Card. Bagnasco ai suoi sacerdoti. Lettera pastorale: "Anche la carità consuma. Curate voi stessi, l'abito, il tempo, i luoghi, le persone". Sintesi

bagnasco.jpg(Sintesi della lettera) “Offrire alcune considerazioni che aiutino la meditazione spirituale sul dono ricevuto e sulla santità sacerdotale” e “condividere la necessità di una ‘regola di vita’ perché non viviamo frantumati e assorbiti dai numerosi impegni pastorali”:… sono le parole usate dall’arcivescovo di Genova e presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco, per definire lo “scopo principale” della sua ultima lettera pastorale intitolata “Io sono il Buon Pastore”. Scritta in occasione dell’Anno Sacerdotale indetto da Benedetto XVI e consegnata ieri mattina al corso di aggiornamento diocesano per sacerdoti, la lettera “sul grande dono del sacerdozio” è indirizzata “al Clero ed alla comunità cristiana” perché “riscopra la bellezza e la responsabilità del Sacerdozio ordinato, la preziosità insostituibile” del sacerdote che, “prima che essere servitore della carità, è ministro dei sacramenti, strumenti della vita divina”. Dalla lettera emerge con chiarezza ed insistenza come il sacerdote deve essere anzitutto uomo dello spirito. “Il pastore non è un funzionario a ore – ha affermato Bagnasco – ma un uomo segnato dal fuoco dello Spirito” è “un uomo libero”. “Per lui – ha aggiunto – non è questione di essere un ‘conquistatore’ di anime: prima di tutto deve lui essere ‘conquistato’ da Cristo. Non deve ‘possedere’ gli altri, ma essere lui ‘posseduto’ da Dio”. Per questo il sacerdote “è l’uomo della gioia, una gioia intrisa di bontà, una gioia impenitente perché non è fondata su illusioni e su beni effimeri, ma su Dio” e di conseguenza “il sacerdote deve fare ogni giorno atti di gioia come fa atti di fede e di carità” e “deve essere portatore di gioia”. Il sacerdote è inoltre chiamato alla santità, ha affermato il cardinale Angelo Bagnasco nella lettera pastorale sul sacerdozio, e “la nostra santità la vera e più efficace risposta alla complessità inedita del mondo moderno”. La santità, ha aggiunto, “è un debito che abbiamo”: anzitutto al Signore “che ci ha chiamati per pura grazia”; poi alla Chiesa “che di questa vocazione ha il compito di discernimento, di guidarne la formazione”; al popolo di Dio “che ha il diritto e il desiderio di scorgere in noi i tratti del volto di Cristo buon Pastore”; infine è un debito anche verso il mondo “che, anche quando si dichiara non cattolico, guarda ugualmente al sacerdote con curiosità, non di rado con interesse, sempre con attenzione, forse nella inconfessata speranza di trovare i segni di Dio”. Il sacerdote, inoltre, in quanto “configurato a Cristo Capo” deve guidare il proprio popolo anche se questa è “una posizione scomoda, di servizio”. Il presbitero deve condurre il gregge “ai pascoli fecondi, nella via della verità e del bene, anche quando incontra incomprensioni e rifiuti”. “Oggi, ad esempio, – scrive l’arcivescovo di Genova – a volte si vorrebbe che la Chiesa si concentrasse sul terreno della carità, dove s’incontrano facili consensi, piuttosto che in quello assai più contrastato della bioetica”. “Ancora una volta – ha proseguito – viene posto l’antico dilemma tra lo smalto dell’amore tradotto in opere e l’opacità che deriverebbe dall’affermazione di certi principi dottrinali”. Ma Cristo “ha insegnato che la verità e l’amore non si oppongono ma sono fatti per operare insieme nel cuore dei singoli e della società”.
L’attenzione pastorale del cardinale Bagnasco riguarda ogni ambito della vita dei sacerdoti compresa “la cura della propria salute”. “Senza fissazioni particolari – ha spiegato – è giusto per quanto possibile prevenire i malanni con gli strumenti che oggi sono a disposizione di tutti, e curarli con metodo”. “È necessario – ha aggiunto – non essere trascurati nella vita fisica: dall’abitazione decorosa all’alimentazione sana e regolare, dalla pulizia e dall’ordine del nostro abbigliamento – secondo le norme della Chiesa – al giusto tempo di riposo per staccare dalle incombenze ordinarie e vivere, da soli o se possibile con i Confratelli, momenti di svago e di ristoro”. Il centro ovviamente è rappresentato dalla celebrazione dell’Eucaristia “celebrata e adorata nella nostra vita e nel concreto delle nostre giornate”. Per questo il porporato invita a riflettere se “se curiamo il culto eucaristico nella e fuori della celebrazione, se ci preoccupiamo che l’altare, il tabernacolo, i vasi sacri, i paramenti siano in ordine e nel segno del decoro e della bellezza sull’esempio del Santo curato d’Ars, che voleva povera la sua casa ma bella la sua chiesa” e se “il nostro celebrare nasce dalla nostra fede, dall’amore a Cristo e alla Chiesa, dal rifiuto di ogni sciatteria e stravaganza, dalla semplice dignità del comportamento, fino all’obbedienza fedele alle norme liturgiche”.
Il cardinale passa poi ad analizzare gli aspetti pastorali legati al ministero sacerdotale. “Tutto ha valore nell’ordine del bene, ma non tutto ha lo stesso valore – ha affermato, precisando che – molte cose sono urgenti nelle nostre giornate, ma non sempre sono anche le più importanti”. In quest’ottica il card. Bagnasco ha ricordato come “la vicinanza alla gente e la disponibilità generosa del sacerdote traduce la carità pastorale e costituisce il volto specifico della spiritualità presbiterale”. “Ma – ha ammonito – dobbiamo fare attenzione perché non diventi, nonostante le buone intenzioni, la via dello svuotamento interiore” perché “è esperienza comune” che “se per un verso l’apostolato arricchisce, per un altro anche consuma”. Inoltre ha ricordato che “la tentazione di mettere noi stessi come scopo del nostro operare non è mai morta” e “si può insinuare in modo subdolo anche nelle imprese più belle”. Il cardinale mette poi in guardia i sacerdoti dal “cercare nella vita pastorale le soddisfazioni umane” come “la propria volontà, la vanità, l’affermazione di sé, l’orgoglio, il protagonismo, il plauso degli altri”. “Dobbiamo ricordare – ha affermato – che le opere di Dio non sono Dio e che, se assorbono l’anima, possono farci dimenticare il volto del Signore”. Importante è anche la “partecipazione dei fedeli laici alla vita della comunità cristiana” che “deve essere valutata e promossa “alla luce dei principi teologici” che ricordano come la Parrocchia è “una comunità di fede costituita dai ministri ordinati e dagli altri cristiani, nella quale il Parroco è il vincolo gerarchico con tutta la Chiesa particolare”.