«Ci sono nel mondo tante forze buone che agiscono per la costruzione di una società più giusta…». Lo sguardo del cardinale Carlo Maria Martini, arcivescovo emerito di Milano, è rimasto quello di sempre. Ma la voce lo ha quasi abbandonato. Una delle conseguenze del morbo di Parkinson che l’ha colpito alla fine del suo mandato nella diocesi ambrosiana. La stessa malattia di Giovanni Paolo II, il Papa che a sorpresa nel dicembre di trentadue anni fa, chiamò questo insigne biblista gesuita, che da bambino aveva sognato di fare il giornalista, alla guida della Chiesa di Milano, la più grande d’Europa, tra le più importanti del mondo. Nell’ultima lettera pastorale avrebbe scritto: «L’impatto con la Chiesa di Milano e anche con la società civile mi ha dato immensamente più di quanto io non abbia saputo dare o avrei potuto immaginare». Nel 2002, appena compiuti 75 anni, Martini ha chiesto di potersi ritirare nella terra di Gesù. «Voglio andare in Terra Santa per un motivo spirituale, per pregare e intercedere per coloro che soffrono, e per riprendere a studiare la Bibbia». Ha trascorso alcuni anni a Gerusalemme, ha partecipato al conclave che ha eletto Papa un suo coetaneo, Joseph Ratzinger. Poi la malattia l’ha costretto a tornare in Italia, a Gallarate. Per parlare usa talvolta un microfonino che amplifica la sua voce. Cammina con difficoltà e si muove quasi sempre in sedia a rotelle. Il cardinale, nato a Torino nel 1927, ha accettato di dialogare con La Stampa sul senso del Natale in questo tempo di crisi, invitando ancora una volta ad avere speranza, perché «ci sono nel mondo tante forze buone che agiscono», lui che ha confessato «di aver sempre creduto più nella forza irradiante e contagiosa del bene che nella deplorazione del male». «Sono lieto – ci dice Martini – di poter collaborare con il vostro giornale ricordando tutti gli amici torinesi. Le mie risposte saranno necessariamente molto brevi perché questo è un tempo di grande impegno».
Eminenza, il Natale celebra la nascita di un Dio che si fa bambino. Che cosa ha significato e che cosa significa per noi?
«In passato, nella cultura occidentale ha significato moltissimo. Oggi è presente per lo più in forme spurie. Per un cristiano significa sempre la dedizione incredibile di Dio per l’uomo ed è fonte di riflessione teologica e filosofica senza fine».
Il racconto della nascita di Gesù finisce talvolta per essere presentato come una fiaba zuccherosa. Quali ragioni ci sono per credere al racconto evangelico?
«Il racconto di Luca ha una attestazione singola. Tuttavia si può credere con fiducia a quanto raccontato dai devoti di Gerusalemme risalenti ultimamente a Maria».
Questo Natale arriva in un momento per noi denso di paure, di incertezze, di recessione. Quale messaggio comunica l’evento della nascita di Cristo nell’attuale condizione di crisi, alla vigilia di un nuovo che si teme ancora più faticoso?
«In questa condizione di crisi il Natale è fonte di speranza: esso ci dice che le cose di questo mondo valgono poco e sono soggette al giudizio di Dio».
Che cosa possiamo cogliere di positivo in questo frangente?
«Dobbiamo credere che ci sono nel mondo tante forze buone che agiscono per la costruzione di una società più giusta».
Possiamo ancora aver fiducia e speranza per il futuro? E se sì, perché?
«Pensando a questi uomini, e a Dio che abita in loro, non possiamo non aspettarci che il futuro sia sempre migliore. Naturalmente per chi lo guarderà sotto la luce del Dio Eterno».
La crisi ci fa interrogare sul nostro stile di vita, in molti casi costringe a cambiarlo. Che valore ha la sobrietà?
«La sobrietà è una parola che conviene molto all’immagine di questo tempo. È l’uso corretto dei beni della terra valutati alla luce del traguardo finale».
Che cosa si sente di dire a un giovane che non ha prospettive certe di lavoro e non può metter su famiglia?
«È una situazione molto dolorosa. Bisogna dare tanto sostegno a questi giovani soprattutto nella fiducia. A essi va detto che il paradiso lo si conquista attraverso sacrifici e che la sobrietà è in sé un vero sacrificio».
A Friburgo lo scorso settembre, Benedetto XVI ha parlato della necessità per la Chiesa di non confidare nelle sue strutture e nel potere, per essere più povera e più libera. Che cosa ne pensa?
«Plaudo alle parole del Papa e prego perché si avverino. La tradizione della Chiesa a partire dalla Sacra Scrittura ha sempre esortato a non confidare né nel potere né nelle strutture ma nella povertà e nella libertà del cuore».