Loreto 22 febbraio 2024

Sintesi del Ritiro Regionale del Clero

Il giorno 22 febbraio 2022 si è svolto a Loreto il Ritiro Regionale del Clero. Nella novità dello stile sinodale, si è voluto impostare il momento della riflessione e della condivisione nella modalità della conversazione nello Spirito, coinvolgendo come moderatori le equipes diocesane del Cammino sinodale.

L’idea è scaturita da un confronto interno alla Commissione presbiterale marchigiana, in cui si sono fatte presenti le difficoltà dei presbiteri a vivere il Cammino sinodale, nonché le fatiche della novità di una Chiesa tutta missionaria e tutta corresponsabile. La scelta di coinvolgere i moderatori laici è stata da una parte, suggerita da un’esigenza pratica, in quanto i laici impegnati nelle equipes diocesane del Cammino sinodale hanno ormai maturato l’esperienza dell’applicazione del metodo della conversazione nello Spirito, ma dall’altra è stato anche il segno visibile di una Chiesa che riconosce la corresponsabilità di tutti i fedeli battezzati, nel realizzare l’unica missione affidata al popolo di Dio, condividendo con il clero le medesime ansie e fatiche pastorali, ma anche la gioia e la grazia che promana dall’aver accolto Cristo nella propria vita. Non ci sono materie o ambiti, per quanto personali e attinenti a vocazioni e ruoli specifici, che non si possano condividere con tutti gli altri fratelli.

Il ritiro è iniziato con un momento di preghiera e una meditazione guidata da don Claudio Marchetti, Rettore del Seminario Regionale.

I partecipanti sono stati quindi suddivisi in 20 tavoli sinodali, ciascuno costituito da 10-12 partecipanti (vescovi, sacerdoti, diaconi, religiosi, seminaristi); 11 tavoli moderati da laici, donne e uomini, uno da una religiosa. Ogni tavolo, dopo un momento di preghiera di invocazione dello Spirito e di meditazione personale, si è confrontato sulle seguenti domande:

  1. Cosa suscita dentro di me il richiama di vincere la mondanità spirituale che può essere presente nel mio ministero? Ritengo che appartenga a una certa mondanità anche la tentazione dell’attivismo? Potrei definire una regola di vita del mio mistero, anche riguardo alla sobrietà del possedere, alla gestione del tempo di riposo, alla qualità delle mie conversazioni, agli ambienti di vita che frequento?
  1. Che eco trova in me il richiamo a superare da parte del ministro ordinato ogni forma di clericalismo? Come penso e vivo il “potere spiritale” che mi affida il ministero? Sono attento a difendere più il mio ruolo o la ricerca di un impegno di vero servizio, umile e disponibile?
  1. Come vivo le mie relazioni all’interno del presbiterio? Credo nella fraternità sacerdotale e la ricerco? Sono portato a sottolineare del vescovo più la sua autorità o la sua paternità, da cui trarre pace e serenità per il mio ministero? Credo nel valore della sinodalità, specialmente nel condividere il mio ministero con i laici che mi affiancano nel mio servizio pastorale?

 

IL METODO

Il metodo della conversazione nello Spirito si è confermato come la modalità giusta per condividere vissuti, gioie e fatiche in ascolto dello Spirito che parla attraverso la voce dei fratelli. Tutti sono ascoltati, senza interruzioni, senza essere giudicati. Nella conversazione spirituale non è previsto alcun dibattito o discussione: ci si mette in disposizione di umile ascolto dell’altro, lasciando che dal vissuto di chi narra, lo Spirito agisca e ispiri ciò che è buono per la propria crescita spirituale. Nel secondo giro di ascolto si condividono solo le risonanze, le suggestioni rispetto a quanto condiviso dagli altri. Ciascuno diventa così cassa di risonanza di ciò che lo Spirito ha suscitato per il fratello o la sorella che ha narrato.

Per ogni tavolo è stata redatta una scheda sintetica. Le risonanze emerse da ogni tavolo sono state sintetizzate come segue. Le espressioni virgolettate sono state estratte direttamente dalle sintesi, ed ivi riportate in quanto rappresentative di un sentire ricorrente emerso da più sintesi.

 

DALLE SINTESI DEI TAVOLI

Forte è il sentire comune di riconoscere il sacerdozio e la propria vocazione come un dono ricevuto.

La sfida di costituire comunità di fraternità sacerdotali viene vissuta da qualcuno come fatica; da altri come rischio di una mondanità sacerdotale che può rivestirsi anche di modalità religiose, “mondanità di smarrimento”. Qualcuno riferisce che la difficoltà delle relazioni tra i preti, e tra preti e comunità, sia causata proprio dalla mondanità.

In più sintesi viene sottolineata l’importanza della cura spirituale, della meditazione, del silenzio, della preghiera, della Parola di Dio e dell’adorazione per potersi consegnare autenticamente a Dio, e custodire la vocazione; la fraternità tra sacerdoti è una fraternità che va vissuta e cercata principalmente nella fede; il “sostegno della vita spirituale è necessario per poter esportare ovunque lo stile missionario”. In una sintesi si legge che a volte si rileva nei preti una certa trascuratezza spirituale.

