"9 su dieci cambiano idea". Quando il medico incide sulle mamme indecise per l'aborto

1 febbraio. 31.ma Giornata per la Vita, indetta nel 1979 dalla Conferenza episcopale italiana in seguito all’introduzione della legge sull’aborto. Tema di questa edizione, tratto dal messaggio dei vescovi, è “La forza della vita nella sofferenza”. Aborto ed eutanasia – afferma il messaggio – sono false risposte a situazioni di sofferenza: “al dolore non si risponde con altro dolore”… non si risponde generando “ulteriore sofferenza”. I vescovi invitano alla speranza e a non lasciare mai solo chi soffre. In questo modo il dolore, per quanto inspiegabile, genera la vita. Ecco la testimonianza di Paola Bonzi, responsabile del Centro di aiuto alla vita della clinica Mangiagalli di Milano, la prima ad effettuare aborti in Italia:R. – Anche nella sofferenza in solitudine credo che ci sia vita. Io parto dalla mia esperienza personale: ho perso la vista quando avevo 23 anni e una bimba di quattro mesi, e dopo qualche mese aspettavo il mio secondo figlio, con pareri molto contrari da tutti i medici. Però, per me, questa sofferenza ha generato un figlio di 4 kg e 250 grammi, e che oggi è veramente l’espressione della vitalità; quindi, direi che la sofferenza è fertile, se naturalmente riusciamo a non disperare.

D. – Ha mai pensato all’aborto, come soluzione possibile per le difficoltà e per la sofferenza che stava vivendo?

R. – Quando mi mettevano davanti tutti i guai a cui sarei andata incontro, certamente soffrivo; però, ho sempre creduto nel valore della vita.

D. – Quando la riposta ad uno stato, ad un’esistenza infelice, è l’aborto – scrivono i vescovi – si genera ulteriore sofferenza, cioè si risponde ad una sofferenza con un altro dolore; è questo quello che accade, e voi come rispondete?

R. – Se lei vede le persone in attesa dell’interruzione di gravidanza, ce ne sono tantissime che piangono; stanno soffrendo per il fatto che rinunciano alla vita del loro figlio. Si risponde mettendosi a disposizione di queste persone, cercando di dire “va bene, non avrà più la casa, bene, io la ospito; non ci sarà più il lavoro e stabiliremo un minimo che le consentirà di vivere”. A sofferenza concreta si risponde con altrettanta concretezza.

D. – La gente è disposta a rischiare, pur di dare spazio alla vita?

R. – Molto spesso sì. Sono la prima a meravigliarmi, perché sinceramente non è che con 300 euro al mese – seppure per 18 mesi – noi cambiamo la vita delle persone, però è come un gesto per dire “io ci sono”, e devo dire che quando arrivano, nove su dieci cambiano idea.