Per progettare il futuro occorre prima di tutto prendere coscienza di quello con cui la crisi ci ha fatto fare i conti. Dal momento in cui, poi, la crisi è quantificata solo sulla base di indici meramente economici, ai più attenti balzerà all’occhio che il fattore cruciale di questo ormai strutturale tilt sociale è l’assenza dell’uomo all’interno delle molteplici considerazioni di merito. Una nuova umanità al lavoro: esperienze in atto. Non solo il titolo dell’evento in questione, ma un vero stile di lavoro.
Da queste constatazioni si è mosso l’incontro organizzato dalla metropolia delle diocesi di Pesaro, Fano e Urbino di mercoledì 22 aprile, che si è tenuto presso l’aula magna dell’istituto “Maestre Pie Venerini” di Fano. A introdurre i lavori, dopo la presentazione di Gabriele Darpetti, direttore dell’Ufficio diocesano per i problemi sociali e del lavoro di Fano, è stato il vescovo Armando. «Una crisi è sempre il segno di una comprensione incompleta delle cose e di una prassi non sufficientemente attenta alla realtà», ha detto il Vescovo, che poi ha proseguito citando un concetto ampiamente rimarcato nell’enciclica Caritas in Veritate di papa Benedetto XVI: «Il mondo economico non sta in piedi senza un patrimonio abbondante di fiducia tra le persone e i gruppi sociali. Teniamo presente inoltre che l’uomo ha bisogno di lavoro non solo a livello economico, ma anche per costruire l’immagine di sé, per avere autostima, soddisfazione, per essere e sentirsi protagonista della vita sociale».
Un concetto caro anche all’ospite della serata, don Davide Vicentini, direttore della fondazione “Giuseppe Toniolo” di Verona, che è intervenuto dicendo: «Occorre mettere la persona al centro dell’economia, superando la visione tipica di oggi che tende a vedere esclusivamente dei rischi nelle imprevedibili variabili degli individui. Così come infatti non possiamo parlare di crisi della politica senza considerare la crisi che investe i politici stessi, non possiamo nemmeno ragionare in merito alla crisi dell’economia senza guardare al primario soggetto di essa, l’uomo». Subito dopo l’invito a superare la separazione della vita delle persone da qualsiasi altro fenomeno sociale, considerandoli invece come facce inseparabili della stessa medaglia, don Vicentini ha provocatoriamente chiesto: «Sentiamo più dire che si va a lavorare per piacere? Oppure si va a lavorare per portare a casa lo stipendio e basta? È dunque ovvio che così ci siano soggetti disinteressati dell’andamento dell’azienda per la quale lavorano, così come del rapporto con i loro colleghi». Dunque occorre recuperare un metro di valutazione che supera i numeri: «Se un rapporto si fonda sul valore, allora la differenza si gioca sui valori, prima ancora che sul rendimento. Noi cristiani dovremmo imparare a “pesare” le persone, non solo “pagarle”. Qui si innesta la vera risposta alla crisi in atto, che è innanzitutto di matrice antropologica. Puntare sulle persone porterebbe inoltre a un esponenziale aumento della responsabilità percepita dagli individui, che vale più di infinite regole. In questo scatto di umanità da compiere quanto prima si gioca la vera sfida in cui noi cattolici – ha concluso don Davide Vicentini – dovremmo distinguerci come persone così appassionate dell’essere umano da metterci la faccia, tenendo presente che a noi, per guadagnarci il regno dei cieli, è sufficiente solo un bicchier d’acqua».
Sollecitati da queste riflessioni di così spiccato rilievo, hanno preso la parola cinque esponenti di altrettante realtà locali che, da tempo, esercitano in modo virtuoso il concetto di impresa. Tante e vicine sono le esperienze in atto a cui si faceva riferimento nel titolo che però non possono essere considerate come esempi irraggiungibili, ma come percorsi attraverso i quali uscire in modo stabile dall’odierna crisi.
Matteo Itri