“Ascoltare, non giudicare e accogliere”. Al Centro Pastorale un incontro per parlare di accompagnamento spirituale per divorziati, separati e riaccompagnati

“La Chiesa deve saper accompagnare,  farsi compagna del povero”. Con queste  parole il vescovo Mons. Armando Trasarti ha aperto, martedì 2 ottobre al Centro Pastorale, “Il Signore è vicino a chi ha il cuore ferito”…un incontro, molto partecipato, per parlare di accompagnamento spirituale per divorziati, separati e riaccompagnati. L’introduzione è stata affidata a don Mauro Bargnesi, responsabile dell’ufficio diocesano per la Pastorale della Famiglia, il quale ha ricordato l’importanza di un cammino di accompagnamento per le coppie in difficoltà. “Da questa sera – ha spiegato don Mauro – ci rendiamo disponibili, in diocesi, per un itinerario spirituale con un’equipe che si è già formata”. Poi la parola è passata al Vescovo il quale ha sottolineato l’importanza di una Chiesa che si faccia compagna di viaggio. “Negli ultimi venticinque anni la famiglia è  cambiata come prima in cinquecento anni. Qualora andasse alla deriva un rapporto affettivo – ha continuato Mons. Trasarti –  non può andare alla deriva il rapporto educativo”. Il Vescovo ha poi messo in evidenza il valore della tenerezza, troppo spesso dimenticato, e l’invito, in queste situazioni difficili, a non dare mai giudizi.
Don Carlo Rocchetta, responsabile della “Casa della Tenerezza” di Perugia nata per aiutare coppie in difficoltà, ha voluto porre l’accento, partendo proprio dalla sua esperienza di vita, su due questioni: il dramma della separazione e l’accoglienza da parte della comunità ecclesiale. “La separazione è un lutto, con tutto ciò che il lutto stesso comporta: il senso di smarrimento, di solitudine, il domandarsi ‘che senso ha ora la mia vita?’. In queste situazioni – ha proseguito don Rocchetta – c’è il rischio di cadere in uno stato d’animo di violenza nei confronti di se stessi, degli altri, di Dio. Ed ecco allora il senso di vendetta, la rimozione psicologica, la ricerca di evasioni, di paradisi artificiali quanto illusori, e il masochismo, la rassegnazione al dolore, escludendosi da una vita ordinaria fino ad arrivare alla depressione. Come venire fuori da tutto ciò? Innanzitutto, occorre accettare il sentimento negativo e impegnarsi a sostituirlo con la tenerezza e con il perdono, che è il più grande dono che possiamo fare a noi stessi”. Don Rocchetta ha, poi, ricordato come la separazione o il divorzio non riguardino solo i coniugi ma anche i figli. Sono anche loro a pagarne le conseguenze. “Per quanto riguarda la comunità ecclesiale dobbiamo chiederci ‘quale accoglienza riserviamo ai separati?’. Sicuramente urge una pastorale nuova, di vicinanza. La chiesa deve essere segno della tenerezza di Dio. Di fronte – ha concluso don Rocchetta – ai divorziati che hanno scelto di risposarsi vorrei suggerirvi tre indicazioni pastorali: ascoltare la loro sofferenza, non giudicare e accogliere con il cuore stesso di Dio. Il fallimento di un matrimonio non rompe il legame con Dio, non cancella la fede, non spezza la comunione battesimale con la Chiesa”.

Per ascoltare l’audio dell’intera relazione di don Carlo Rocchetta: Don Carlo Rocchetta – 2 ottobre 2012

Enrica Papetti