L'omelia del Vescovo nella Santa Messa in carcere

“Gesù, accolto nel cuore, cambia tutto”

Una tradizione ebraica racconta di alcuni giovani, che chiedono a un vecchio rabbino quando sia cominciato l’esilio di Israele.  “L’esilio di Israele – risponde il Maestro –  cominciò il giorno in cui Israele non soffrì più del fatto di essere in esilio”. L’esilio non comincia quando si lascia la patria, ma quando non c’è più nel cuore la struggente nostalgia della patria.  L’esilio è di chi ha dimenticato il destino, la meta più grande, il cielo del desiderio e della speranza. Malattia mortale è l’illusione di sentirsi arrivati e soddisfatti, compiuti nella propria vicenda. Si è morti quando il cuore non vive più l’inquietudine e la passione del domandare, il desiderio di cercare. Natale è gioia e tormento. Dio atterra sul pianeta, ma evita la città. Nasce fuori, ai margini, in periferia, dove meno lo si aspetta. Per incontrarlo occorre uscire da sé e da abitudini consolidate. Dio delude quanti hanno dimestichezza con il sacro. Nasce nel corso di un censimento, nel trambusto di un viaggio, tra gli odori acri di una stalla. Viene al mondo tra le pieghe e le piaghe della vita. Lo si vorrebbe potente, invece nasce in una mangiatoia. Lo si crede giudice, invece sa solo perdonare. Lo si vuole giusto, invece paga tutti con la stessa moneta, tanto coloro che hanno sostenuto il peso di tutto il giorno, come quegli altri che hanno faticato solo per un’ora. Lo si pensa come un dio da  copertina, invece ama il silenzio e la semplicità. Dopo trent’anni di silenzio salva l’umanità sostituendosi sul patibolo al peccato di tutti e di ciascuno. Ecco, arriva il tuo Salvatore (Isaia 62,11-12). Ci ha salvati per la sua misericordia ((Tito 3,4-7). Il segreto della gioia sta  nel capire che con la venuta di Gesù nel mondo non è cambiato in un erto senso proprio niente per quanto riguarda le vicende esteriori: ancora si ride e si piange, ci si ammala e si sta bene, ci si combatte, si vince, si muore, la vita scorre come prima della venuta di Gesù. Ma per chi accoglie l’annuncio degli angeli cambia il senso di ogni singolo evento, cambia l’orizzonte e la prospettiva in cui esso si compie, cambia la forza interiore con cui lo si vive. E allora cambia tutto. E’ come se in matematica al posto di un segno negativo, davanti a un  numero, venga messo un segno positivo. Invece di un “meno”, c’è un “più”: il numero sembra lo stesso, però cambia tutto.

  • Gesù, accolto nel cuore, cambia tutto: cambia la vita, cambia la storia, cambia l’eternità. Tutto è nuovo, tutto può acquistare senso, tutto ha senso; tutto il dolore è intriso di speranza, tutta la gioia è soffusa di moderazione  e di scioltezza, tutto il lavoro è vissuto come qualcosa che davvero costruisce, o qui o poi, la casa dove abitare. Per comprendere l’incarnazione dobbiamo soprattutto accogliere gli uomini sulla terra così come sono, divisi e separati l’uno dall’altro, in grado di ferirsi e farsi del male a vicenda, e financo di uccidersi e di essere causa della loro stessa rovina.

Se il mondo così com’è trova posto nella vita di Dio, significa  per Dio stesso entrare nella bassezza , nel rigetto, nel rifiuto e nell’abiezione mortale.

Con la sua incarnazione avviene ciò che cantiamo a Natale: “Egli si spoglia di ogni suo potere, si abbassa e si fa umile, assumendo la figura del servo, lui che è il Creatore di tutte le cose.

Ma è proprio in questo che consiste allora la grande speranza che il Natale rinfranca: ognuno di noi è infinitamente vicino a Dio, nessuno gli è distante.

Nel Natale Dio si lega in maniera radicale al nostro concreto destino umano, scende “fin nel fango” dell’umanità e condivide la vita di tutti noi, anche quella dei più umiliati, dei più miserabili, dei più disprezzati

 

Dio ha dunque in sé una inclinazione amorosa e misericordiosa così grande verso la creatura-uomo da voler partecipare da vicino non solo alla nostra storia felice, ma anche alla nostra storia disgraziata, per prenderla su di Sé e riportare ciascun uomo alla sua verità, al dialogo filiale con Lui, Creatore e Padre.

Nel Natale Dio manifesta in maniera inequivocabile la sua inclinazione e propensione a favore dell’uomo, propensione che si spinge fino a divenire Egli partecipe  in Gesù della nostra storia di dolore,  perché questa nostra storia diventi, mediante Gesù, una storia di salvezza.

Con il Natale è stata proclamata quella parola del Signore che ci comunica la cosa più semplice ma più essenziale, cioè che non siamo abbandonati e soli in un mondo venuto fuori per caso, non siamo sballottati in un vortice di eventi senza significato, ma siamo amati, siamo amati da Dio, siamo amati senza limiti, siamo amati senza essercelo meritati. Spesso anche noi cristiani siamo soliti pensare che si debba prima essere buoni e giusti per poi meritare di esser amati da Dio: ma questo modo di pensare è sbagliato. La rivelazione della Notte di Natale ce lo ridice: noi abbiamo bisogno prima di esser amati da Dio e di essere certi del Suo amore perdonante per potere poi diventare buoni e amarLo a nostra volta e amarci tra noi. La pretesa di essere buoni prima noi ci fa entrare in un vicolo cieco, ci butta in una situazione scoraggiante. Non siamo capaci  di amare sul serio per primi: troppe sono le smentite che vengono  non solo dai grandi odi e conflitti di cui parlano le cronache odierne, ma anche dalle mille punture di spillo con cui ci trafiggiamo a vicenda nella vita quotidiana, nelle famiglie, nei rapporti di lavoro, nella realtà di ogni giorno. Troppo poco siamo capaci di amare. Invece il dono dell’amore che Dio gratuitamente ci fa amandoci per primo ci mette nella luce e nella gioia, ci dona il coraggio di camminare e di resistere anche nelle situazioni pesanti, ci dà la facilità e il coraggio di fare anche noi il primo passo con altri fino a quel misterioso gesto che si chiama perdono. Come i pastori anche noi ti riconosciamo nel Bambino del presepio: Dio fatto uomo per strappare al potere del male, Dio fatto debole per trasmetterci la sua forza, Dio disarmato e fragile per manifestarci il suo amore. No, non è così che gli uomini ti aspettavano, ti raffiguravano. E anche noi, come i pastori, non possiamo tacere questo avvenimento che ha trasformato la storia.

   Anche noi, come Maria, siamo invitati a non lasciare passare invano questa grazia, a custodire ogni cosa, ogni messaggio e ogni evento, nel profondo del cuore, per cogliere il senso nascosto di ciò che ci è stato rivelato. 

E anche noi tornando a casa, diventeremo i tuoi messaggeri, diffondendo attorno a noi la speranza che ci è stata regalata.