Maddalena, Veronica, Elisa e Letizia, della Diocesi di Fano Fossombrone Cagli Pergola, hanno vissuto un’esperienza breve in Burundi con l’associazione Urukundo onlus. Riportiamo la testimonianza di Maddalena.
Ho realizzato il mio grande sogno. Sono stata in Africa, precisamente in Burundi. Non ero da sola, anzi, ho avuto delle ottime compagne di viaggio: Veronica, Elisa e Letizia.
Siamo state a Gitega presso la Congregazione del Buon Pastore e della Regina del Cenacolo. Il tempo ci è volato e, inutile dire, che siamo rimaste travolte da ciò che abbiamo visto e sperimentato.
Abbiamo avuto la possibilità di toccare letteralmente con mano i progetti portati avanti da Urukundo Onlus in collaborazione con la Congregazione: il progetto mattone, il progetto capretta, il progetto adozioni, il progetto carta di identità.Abbiamo trascorso una giornata presso il villaggio di Mabaya, con Padre Francesco, ad aiutare i nostri amici pigmei a costruire una casa: andare a prendere l’acqua, mescolare terra e acqua per formare il fango, che funge da cemento, incastonare bene i mattoni.. E’ stata un’esperienza che ci ha toccato particolarmente, concreta, pratica, che ci ha fatto molto riflettere sulla fatica che affrontano ogni giorno.
Siamo, inoltre, state al villaggio di Mubuga, con padre Achille, nel quale si sta portando avanti un progetto agricolo che consente ai pigmei ivi stanziati di avere del cibo, come manioca, patate, melanzane: ci siamo cimentate tra loro con zappa e acqua per irrigare il terreno.
Abbiamo comprato 27 caprette che sono state, poi, donate a 81 famiglie, appartenenti ai villaggi di Nibungere e Buga.
Ci siamo immerse nella cultura africana, ci siamo lasciate trasportare da emozioni indescrivibili. Abbiamo fatto incontri che ricorderemo per sempre, abbiamo abbracciato bambini il cui volto è impossibile da dimenticare.
Siamo state accolte come se fossimo di famiglia, in primis dalla Congregazione, ma non da meno sono stati i villaggi in cui siamo state: sia al nostro arrivo, sia al momento dei saluti finali, le donne con il peso dei loro bambini legati alla schiena ballavano per noi, per ringraziarci, per accoglierci. Mi sono divertita a dare un “nome” a questo tipo di amore, accoglienza, a questa solidarietà che ci è stata mostrata in ogni sua sfaccettatura, l’ho chiamato “razzismo al contrario”. Parlo in prima persona, ma penso di poter coinvolgere anche le altre 3 ragazze con cui ho vissuto questa esperienza, dicendo che mai ci siamo sentite così parte di qualcosa, parte di un progetto più grande di noi
Abbiamo visto tanto. Abbiamo capito tanto. E ora non ci resta che urlare, letteralmente gridare, la gioia che abbiamo immagazzinato in questo mese, la gioia che loro ci hanno trasmesso, una gioia e una carica che non avevamo mai provato.
Siamo state in Africa. Speriamo di tornare in Africa. Ma da qui la nostra missione continua, vogliamo che continui!