Sabato 15 settembre, nella cattedrale di Fano, Don Gabriele Micci è stato ordinato presbitero per l’imposizione delle mani del Vescovo Mons. Armando Trasarti e del Cardinale Mons. Elio Sgreccia. Un cammino, quello… di Gabriele, che lo ha portato ad abbracciare il Signore nella scelta del sacerdozio, una scelta consapevole e desiderata affidata alla grazia del buon Padre Dio per poter servire il suo popolo. La solenne celebrazione si è svolta in un profondo raccoglimento che non ha però potuto contenere la grande emozione e l’immensa serenità che si è manifestata con lacrime di gioia di Don Gabriele. Nell’omelia il Vescovo Armando ha sottolineato come è necessaria oggi una rinnovata “concentrazione su Cristo”, dobbiamo diventare contemplatori di Gesù, poiché sarà questo rapporto personale e diretto con Lui che ci salverà. Lui è origine della fede e solo guardando il Suo volto l’uomo capirà chi è Dio e chi è l’uomo. “Non serve un nuovo programma – ha detto il Vescovo – c’è già è Cristo stesso !”. Mons. Trasarti si è poi rivolto a Don Gabriele esortandolo a perseverare nella sua scelta, “il sacerdozio – ha detto – esige che ogni giorno motiviamo con costanza e perseveranza la sequela di Cristo… non vivere mai il ministero con modi spavaldi, esso è un dono datoti in vasi di creta”. Fedeltà e fortezza dovranno essere il programma di vita del sacerdote, servo e amico di ogni uomo capace di ridare a Dio quanto da Lui ricevuto. Nell’esortare don Gabriele a porre le sua fondamenta sulla parola di Dio, il Vescovo ha concluso l’omelia dicendo al neo eletto presbitero di andare la dove la Chiesa ha bisogno, la dove gli uomini hanno fame e sete di Dio e della sua Parola, sicuro e certo che Maria non farà mancare la sua tenerezza e il suo accompagnamento. Alla fine della Celebrazione Don Gabriele, con le lacrime agli occhi dalla commozione, ha ringraziato la sua famiglia e tutti quanti lo hanno accompagnato lungo il cammino chiedendo una grazia a Dio Padre: quella di potere essere sempre Umile e in comunione con la Chiesa tutta.
MG
Omelia integrale del vescovo Mons. Trasarti
“E voi chi dite che io sia?”
Pietro si fa portavoce: “Tu sei il Messia (il Cristo)”. E’ una buona risposta, a condizione di comprendere esattamente ciò che significa e implica questo titolo tradizionale dato all’inviato di Dio che tutti attendevano.
La sincera professione di fede da parte di Pietro non è sufficiente per accettare un Messia sofferente, riprovato dai capi religiosi e perfino ucciso. La confessione di Pietro è accompagnata da una “sconfessione” da parte di Gesù. La fede, infatti, richiede una continua purificazione. La fede è pasqua, è una scelta continua e gioiosa, è un aprirsi a Dio. Questo itinerario di fede conosce nel Maestro e nel discepolo la croce, la donazione estrema di sé. “E’ attraverso molte tribolazioni che bisogna entrare nel Regno di Dio” (At 14,22)
“Cio’che ci viene chiesto non è una semplice professione di fede, ma di essere trovati nella pratica della fede fino all’ultimo istante della nostra vita” (Ignazio di Antiochia, Lettera agli Efesini).
La presa di posizione di fronte a Gesù Cristo, anzi la risposta vitale alla sua persona e al suo messaggio e ancor più il rapporto di simbiosi con Gesù Cristo, vincitore della morte e signore della storia, è nucleo essenziale e caratteristica fondamentale della vera “vita nello spirito” (Benedetto XVI, Gesù di Nazaret).
Spiritualità cristiana deve significare in modo inequivocabile e attualizzato un incontro personale, intimo, perseverante, esperienziale con Gesù Cristo, Signore glorificato, capo della Chiesa e presente nell’universo, il determinante assoluto e la realtà suprema che appaga il suo cuore inquieto.
