15 agosto 2010 (Avvenire pag. otto)
La parrocchia di Montebello di Orciano in Pesaro (Marche) conta poco più di 200 abitanti. Il suo parroco don Guido Spadoni ha trovato un sistema per ripopolarlo, per così dire, con fine e scopi educativi e riabilitativi. Don Guido è, da oltre dieci anni, cappellano del carcere di massima sicurezza a Fossombrone. In questi anni ha messo a disposizione la sua canonica per accogliere detenuti, che sono giunti quasi al termine della pena, perché possano incontrarsi e passare un pò di giorni con i loro familiari. “Accogliere i detenuti in casa – racconta don Guido – è una sfida, ma anche una grazia. Ti poni in relazione con le persone nel loro abitus più naturale rispetto ad una cella, guardie e orari del carcere. La responsabilità che mettono in atto gioca tutta a loro favore”. In questi anni alcuni casi di detenuti fuggiti è successo anche a don Guido, ma sono stati ripresi o alla frontiera o in altri luoghi, aggravando ovviamente la loro situazione. Ma che cosa rappresenta oggi un carcere per la società? Don Guido ha le idee chiare, grazie anche al ricco e bel lavoro di volontariato che si muove all’interno del carcere con l’associazione “Un mondo a quadretti” che edita anche un periodico realizzato interamente dai detenuti, con il coordinamento del responsabile Giorgio Magnanelli. “Quando un detenuto finisce di scontare gli anni di pena, si vede costretto ad affrontare altre sbarre e porte, quelle dell’indifferenza e della diffidenza. Grazie a questa associazione – prosegue il cappellano di Fossombrone – i detenuti hanno la possibilità di essere reinseriti gradatamente nella società senza subire, per quanto possibile, traumi ulteriori. Diverse parrocchie della mia Diocesi, e non solo, mi invitano per raccontare l’esperienza che sto vivendo e questo mi permette di parlare ai giovani e far loro capire che l’aver sbagliato è un errore, ma non una condanna eterna della coscienza. Per tutti ci deve essere la possibilità di riscattarsi, specie nella propria dignità, in quanto diversi parenti a volte rompono definitivamente i rapporti”. E in questi anni i vari premi di poesia vinti in giro per l’Italia e grazie anche ad altre attività come il canto, lo sport, il teatro ha permesso alle persone del carcere di Fossombrone di essere chiamate per nome e cognome, non solo con un generico, freddo e neutro “detenuto”.