“Lo sguardo della donna sulla fede, sulla famiglia, sulla Chiesa

15.09ftAssembleaDiocesanaDomenica 8 marzo, nella Sala Riunioni del Centro Pastorale Diocesano, si è tenuta l’assemblea pastorale diocesana per operatori pastorali sul tema “Lo sguardo della donna sulla fede, sulla famiglia, sulla Chiesa”. Ad animare il pomeriggio il coro gospel “Slave Song” di Cuccurano. Di seguito, riportiamo la sintesi dei vari interventi.

 

L’INTRODUZIONE DEL VESCOVO ARMANDO
“L’amore è più forte”

“Sotto la croce ci sono queste donne che guardano da lontano”. Facendo riferimento al Vangelo di Marco (15,40-47), il Vescovo Armando ha introdotto il tema dell’assemblea ricordando come “è la donna, solo la parte femminile di ogni persona, che può cogliere la risurrezione”. “E’ un caso – ha proseguito il Vescovo – che ci siano solo le donne a stare con Gesù? Dove sono gli uomini, gli apostoli, i suoi fedeli amici? E’ un caso che le prime testimoni della risurrezione, in tutti i vangeli, siano le donne o non è forse un messaggio forte per noi? E’ la donna, solo la parte femminile di ogni persona, che può cogliere la risurrezione. Chi non conosce la tenerezza, l’amore, l’affetto, lo stupore, il pianto, i sentimenti, la disperazione, il dolore, l’impotenza, la paura non può 2vedere” nessun Gesù. Solo chi conosce la vita, la vive, la sente, pensate a una madre, solo chi sa quanto sia doloroso partorire, far nascere la vita, solo chi conosce l’amore, chi sa provare qualcosa nel cuore e percepire l’altro, solo costui potrà “vedere” il Risorto, che la vita non ha fine e che l’amore è più forte di tutto. L’amore – ha proseguito il Vescovo – non si arrende, non può credere alla fine, alla morte. Chi vive nell’amore, conosce l’eternità. Anche quando tutto sembra dire al contrario, anche quando tutto sembra finito, l’amore conosce l’eternità. L’amore vuole “per sempre”. Queste donne non si arrendono all’evidenza dei fatti perché conoscono l’evidenza del cuore, dell’anima, della vita e di Dio. E proprio per questo sperare al di là di ogni speranza, per questo credere al di là di ogni ragionevole credenza, per questo amare al di là della fine. Proprio loro saranno le prime testimoni della Resurrezione. Avevano visto bene: l’amore è più forte.

 