Occorre una rinnovata concentrazione su Gesù Cristo.
“Non è forse compito della Chiesa riflettere la luce di Cristo in ogni epoca della storia, farne risplendere il volto anche davanti alle generazioni del nuovo millennio? La nostra testimonianza sarebbe, tuttavia, insopportabilmente povera, se noi per primi non fossimo contemplatori del suo volto” (NMI 16) e più avanti “un rinnovato slancio nella vita cristiana, facendone anzi la forza ispiratrice del nostro cammino … Non una formula ci salverà, ma una Persona, e la certezza che essa ci infonde: Io sono con voi! Non si tratta allora di inventare un nuovo programma. Il programma c’è già: è quello di sempre, raccolto dal Vangelo e dalla viva Tradizione. Esso si incentra, in ultima analisi, in Cristo stesso, da conoscere, amare, imitare, per vivere in lui la vita trinitaria, e trasformare con lui la storia fino al suo compimento nella Gerusalemme celeste” (NMI 29).
E i vescovi italiani a loro volta riconoscono:
“La Chiesa può affrontare il compito della evangelizzazione solo ponendosi, anzitutto e sempre, di fronte a Gesù Cristo, parola di Dio fatta carne: Egli è la “grande sorpresa di Dio”,
colui che è all’origine della nostra fede e che nella sua vita ci ha lasciato un esempio, affinché camminassimo sulle sue tracce (cf. 1 Pt 2,21). Solo il continuo e rinnovato ascolto del Verbo della vita, solo la contemplazione costante del suo volto permetteranno ancora una volta alla Chiesa di comprendere chi è il Dio vivo e vero, ma anche chi è l’uomo. Solo seguendo l’itinerario della missione dell’Inviato – dal seno del Padre fino alla glorificazione alla destra di Dio, passando per l’abbassamento e l’umiliazione del Messia – sarà possibile per la Chiesa assumere uno stile missionario conforme a quello del Servo, di cui essa stessa è serva” (CVMC 10).
La Pasqua di Cristo è e deve rimanere l’evento centrale della vita di Cristo e di quella della Chiesa. Deve essere l’evento centrale di ogni vita cristiana: morte e vita sono le due facce dello stesso mistero. Nella vita spirituale la risurrezione del Crocifisso appare il mistero più personale di ciascuno dei credenti. Secondo la Lumen gentium (n. 38), il cristiano è chiamato ad essere, nel suo tempo, un “testimone della risurrezione e della vita del Signore Gesù e un segno del Dio vivente”.
A Gesù non basta essere identificato come il Messia, come il Figlio di Dio. E’ ben altro quello che cerca. Cerca persone disposte a condividere la sua stessa esperienza di morte e di risurrezione, cerca dei discepoli pronti a prendere la loro croce e a seguirlo per una strada angusta che passa attraverso la collina del Calvario e giunge alla domenica della risurrezione. E allora non vi è nulla di più pericoloso che dichiarare la propria fede nel Cristo e poi cercare di piegare i suoi progetti alla nostra volontà.
Carissimo don Gabriele, hai perseverato fino ad oggi, ma non devi cessare di perseverare, perché il sacerdozio esige che ogni giorno motiviamo e confermiamo la nostra sequela. Il “seguimi” dovrà essere rinnovato in tanti momenti della tua vita sacerdotale e saranno anche momenti dolorosi e difficili, ma sempre ricchi da parte di Cristo e della Chiesa. Non essere eroe forte e spavaldo, ma sempre titubante ed incerto, tanto è grande il mistero che devi vivere ed amministrare.
