Crocifisso in aula. Intervento del responsabile del Progetto Culturale Diocesano, Prof. Giombi

crocifisso.jpg(testo dell’intervento) La Corte europea di Strasburgo ha reso nota una sentenza con cui accoglie il ricorso di una cittadina italiana contro la presenza del crocifisso in un’aula scolastica. Secondo la Corte europea, presenza dei crocifissi nelle aule scolastiche costituisce «una violazione del diritto… dei genitori ad educare i figli secondo le loro convinzioni” e una violazione alla “libertà di religione degli alunni». Che dire al proposito? I dubbi non mancano. Da un lato infatti appare riduttiva e privatistica la tesi secondo cui il cristianesimo debba essere vissuto come una esperienza esclusivamente della coscienza individuale oppure debba essere confinato dentro le sacrestie. Dall’altro lato, però, è dal nucleo stesso del cristianesimo che ricaviamo la fondamentale lezione di laicità delle istituzioni politiche; da questo punto di vista la realtà multiculturale, plurireligiosa o secolarizzata della società odierna non sopraggiunge come a rendere impossibile una forma di testimonianza cristiana pubblica, ma per così dire la invera nella sua autenticità. Quest’ultima considerazione (il senso della laicità delle istituzioni, definitivamente riconosciuta in Italia dall’ultimo Concordato) sembrerebbe dunque contraddire la presenza di espliciti simboli del cristianesimo nei luoghi e nelle istituzioni pubbliche. Ma vi è poi un’altra considerazione, che può guardare al cristianesimo, ed assumerne anche i simboli, da un punto di vista storico-culturale. È su questo piano che il Consiglio di Stato, da ultimo nel febbraio 2006, ha confermato la piena legittimità della presenza del crocifisso nelle scuole italiane. Ed è su questo medesimo piano che si potrebbe concordare con le parole di F.P. Casavola, già presidente della Corte costituzionale: «che la religione cattolica non sia più la religione dello Stato italiano non significa che essa cessi di essere la religione storica del popolo italiano, essendo ben chiaro che essa non rappresenta lo Stato». Con esiti simili a quelli di Casavola, ma su piano diverso e capaci di aggiungere anche qualcosa di più stanno le parole di una valente intellettuale comunista come Natalia Ginzburg scritte nel 1988 in un suo articolo in «difesa del crocifisso» per il giornale “l’Unità”: «il Crocifisso non genera nessuna discriminazione. È l’immagine della rivoluzione cristiana, che ha sparso per il mondo l’idea dell’uguaglianza fra gli uomini. La rivoluzione cristiana ha cambiato il mondo. Sono quasi duemila anni che diciamo “prima di Cristo” e “dopo Cristo”; o vogliamo forse smettere di dire così? Non conosco altri segni che diano con tanta forza il senso del nostro umano destino. Per i cristiani Gesù Cristo è figlio di Dio. Per gli altri può essere semplicemente l’immagine di uno che è stato venduto, tradito, martoriato ed è morto sulla croce per amore di Dio e del prossimo. A tutti è accaduto di portare sulle spalle il peso di una sventura; a questa sventura diamo il nome di croce, anche se non siamo cattolici. Questo dice il crocifisso. Lo dice a tutti. Rappresenta tutti. Perché prima di Cristo nessuno aveva detto che gli uomini sono uguali e fratelli tutti, ricchi e poveri, credenti e non credenti, ebrei e non ebrei, neri e bianchi». In gioco vi è anche l’idea di laicità che intendiamo coltivare. Il vescovo Vincenzo Paglia, responsabile della commissione Cei per il dialogo interculturale, commentando la sentenza della Corte europea di Strasburgo, ha detto che la sentenza sembra basarsi su un presupposto di «debolezza umanistica oltre che religiosa»: perché la laicità -ha continuato- «non è l’assenza di simboli religiosi ma la capacità di accoglierli e di sostenerli di fronte al vuoto etico e morale che spesso noi vediamo anche nei nostri ragazzi. Pensare di venire in loro aiuto facendo tabula rasa di tutto pare davvero miope anche perché presuppone una concezione di cultura che è libera solo nella misura in cui non ha nulla o ha solo quello che rimane sradicando da ogni storia, tradizione, patrimonio». Il vescovo ha ricordato che i luoghi pubblici italiani (piazze e siti monumentali di ogni genere) sono pieni di simboli cristiani ed ha poi concluso: «non credo ci sia nessuno che pretenda di distruggere i simboli religiosi nelle strade e nelle piazze italiane perché levano la libertà di religione».