sfruttatori. Dovette attraversare molte volte l’Atlantico per andare a perorare, senza successo, la loro causa presso la corte del re Luigi XIV. Ma la storia ricorda di lui soprattutto il suo amore per i poveri, la sua ascesi rigorosa e in particolare la sua preoccupazione per i sacerdoti perché fossero uniti e si aiutassero a vicenda come una vera famiglia. Fondò il seminario di Québec, una famiglia sacerdotale che svolse un ruolo importante nell’insediamento della Chiesa in America del Nord. Si tratta di un’istituzione importante ancora fiorente grazie al suo attaccamento a questo santo vescovo fondatore che lasciò su tutte le sue opere il sigillo trinitario della Santa Famiglia di Nazaret. Si spense il 6 maggio 1708 ed è stato beatificato da Giovanni Paolo II il 22 giugno 1980.
Un secolo prima della sua morte, nel 1608, anno di fondazione di Québec, san Francesco di Sales, il santo vescovo di Annecy, vicino a Ginevra, pubblicava la sua famosa Introduzione alla vita devota che avrebbe segnato il grande secolo della spiritualità francese e soprattutto avrebbe favorito la diffusione in tutta la Chiesa della chiamata universale alla santità. Devo personalmente molto a questo santo vescovo di Annecy che ha ispirato Francesco de Laval e tanti altri santi come san Vincendo de’ Paoli, santa Giovanna di Chantal, santa Luisa di Marillac, san Giovanni Eudes e san Luigi Maria Grignon de Montfort.
Marc Oullet, Prefetto Congregazione dei Vescovi
2 agosto 2011