Il sacerdozio è un tesoro che abbiamo in vasi di creta, perché le nostre debolezze e peccati sono bagagli pesanti che ci portiamo dietro. Malgrado ciò, siamo carichi di speranza perché siamo saldi sulla roccia della nostra salvezza che è Cristo Signore. Egli ti ha chiamato; Egli ti ha scelto sapendo bene le tue debolezze; Egli porterà a compimento l’opera che ha iniziato in te; Egli ti ripete la parola di incoraggiamento che sempre rivolge a colui che chiama: “Non temere, fidati di me, io sarò con te”. La cura della fede in Cristo sia dunque primaria nella tua vita di presbitero. Resta unito a Lui con la preghiera e con l’affetto profondo del cuore, lasciati trovare da Lui perché il suo amore è dolce e profonda la sua amicizia, fedele e forte è la sua presenza in te.
Non anteporre mai nessuna realtà umana, nessuna persona, nessuna esperienza, a Cristo: Lui deve essere il tuo programma di vita, la tua quiete spirituale, la sete più grande del tuo cuore, il tuo vero impegno
“Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” (Mt 10,8). Il tuo compito, che nasce dal dono del sacramento dell’Ordine che ti conforma a Cristo capo e pastore, servo e amico di ogni uomo, è dunque quello di restituire a lui quanto da lui hai ricevuto. Il ministero del presbitero è un ministero di restituzione, un dono ridonato, un “pane di vita e di amore spezzato per gli altri”.
Se è vero che si celebra ciò che si vive e si vive ciò che si celebra, tu devi anche manifestare che la tua esistenza si fa dono per tutti, pane spezzato per i poveri, per ogni persona. Se non fosse così, il tuo celebrare sarebbe un semplice rito chiuso dentro schemi astratti e poco credibili.
“Io vi affido a Dio e alla Parola della sua grazia” (At 20,32)
Non dimenticare mai: noi portiamo la Parola agli altri solo se siamo portati dalla Parola.
Ma cosa significa questa espressione forte e paradossale: “affidati alla Parola”? Significa che noi mettiamo la nostra fede nella Parola di Dio e non in noi stessi o in altre realtà.
Giovanni Paolo II nella Pastores dabo vobis al n. 26 così scrive: “Il sacerdote deve essere il primo “credente” alla Parola, nella piena consapevolezza che le parole del suo ministero non sono “sue”, ma di colui che lo ha mandato. Di questa parola egli non è padrone : è servo”.
Esprimo infine il più vivo grazie alla tua famiglia, che con generosità dona alla Chiesa un figlio. Un gesto che, ne sono certo, avrà un ritorno ricco di grazia e di benedizione da Colui che sa ricompensare più di quanto noi desideriamo e attendiamo. Un grazie alla comunità cristiana in cui sei cresciuto e dove hai maturato la tua vocazione o sperimentato le prime esperienze pastorali, ai superiori, docenti ed educatori, che ti hanno accompagnato lungo il cammino.
Ed ora va : l’ora della Chiesa è importante e grave. La Chiesa ti attende. Gli uomini vicini e lontani, ti aspettano ed hanno, incosapevolmente o no, bisogno di te. Tu non potrai rimandarli digiuni: hanno fame e sete di Dio; hanno bisogno della sua parola e del suo pane che salva.
Và come servo e non come padrone, come amico e non come dominatore, come ministro di Cristo e dispensatore dei suoi misteri.
E non temere! Scrive San Giovanni Crisostomo: “Molti marosi e minacciose tempeste ci sovrastano, ma non abbiamo paura di essere sommersi, perché siamo fondati sulla roccia. Infuri pure il mare, non potrà sgretolare la roccia. S’innalzino pure le onde, non potranno affondare la navicella di Gesù. Cosa, dunque, dovremmo temere? La morte?” Ma “per me il vivere è Cristo e il morire un guadagno” (Fil 1,21).
Ti accompagni sempre la tenerezza della Vergine Madre: la madre di Gesù stava presso la croce” (oggi festa dell’Addolorata) e la protezione dei nostri Santi Patroni.
Basilica Cattedrale di Fano, 15 settembre 2012
Armando Trasarti
Vescovo