“Il bene riesce ancora a reggere il colpo del male”. L’omelia del Vescovo nella Santa Messa di fine anno

In questa celebrazione siamo invitati ad unirci ai pastori del presepio che glorificano e lodano Dio per tutto quello che hanno visto e udito. L’intenzione è di esprimere un grande, corale ringraziamento per tutto ciò che il Signore continua ad operare nella nostra vita… E’ un ringraziamento che ha molti livelli. Parte dalle cose piccole, normali, quotidiane; da ciò che siamo riusciti a costruire, che ci è stato regalato; da quanto di bello ci è accaduto.
Ma non è sufficiente; occorre andare oltre. Se metti in fila gli avvenimenti felici che ti sono successi nel corso di quest’anno e quelli meno positivi, è difficile che emerga un’occasione di grande ringraziamento. Probabilmente è il negativo a prevalere. Ci accorgiamo che certamente dobbiamo ringraziare perché il bene è più grande del male. Altrimenti il mondo non reggerebbe. Se la realtà fosse davvero quella che ci presentano, fatta di assassini, ladri, disperati, disgraziati, gente di cui non ci si può fidare, noi non potremmo nemmeno esserci, il mondo non potrebbe esitere, reggere. Se esistiamo, vuol dire che in realtà il bene riesce ancora a reggere il colpo del male. Perché ci sono più persone oneste che disoneste, più gente che costruisce la vita di quella che la distrugge. E’ un fatto di cui ringraziare: è importante ricordarcene.

Ma non basta ancora. Ci serve una dimensione ulteriore, che non può essere tolta: una realtà di cui ringraziare e che non dipende dalla fragilità della nostra condizione umana.

Ci serve il Signore Gesù. Ci serve Lui. Ciò di cui noi ringraziamo è che Lui continua ad operare, restando con noi. Noi ringraziamo che ci perdona tutte le volte che andiamo a confessarci e tutte le volte che ci rivolgiamo a Lui, chiedendo la sua misericordia. Noi ringraziamo che ci dona il suo Corpo e il suo Sangue. Noi ringraziamo perché continuamente ci dona la sua Parola, ci indica la via; è il nostro Maestro, il nostro Signore. Noi ringraziamo per qualcosa che dipende da Lui e che ha quindi le connotazioni dell’eternità; qualcosa che nessuno ci può togliere e da cui dipendono tutte le altre forme di ringraziamento. Se, a partire da Lui, guardi indietro, ti accorgi che il bene seminato, le realtà che vengono costruite nella piccolezza della tua esistenza, dipendono da quel Bene, da quella realtà così grande e bella che nessuno può togliere. Nessuno ci può portare via Cristo. Possono contrastarci. Possono ucciderci. Ma non possono toglierci Lui.

 

La chiusura di un anno contribuisce a far prendere coscienza del tempo che passa, fa ripensare alle tante persone che solo lo scorso anno erano con noi e che oggi non ci sono più, pone di fronte a interrogativi profondi: che senso ha la vita che passa, ci attende qualcosa dopo e che cosa? La storia e questo nostro mondo dove vanno?

“Insegnaci a contare i nostri giorni e acquisteremo un cuore saggio” (Sal 90,12). Dunque, se c’è un modo di contare gli anni che conduce alla saggezza del cuore, significa che c’è anche un modo di contare gli anni che produce stoltezza. Il tempo rivela il limite e la finitezza dell’esistenza umana.

E’ proprio il mistero del Natale, che stiamo celebrando e vivendo in questi giorni, a svelarci il significato radicalmente nuovo che il tempo riveste per la nostra esistenza e per il nostro destino, dato che in Gesù Dio ha voluto condividere con noi questo cammino nel tempo.

Il mistero del Natale ci delinea con chiarezza due possibilità che interpellano fino in fondo la nostra libertà.

“Venne tra i suoi, e i suoi non l’hanno accolto” (Gv 1,11): c’è la possibilità di non accogliere Cristo; c’è la possibilità di pensare il tempo vuoto di orizzonte e di speranza.

“A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio” (Gv 1,12): c’è la possibilità dell’accoglienza di Cristo, che conduce ogni uomo e ogni donna a trovare un’intimità profonda ed eterna e a rivolgersi a Dio chiamandolo, come faceva lo stesso Gesù, “Abbà! Padre!” (Gal 4,6).

 

Al termine della celebrazione pregheremo cantando: “Te ergo, quaesumus, tuis famulis sùbveni, quos pretiòso sanguine redemisti – Soccorri, te ne preghieamo, i tuoi figli, Signore, che hai redento col tuo sangue prezioso”.

Soccorrici, Signore,  con la tua misericordia, nella nostra scelta di vita. Soccorri tutti quelli che non riescono a guardare al futuro con speranza; tutte le persone che nello scorrere del tempo sono incapaci di cogliere la chiamata alla pienezza; tutte le famiglie che vivono incomprensioni e lacerazioni profonde; tutti i popoli che vivono nel conflitto armato; tutti quelli che sono fortemente provati dalla crisi economica e dalla perdita del lavoro.

Sempre cantando, pregheremo ancora:”Salvum fac populum tuum, Domine, et benedic hereditati tuae –salva il tuo popolo, Signore, guarda e proteggi i tuoi figli che sono la tua eredità”.

Guarda e proteggi la nostra comunità diocesana, Signore. Dona ad essa lo Spirito Santo e sostienila nel cammino di maturità nella fede, perché possa testimoniare la tua salvezza e rispondere adeguatamente  alle sfide che oggi tutti chiamano in modo pressante.

Molteplici sono le problematiche e le angustie presenti, che coinvolgono persone, familgie, comunità. Ma il nostro canto di ringraziamento al Signore sorge comunque spontaneo, perché nasce dalla certezza espressa proprio dalle ultime parole del Te Deum: “In te, Domine, speravi: non confundar in aeternum – Signore, Tu sei la nostra speranza, non saremo confusi in eterno!”

Spogliaci, Signore, di ogni ombra di arroganza. Rivestici dei panni della misericordia e della dolcezza. Donaci un futuro gravido di grazia e di luce e di incontenibile amore per la vita.

Aiutaci a spendere per Te tutto quello che abbiamo e che siamo.

E la Vergine tua Madre ci intenerisca il cuore. Fino alle lacrime.

 

+ Armando Trasarti
Vescovo