“Celebrare la vita significa prendere coscienza del nostro esistere”

Celebrare la vita significa prendere coscienza del nostro esistere, del partecipare a quel processo vitale che pervade l’universo. La vita, per quanto la si voglia inquadrare nel tempo, dargli un inizio e una fine, inserirla fra due date (nascere e morire) e in questo spazio di tempo cronometrarle, in realtà non ha età. Ha sempre il sapore della freschezza anche quando la pelle del volto è attraversata da rughe.

Celebrare la vita significa riconoscerne la sorgente: Dio stesso! Dio creatore, egli solo può comunicare il soffio vitale alle  creature, in particolare all’uomo crea un’anima che non conoscerà più la fine ma è resa, fin dal principio, partecipe dell’eternità!

Dal messaggio dei nostri vescovi per questa giornata apprendiamo con profonda convinzione che di questa  vita il mondo di oggi, spesso senza riconoscerlo, ha enorme bisogno per cui si  aspetta dai cristiani l’annuncio della buona notizia per vincere la cultura della tristezza e dell’individualismo, che mina le basi di ogni relazione. Punto iniziale per testimoniare il Vangelo della vita e della gioia è vivere con cuore grato la fatica dell’esistenza umana, senza ingenuità né illusorie autoreferenzialità. Il credente, divenuto discepolo del Regno, mentre impara a confrontarsi continuamente con le asprezze della storia, si interroga e  cerca risposte di verità. In questo cammino di ricerca sperimenta che stare con il Maestro, rimanere con Lui (Mc 3,14; Gv 1,39) lo conduce a gestire la realtà e a viverla bene, in modo sapiente, contando su una concezione delle relazioni non  generica e temporanea, bensì cristianamente limpida e incisiva. La Chiesa intera e in essa le famiglie cristiane, che hanno appreso il lessico nuovo della relazione evangelica e fatto proprie le parole dell’accoglienza della vita, della gratuità e della generosità, del perdono reciproco e della misericordia, guardano alla gioia degli uomini perché il loro compito è annunciare la buona notizia, il Vangelo. Un annuncio dell’amore paterno e materno che sempre dà vita, che contagia gioia e vince ogni tristezza”.

“L’amore dà sempre vita” (Amoris laetitia cap 5).

La novità della vita e la gioia che essa genera sono possibili solo grazie all’agire divino. La grazia  della gioia è frutto di una vita vissuta nella consapevolezza di essere figli che si consegnano con fiducia e si lasciano “formare” dall’amore di Dio Padre, che insegna a far festa e rallegrarsi per il ritorno di chi era perduto.

I segni di una cultura chiusa all’incontro gridano nella ricerca esasperata di interessi personali o di parte, nelle aggressioni contro le donne, nell’indifferenza verso i poveri e i migranti, nelle violenze contro la vita dei bambini fin da concepimento e degli anziani segnati da una estrema fragilità. Il Papa ricorda che solo una comunità dal respiro evangelico è capace di trasformare l realtà e guarire dal dramma dell’aborto e dell’eutanasia: una comunità che sa farsi “samaritana” chinandosi sulla storia umana lacerata, ferita, scoraggiata; una comunità che con il salmista riconosce: “Mi indicherai il sentiero della vita, gioia piena alla tua presenza, dolcezza senza fine alla tua destra” (Sal 16,11).

 

Di questa vita il mondo di oggi ha enorme bisogno per cui si aspetta dai cristiani l’annuncio della buona notizia per vincere la cultura della tristezza e dell’individualismo, che mina le basi di ogni relazione.