LA RIFLESSIONE DI SUOR PATRIZIA NOCITRA
Alzare lo sguardo per vedere il Risorto

Suor Patrizia Nocitra, clarissa del monastero Santa Speranza di San Benedetto del Tronto, ha voluto iniziare la sua lectio su “Le donne annunciano la Resurrezione” riprendendo una breve poesia di Turoldo “Donna, forma estrema del Sogno, anima del mondo, tu sei il grido della creazione”. “La donna – ha spiegato suor Patrizia – viene definita, in questi pochi versi, come sogno ovvero come desiderio, aspirazione, ideale, mondo ovvero realtà concreta nella quale essa vive e agisce e creazione, termine che rimanda all’origine, alle radici, ma anche all’interiorità”. Con questa immagine, suor Patrizia ha concentrato la sua attenzione sul Vangelo di Marco (16,1-8) preso in esame brevemente anche dal Vescovo nell’introduzione. “Il Vangelo di Marco ci presenta tre donne, Maria di Magdala, Maria di Jose e Salome. Maria di Magdala, la donna perdonata, l’anima del mondo, Maria di Jose è definita madre ovvero colei che genera, che è gravida di vita, il grido della creazione e infine Salome, la donna della pace, la forma estrema del sogno. Queste donne osservano da lontano, sanno ritrovare Gesù perché hanno lo sguardo fisso su di Lui, uno sguardo capace di andare oltre l’immediato, uno sguardo contemplativo, capace di leggere ciò che sta accadendo con la sensibilità tipica del mondo femminile”. Continuando con la riflessione sul Vangelo di Marco, suor Patrizia si è soffermata  sull’immagine del “levar del sole”, un’annotazione non cronologico-temporale, ma simbolica ovvero il sole come luce della Risurrezione, e su tre importanti azioni che fanno le tre donne: lo seguivano nel senso più profondo della sequela, ovvero l’abbandonare tutto per seguire Gesù, lo servivano come vera e propria diaconia vivendo nella Parola di Cristo e salivano con lui a Gerusalemme condividendo, quindi, la stessa sorte di Colui che hanno seguito. “Al centro del brano – ha sottolineato suor Patrizia – c’è la tomba vuota, la pietra non è rotolata via nel binario apposito, ma è stata proprio scaraventata. Noi, a volte, abbiamo il cuore duro e pesante come quella pietra e finchè non alziamo lo sguardo da terra la pietra del sepolcro rimane morte. E’ solo quando alziamo lo sguardo, lo sguardo della fede, che possiamo vedere il Risorto. Il giovane, vestito di una vesta bianca, che le tre donne vedono affida loro un compito, quello di accendere il cuore dei discepoli annunciando che Gesù è risorto e li precede in Galilea. Le donne fuggono dal sepolcro in uno sgomento estatico. L’evangelista Marco non ci dice chi incontrano nel cammino, lo lascia sottinteso perché le donne incontrano, o meglio ci vengono quasi addosso per svegliarci, per farci alzare lo sguardo e vedere la Risurrezione. Tutti noi – ha concluso suor Patrizia – che siamo Chiesa, siamo la posa di Cristo, siamo gravidi di questa vita. E’ la Chiesa la forma estrema del sogno”.

 

LA STORIA DI PIA MICCOLI, MOGLIE, MADRE E ANIMATRICE DEI GRUPPI FAMIGLIA
Nelle coppie che incontriamo vediamo la bellezza di Dio

“Sono Pia Miccoli e sono cristiana. Esserlo mi rende una persona a tratti felice e appagata quando il mio sguardo diventa quello della fede”. E’ iniziato così il racconto di Pia Miccoli, donna lavoratrice, moglie, madre di cinque figli con un’esperienza di affido e animatrice dei gruppi famiglia. “La mia fede è semplice, ma mi dà gioia. Nei momenti difficili mi sento presa per mano da Gesù. Mi dà gioia – ha proseguito Pia – vedere la bellezza di Dio nelle coppie di sposi che incontriamo nel nostro servizio di animatori dei gruppi famiglia. Anche io ho avuto i miei momenti bui, in cui credevo che la fede non mi fosse di alcun aiuto, ma il Signore mi ha dato sempre l’umiltà di chiedere aiuto e la possibilità di accogliere, oltre ai miei cinque figli, una ragazza del Cante, un dono prezioso per la nostra famiglia. E’ difficile trasmettere la fede ai figli, specialmente nell’età dell’adolescenza, e a volte in questo mi sento inadeguata: non vogliono essere cristiani per obbligo e noi preghiamo affinché i nostri figli possano incontrare, ogni giorno, Gesù nella loro vita e contemporaneamente vogliamo da loro rispetto per le nostre scelte. Nel nostro servizio, camminiamo insieme a tante coppie e a tanti religiosi in uno spirito di grande condivisione. Tanto, infatti, abbiamo dato ma tanto di più abbiamo ricevuto”.

