Editoriale. S. Antonio: un uomo rapito dal Vangelo

sant_antonio.jpgEDITORIALE
Antonio. Un uomo rapito dal Vangelo di Cristo. La festa di S. Antonio abate, conosciuto nella devozione popolare come patrono della campagna, di coloro che lavorano la terra e degli animali, interpella tutti e chiede di essere vissuta e riequilibrata nel giusto alveo. Cosa insegna la vita di Antonio, abate?…
Tre punti:

– Dopo la morte dei genitori Antonio si prese cura della sorella che, da lì a qualche anno, la affidò alle vergini consacrate. Antonio, prima di ritirarsi nel deserto a pregare e a lavorare con le proprie mani, si prende cura della sorella. Avere a cuore chi è solo, anziano, povero è un prezzo di giustizia che si paga a loro, non un dovere o un gesto bello da parte nostra. Quando si restituisce amore, si paga un debito verso chi non è amato o abbandonato, in tutte le sue forme molteplici. Antonio, pertanto, ci insegna a prenderci cura di chi ci è accanto e che la vita, lungo il tempo, ci affida, come olio e balsamo benefico. Anche la terra ci è stata affidata, non è oggetto di conquista, e come tale va curata, custodita, riamata.

– La parola del Vangelo, precisamente quando si afferma “Va vendi quello che hai e dallo ai poveri” e ancora “Non vi angustiate per il domani”, è stata la chiave di svolta per la vita di Antonio. Per quel tempo egli era un ricco possidente, uno che aveva tanti campi per coltivare, e con essi animali della campagna. Tutto ciò lo ha venduto e il ricavato lo ha dato ai poveri. Chi lavora oggi la terra ed opera nel mondo dell’agricoltura sa bene come sia importante essere rispettosi, quali figli, verso la propria madre terra. Senza tutto ciò ella si ribella all’uomo. Nel recente terremoto di Haiti, dove moltissime persone sono rimaste vittime, si alza il grido dello sfruttamento della terra e delle persone prima ancora della sciagura sismica di qualche giorno fa. Vi era in atto un terremoto di privazioni e sfruttamento coloniale visibile, ma tacito. Il terremoto naturale ha portato alla luce questa povertà nella povertà. Avere i beni non fa ricchi; lo si diviene nella condivisione. Il mondo della campagna ha tanto da insegnare alla società tecnologica di chi vive in città e non conosce nemmeno come è composta una spiga di grano, trovando al supermercato il pane già affettato! Educhiamo i nostri bambini e giovani alla ricchezza della natura e della terra; solo nel far prendere loro coscienza e consapevolezza dei tanti beni che la terra offre, impareranno ad essere responsabili, mai sfruttatori. Senza conoscenza si scatena l’ignoranza dei gesti ingrati verso la terra che ti ha creato.

– Antonio lavora con le sue mani e trascorre molto tempo in preghiera. Si ritorni a coniugare sempre più strettamente, queste due importanti realtà rese ancora più incisive nel motto benedettino Ora et Labora (prega e lavora). La festa annuale del ringraziamento non rimanga esclusiva degli addetti ai lavori (contadini, Coldiretti, aziende agrarie, piccole famiglie ad uso domestico, ecc.), ma diventi una voce, quasi un urlo, che si alza sopra chi si è assopito nel tenore di vita. Il segno di croce prima dei pasti, fuori o dentro la propria casa, è segno di gratitudine, non di superstizione. Non ci si vergogni di segnarsi con la croce, anche al ristorante. Quella croce che viene posta nei campi all’inizio della seminagione, quasi a dire: è l’amore che genera e dona vita. La campagna conosce gli orari mattutini, delle prime luci, del sacrificio e lavoro serio perché è al terra che detta i tempi e in campagna non si conoscono “feste rosse da calendario”; come a dire: il lavoro va vissuto con responsabilità, serietà, senza mai farne un idolo, ma riconoscendo in esso un mezzo perché l’uomo si realizzi, senza mai abusare di ciò che Dio ha creato. Papa Benedetto XVI nel Messaggio per la Pace 2010 a tal proposito, al n° 12, afferma: «La Chiesa ha una responsabilità per il creato e sente di doverla esercitare, anche in ambito pubblico, per difendere la terra, l’acqua e l’aria, doni di Dio Creatore per tutti, e, anzitutto, per proteggere l’uomo contro il pericolo della distruzione di se stesso. Il degrado della natura è, infatti, strettamente connesso alla cultura che modella la convivenza umana, per cui «quando l’«ecologia umana» è rispettata dentro la società, anche l’ecologia ambientale ne trae beneficio». Non si può domandare ai giovani di rispettare l’ambiente, se non vengono aiutati in famiglia e nella società a rispettare se stessi: il libro della natura è unico, sia sul versante dell’ambiente come su quello dell’etica personale, familiare e sociale. I doveri verso l’ambiente derivano da quelli verso la persona considerata in se stessa e in relazione agli altri. Volentieri, pertanto, incoraggio l’educazione ad una responsabilità ecologica, che, come ho indicato nell’Enciclica Caritas in veritate, salvaguardi un’autentica «ecologia umana» e, quindi, affermi con rinnovata convinzione l’inviolabilità della vita umana in ogni sua fase e in ogni sua condizione, la dignità della persona e l’insostituibile missione della famiglia, nella quale si educa all’amore per il prossimo e al rispetto della natura. Occorre salvaguardare il patrimonio umano della società. Questo patrimonio di valori ha la sua origine ed è iscritto nella legge morale naturale, che è fondamento del rispetto della persona umana e del creato».

G. R.