Che ricordi ha della sua esperienza a Fano e poi di Rettore del Seminario?
«Non è facile descrivere in poche righe l’esperienza di una vita nei vari ruoli che mi sono trovato a svolgere: prete in Parrocchia, educatore in Seminario, Vescovo di una Diocesi. Nel cammino formativo degli anni… che precedettero l’Ordinazione Presbiterale si respirava in pienezza il clima del Concilio Ecumenico che si sarebbe concluso alla fine del 1965. Gli oltre tremila Vescovi convenuti da tutto il mondo avevano aperto il cuore alla speranza in tanta parte della Chiesa e in noi aspiranti sacerdoti. Lo sforzo di ricerca di un linguaggio nuovo con cui presentare a tutti il cammino da fare nella Chiesa e con la Chiesa. Divenuto prete nel 1965, ho trascorso i primi anni di sacerdozio in due Parrocchie della Diocesi di Fano: a Lucrezia centro in espansione in quegli anni e a San Michele al Fiume. I primi passi sostenuti dall’entusiasmo e al tempo stesso da un certo timore nell’affrontare le prime esperienze. Tanto mi ha aiutato la vicinanza e la simpatia dei confratelli che mi hanno accolto e mi hanno fatto sentire parte del Presbiterio. Erano vescovi allora Mons. Vincenzo Del Signore che mi ha conferito l’Ordinazione Presbiterale e successivamente e in parte contemporaneamente Mons. Costanzo Micci che iniziò il ministero episcopale a Fano come Amministratore Diocesano. Nel 1970 fui chiamato come educatore in Seminario a fianco di Mons. Sgreccia Rettore che avevo avuto come vicerettore negli anni della formazione. La garanzia e la sicurezza che ci dava Mons. Sgreccia, ricco di esperienza, durò poco perché venne chiamato a Roma presso l’Università Cattolica».Come è cambiato e come sta cambiando il sacerdote oggi (servizi, esigenze della gente)
«Il prete continua a mantenere un posto di rilievo nella società, capace di conservare interesse e attenzione nei suoi confronti. Continua ad essere figura verso cui non solo la Chiesa, ma anche il mondo sociale nutre delle aspettative. Dagli anni ’60 del secolo passato è in atto un calo del clero e un calo dei candidati al sacerdozio in Italia come peraltro in Europa. I preti si scoprono sempre di meno, più anziani e in parte soli. Si sentono turbati dai cambiamenti culturali che condizionano la loro azione pastorale e faticano nel dare riconoscimento alle nuove figure che li affiancano nell’azione pastorale. Le Parrocchie vedono rarefarsi la presenza di sacerdoti. I preti stanno scoprendo di avere maturato una immagine di Chiesa che se da un lato motiva in modo forte la loro fede personale, e la loro identità, dall’altro lato li porta ad un certo isolamento nel contesto ecclesiale in cui vivono il loro ministero con ricaduta anche sul piano pastorale. Si preferisce orientarsi sui ruoli tradizionali ( pastorale sacramentale, accoglienza delle forme religiose, più semplici e popolari) anziché spingere verso forme innovative di annuncio».
Quali le sfide da affrontare oggi?
«La Chiesa può veramente essere credibile solo se sa essere vicina ad ogni uomo e donna che vivono, lottano, sperano. L’ascolto dei disagi, la condivisione del quotidiano, la condivisione della vita con i più poveri deve essere lo stile a cui tendere. Per la pastorale della vicinanza è necessario perdere di vista il campanile, lasciare le proprie sicurezze e sporcarsi le mani portando anche fuori chiesa la speranza. Si parte dalla piazza, rilevando le varie urgenze, si entra in Chiesa per l’ascolto della Parola di Dio, per la preghiera, per una formazione continua con la catechesi, dei giovani e degli adulti mediante l’analisi e lo studio, l’arricchimento della competenza per tornare a provocare la piazza con il valore aggiunto della fede». (l’intervista integrale è pubblicata sul sito fanodiocesi.it)
A cura di Marco Gasparini