 

SINTESI DELLA TESTIMONIANZA DI ELISABETTA CAVAGLIERI
Finalmente trovammo “l’alba dentro l’imbrunire”

“Scoprii il senso della comunità che ancora si respirava in quel piccolo borgo chiuso tra i monti. In accordo con mio marito aprii la casa ai giovani del posto affinché ci si potesse incontrare per parlare di noi, prima, poi, con l’aiuto di un giovane seminarista, confrontarci con e nelle pagine del Vangelo”. E’ iniziata, con queste parole la testimonianza di Elisabetta Cavaglieri, insegnante di Frontone, una storia forte di chi ha conosciuto la sofferenza, la malattia, ma che, grazie alla fede, ha trovato “l’alba dentro l’imbrunire”. Ha aperto ai presenti il libro della sua vita, sfogliandolo pagina per pagina, dalla scelta di partire per la missione in Burundi fino alla malattia del figlio Federico e ai piccoli passi del suo miglioramento. “Riassumere tre intensissimi anni di vita in breve – ha spiegato Elisabetta riferendosi alla permanenza nella missione – è sicuramente difficile. Comincerò con il dire che  per tutto il tempo non tornammo mai in Italia, ma tentammo di immergerci per quanto ci era possibile nella mentalità “rundi” senza svilire la nostra identità. Avevamo dovuto superare qualche momento difficile: Federico ed io avevamo contratto la malaria nonostante la profilassi. Inoltre, il piccolo aveva avuto anche un’infezione alle tonsille piuttosto grave, da cui fortunatamente ne uscimmo grazie all’intervento di medici volontari europei. Rientrammo in Italia nell’aprile 1982”. Elisabetta ha proseguito poi la sua storia, raccontando della sua di insegnante e della nascita della sua secondogenita Federica. “Quando, tornando nell’agosto 2001 dalla Turchia Federico cominciò a soffrire di disturbi all’orecchio, facemmo subito gli accertamenti del caso finchè, a fine novembre, a causa dell’aumento dei dolori e di continue epistassi, gli otorini di Cesena si risolsero ad operarlo. L’operazione fu interrotta per la presenza di una massa nella zona della rinofaringe non bene identificata. Ci volle un po’ di tempo per realizzare che la cosa stava capitando proprio a noi. Rientrati nella realtà, prendemmo contatto con l’Istituto per lo Studio e la Cura dei Tumori di Milano. Il responso fu netto: carcinoma rinofaringeo”. Inizia per Elisabetta e la sua famiglia il dolore della chemioterapia, l’angoscia dell’attesa e poi la speranza delusa. “Quando tutto sembrava andare per il meglio, quando anche i controlli davano buoni risultati, Federico cominciò a indebolirsi al punto da non riuscire più a camminare. Ci andò ugualmente a dare il suo ultimo esame all’università. Lo superò faticosamente, ma lo superò. Era il primo sintomo di un estenuante calvario”. Il 15 marzo 2004 Federico è riuscito a laurearsi, sentendosi, con grande soddisfazione, uno storico dell’arte. Ma le sofferenze non erano finite: la cecità completa di Federico, il ricovero nell’ospedale post acuzie di Pergola “come un vegetale, che si nutriva tramite PEG, che respirava con la tracheo, urinava con il catetere e non parlava ormai da molto tempo. “Alla fine del 2009 ci fu consegnato a casa in dimissione protetta dal momento che rifiutammo la proposta di metterlo in qualche istituto ad aspettare la morte. Dopo un ennesimo ricovero ospedaliero per epistassi, ci consigliarono di portarlo per un po’ di tempo all’hospice di Fossombrone. Inoltre eravamo stremati nel fisico e nell’animo”. E poi finalmente “l’alba dentro l’imbrunire”. Dopo essere stati “obbligati”, come ha affermato la stessa Elisabetta, dai medici dell’hospice a prendersi una vacanza per staccare e riprendere fiato, la notizia straordinaria: Federico aveva ripreso a parlare. “Una gioia enorme catturò me e mio marito. I primi di ottobre ritornò a casa con dei piccoli segni di miglioramento. Poi negli anni che seguirono, ancora piccoli passi, per altri impercettibili, ma per noi importanti. Personalmente – ha proseguito Elisabetta – ho smesso di litigare con l’Altissimo quando al mattino mi reco a scuola in macchina, ora Gli parlo con più dolcezza. Certo, non riesco ancora a ringraziarLo per il dono di questa mia vita, come talvolta fa Federico, ma sto imparando ad accettarla vivendola pienamente”.