Sentito è il desiderio di superare l’individualismo e la necessità di crescere nella cura delle relazioni sia tra sacerdoti, sia tra sacerdoti e comunità. È tuttavia comune la consapevolezza che per crescere nella fraternità sacerdotale occorra tempo e formazione, non ci si improvvisa dopo anni vissuti in solitudine.

D’altro canto, non mancano esperienze positive di fraternità tra sacerdoti, che già vivono l’esperienza della comunione e della condivisione del servizio ministeriale in unità pastorali già costituite. Qualcuno suggerisce che la cura della fraternità tra i sacerdoti debba partire sin dalla formazione in seminario; altri suggeriscono che anche la vita comunitaria tra sacerdoti debba essere accompagnata da una regola: un tempo per vegliare e un tempo per dormire;  un tempo per la preghiera ed un tempo per vedere cosa c’è da fare.

Anche il rapporto con i laici viene vissuto in alcune esperienze come difficile, in quanto “più clericali” dei preti; “spesso finiscono per imitare i preti”; in più sintesi viene riportata la preoccupazione che per una vera corresponsabilità sia necessario curare la formazione dei laici e la maturità della loro fede, che li renda consapevoli della specificità a cui sono chiamati: non un mero servilismo nei confronti dei preti, e neanche l’imitazione degli stessi. Qualcuno ha rilevato la completa ignoranza dei laici persino sul significato degli oggetti sacri, e del “linguaggio che esprime la grandezza di Dio”. D’altra parte, in qualche sintesi si legge che anche i preti dovrebbero riprendere gli studi, continuare a formarsi, “curando la prossimità culturale con la gente del nostro tempo”.

Cionondimeno, frequentemente viene ricordato che l’amicizia con i laici costituisce per i presbiteri una risorsa importante sia a livello personale sia per l’esercizio del proprio ministero.

Per alcuni la modalità sinodale è stata un’assoluta novità, segno che il che Cammino sinodale non è riuscito a coinvolgere tutte le comunità. Mentre per chi vive il Cammino sinodale nella propria Chiesa diocesana, appare chiaro che le relazioni profonde e la condivisione delle responsabilità pastorali con i laici, siano la chiave per proporre nuovi cammini nella Chiesa.

Per tutti, emerge con forza in tutte le sintesi, risulta fondamentale curare la relazione con la gente, nella prossimità, con tutti e con ciascuno. Lo stile di fraternità, l’accoglienza e la pazienza sembra suggerire in molti la modalità che meglio permetta la cura delle relazioni. Soprattutto nei confronti dei giovani, si avverte la necessità di mettersi in loro ascolto, piuttosto che riversarli di proposte e cose da fare, in un clima di fraternità autentica.

In molte sintesi si legge che la benedizione delle famiglie nel tempo pasquale costituisce un momento fondamentale della vita pastorale della parrocchia; per alcuni l’unica autentica occasione per incontrare famiglie ai margini o addirittura sconosciute rispetto alla comunità parrocchiale. Si rileva da alcune sintesi che, per quanto sia difficile testimoniare la propria fede in un mondo scristianizzato, bambini e famiglie hanno una spiccata “fame di Dio”.

È diffusa la consapevolezza che la Chiesa debba cambiare il passo per essere autenticamente presente nella vita della gente.

Circostanze della vita come malattie e lutti, sono avvertite come i momenti in cui la gente chiede maggiormente il conforto e la vicinanza del sacerdote. Possono diventare autenticamente occasioni di fecondità spirituale.

Qualcuno chiede che si ripensi alla relazione vescovo-clero, auspicando una maggiore famigliarità, nell’espressione di un’autentica paternità-filiazione; “senza vescovo e senza fratelli sono orfano”. In una sintesi si legge che la condivisione e il continuo discernimento con il vescovo è molto importante nella vita di un sacerdote.

Le espressioni cura delle relazioni, cura della vita spirituale, la solitudine dei sacerdoti; esigenza di fraternità, prossimità; necessità di curare la formazione dei laici per una vera corresponsabilità, sono ricorrenti in tutte le sintesi raccolte.

 

PER IL FUTURO

 Molti tavoli hanno concluso con l’auspicio che l’esperienza possa essere ripetuta più volte l’anno, con l’obiettivo di dare stabilità ad un livello regionale composto da laici, presbiteri, religiosi, e dare corpo ad una maggiore sinodalità regionale.

In alcune sintesi è stata sottolineata la gioia per molti di rivedersi e il piacere di potersi confrontare in piccoli gruppi.

È stato lamentato il poco tempo a disposizione per il confronto e in qualche sintesi è risultata la proposta di anticipare di qualche giorno i materiali, così da favorire una maggiore meditazione su quanto poter condividere.

È stata apprezzata la meditazione di don Claudio Marchetti, risultata il punto di riferimento e confronto in moltissimi interventi.

 

 

 

Don Giordano Trapasso e Lucia Panzini

(referenti regionali per il Cammino Sinodale)