Celebrata la Giornata del Malato a Saltara

“La Chiesa, un estremo tentativo di caricarsi chi soffre”

“Vorrei partire da questa immagine: “Il Signore ha creato gli angeli con due ali; gli uomini, invece, sono angeli con un’ala soltanto. Possono volare solo abbracciati!” Si può volare solo abbracciati! Soprattutto quando il fratello è rimasto con l’ala impigliata nella rete: malato, fragile, peccatore.. Nella rete della sue sofferenze si è persuaso di non poter volare più! Tutti possiamo avere un’ala di riserva per il fratello sfortunato. Ogni volta che mi trovo davanti a questo racconto della guarigione del paralitico a Cafarnao mi colpiscono sempre questi “anonimi barellieri”! Non posso fare a meno di pensare che la Chiesa sia, o debba essere, innanzitutto questo: un estremo tentativo di caricarsi chi soffre! E cercare di portarli, in tutti i modi, davanti a Colui che può fare qualcosa”.
Lo ha sottolineato il vescovo Armando durante l’omelia della celebrazione eucaristica per la XXXI Giornata Mondiale del Malato, sabato 11 febbraio, nella chiesa della Casa  di Riposo e Residenza Protetta “A. Maroncelli”, di Saltara, animata e gestita, da oltre 70 anni, dalle suore della Congregazione delle Adoratrici del Sangue di Cristo che assistono amorevolmente e con professionalità una cinquantina di ospiti anziani, alla presenza di numerosi fedeli e loro familiari, alcuni volontari ed operatori socio-sanitari e autorità civili. La celebrazione è stata promossa dall’equipe della Pastorale diocesana della Salute.
Il vescovo Armando ha accolto volentieri l’invito di Sr Laura, direttrice della Casa di Riposo, a rendere omaggio a Maria, benedicendo un’immagine lignea della Beata Vergine di Loreto. Statua che è memoria della presenza materna di Maria in questa Casa, soprattutto negli eventi drammatici della pandemia.
Nonostante la fragilità, la vulnerabilità e malattia facciano parte della nostra esperienze umana, non siamo mai pronti per affrontarle: anzi, come ricorda il Papa, “la malattia può diventare disumana se è vissuta nell’isolamento e nell’abbandono da parte degli altri o nella chiusura che ci imponiamo per non essere loro di peso”. Nella fede sappiamo che Gesù sta in mezzo all’umanità per cambiare lo sguardo di ognuno, su se stesso, sugli altri, sul mondo. Il suo sguardo d’amore pasquale è l’unico che risana, perché fa del dolore di ognuno il proprio, con la singolare capacità di assumerlo e di portarlo via con sé, spogliando la sofferenza dalla cecità in cui tenta di farci sprofondare.
Il vescovo Armando ci ha ricordato che “la Chiesa deve essere, innanzitutto questo: un estremo tentativo di caricarsi chi soffre! E cercare di portarli, in tutti i modi, davanti a Colui che può fare qualcosa. E per fare questo può essere necessario aprire strade insolite, come “il tetto” del Vangelo di oggi. E non dobbiamo avere paura se, delle volte, siamo costretti a battere vie sconosciute. Per i poveri e i malati bisogna farlo”. Mentre al dolore non si può impedire di restare avvolto nel mistero, si può consentire all’amore di dischiudere un mistero ancor più grande, l’unico che può davvero salvare tutti. Assicuriamo la nostra preghiera per tutti coloro che generosamente e con disponibilità si prendono cura degli altri: cappellani ospedalieri, volontari, ministri della Comunione, che vivono a fianco dei sanitari questa esperienza di accompagnamento, un’esperienza non facile. Condividiamo con loro le fatiche e le gioie e anche l’impegno quotidiano di chi cura e di chi si prende cura degli altri. È un grande dono per noi essere affianco a voi, a testimonianza del vostro impegno e della vostra carità. Nel nostro modo, nel nostro stile diciamo grazie al Signore!