Benedetto XVI e il pellegrinaggio in Terra Santa. Testi base

(testi base del Viaggio in Terra Santa di Papa Benedetto XVI nel 2009) ALLA PIAZZA DELLA MANGIATOIA. Cari fratelli e sorelle in Cristo, ringrazio Dio Onnipotente per avermi concesso la grazia di venire a Betlemme, non solo per venerare il posto dove Cristo è nato, ma anche per essere al vostro fianco, fratelli e sorelle nella fede, in questi Territori Palestinesi. Sono grato al Patriarca Fouad Twal per i sentimenti che ha espresso a nome vostro, e saluto con affetto i confratelli Vescovi e tutti i sacerdoti, religiosi e fedeli laici che faticano ogni giorno per confermare questa Chiesa locale nella fede, nella speranza, nell’amore. Il mio cuore si volge in maniera speciale ai pellegrini provenienti dalla martoriata Gaza a motivo della guerra: vi chiedo di portare alle vostre famiglie e comunità il mio caloroso abbraccio, le mie condoglianze per le perdite, le avversità e le sofferenze che avete dovuto sopportare. Siate sicuri della mia solidarietà con voi nell’immensa opera di ricostruzione che ora vi sta davanti e delle mie preghiere perché l’embargo sia presto tolto.  “Non temete: ecco vi annuncio una grande gioia… oggi nella città di Davide è nato per voi un Salvatore” (Lc 2,10-11). Il messaggio della venuta di Cristo, recato dal cielo con la voce degli angeli, continua ad echeggiare in questa città, così come risuona nelle famiglie, nelle case e nelle comunità del mondo intero. È una “grande gioia”, hanno detto gli angeli, “che sarà di tutto il popolo”. Questo messaggio di gioia proclama che il Messia, Figlio di Dio e figlio di Davide, è nato “per voi”: per te e per me, e per tutti gli uomini e donne di ogni tempo e luogo. Nel piano di Dio, Betlemme, “così piccola per essere fra i villaggi di Giudea” (Mic 5,1) è divenuta un luogo di gloria immortale: il posto dove, nella pienezza dei tempi, Dio ha scelto di divenire uomo, per concludere il lungo regno del peccato e della morte e per portare vita nuova ed abbondante ad un mondo che era divenuto vecchio, affaticato, oppresso dalla disperazione.

Per gli uomini e le donne di ogni luogo, Betlemme è associata al gioioso messaggio della rinascita, del rinnovamento, della luce e della libertà. E tuttavia qui, in mezzo a noi, quanto lontana sembra questa magnifica promessa dall’essere compiuta! Quanto distante appare quel Regno di grande potere e di pace, di sicurezza, diritto e giustizia, che il profeta Isaia aveva annunciato, secondo quanto abbiamo ascoltato nella prima lettura (cfr Is 9,6) e che proclamiamo come fondato in maniera definitiva con la venuta di Gesù Cristo, Messia e Re!

Dal giorno della sua nascita, Gesù è stato “segno di contraddizione” (Lc 2,34) e continua ad essere tale anche oggi. Il Signore degli eserciti, “le cui origini è dall’antichità, dai giorni più remoti” (Mic5,1), volle inaugurare il suo Regno nascendo in questa piccola città, entrando nel nostro mondo nel silenzio e nell’umiltà in una grotta, e giacendo, come bambino bisognoso di tutto, in una mangiatoia. Qui a Betlemme, tra ogni genere di contraddizione, le pietre continuano a gridare questa “buona novella”, il messaggio di redenzione che questa città, al di sopra di tutte le altre, è chiamata a proclamare a tutto il mondo. Qui infatti, in un modo che sorpassa tutte le speranze e aspettative umane, Dio si è mostrato fedele alle sue promesse. Nella nascita del suo Figlio, Egli ha rivelato la venuta di un Regno d’amore: un amore divino che si china per portare guarigione e per innalzarci; un amore che si rivela nell’umiliazione e nella debolezza della croce, eppure trionfa nella gloriosa risurrezione a nuova vita. Cristo ha portato un Regno che non è di questo mondo, eppure è un Regno capace di cambiare questo mondo, poiché ha il potere di cambiare i cuori, di illuminare le menti e di rafforzare le volontà. Nell’assumere la nostra carne, con tutte le sue debolezze, e nel trasfigurarla con la potenza del suo Spirito, Gesù ci ha chiamato ad essere testimoni della sua vittoria sul peccato e sulla morte. E questo è ciò che il messaggio di Betlemme ci chiama ad essere: testimoni del trionfo dell’amore di Dio sull’odio, sull’egoismo, sulla paura e sul rancore che paralizzano i rapporti umani e creano divisione tra fratelli che dovrebbero vivere insieme in unità, distruzione dove gli uomini dovrebbero edificare, disperazione dove la speranza dovrebbe fiorire!

“Nella speranza siamo stati salvati” dice l’apostolo Paolo (Rm 8,24). E tuttavia afferma con grande realismo che la creazione continua a gemere nelle doglie del parto, anche se noi, che abbiamo ricevuto le primizie dello Spirito, attendiamo pazientemente il compimento della redenzione (cfr Rm8,22-24). Nella seconda lettura odierna, Paolo trae dall’Incarnazione una lezione che può essere applicata in modo particolare alle sofferenze che voi, i prescelti da Dio in Betlemme, state sperimentando: “È apparsa la grazia di Dio – egli dice – che ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà, nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo” (Tt 2,11-13).

Non sono forse queste le virtù richieste a uomini e donne che vivono nella speranza? In primo luogo, la costante conversione a Cristo che si riflette non solo sulle nostre azioni, ma anche sul nostro modo di ragionare: il coraggio di abbandonare linee di pensiero, di azione e di reazione infruttuose e sterili; quindi la cultura di un modo di pensare pacifico basato sulla giustizia, sul rispetto dei diritti e dei doveri di tutti, e l’impegno a collaborare per il bene comune; ed inoltre la perseveranza, perseveranza nel bene e nel rifiuto del male. Qui a Betlemme si chiede ai discepoli di Cristo una speciale perseveranza: perseveranza nel testimoniare fedelmente la gloria di Dio qui rivelata nella nascita del Figlio suo, la buona novella della sua pace che discese dal cielo per dimorare sulla terra.

“Non abbiate paura!”. Questo è il messaggio che il Successore di San Pietro desidera affidarvi oggi, facendo eco al messaggio degli angeli e alla consegna che l’amato Papa Giovanni Paolo II vi ha lasciato nell’anno del Grande Giubileo della nascita di Cristo. Contate sulle preghiere e sulla solidarietà dei vostri fratelli e sorelle della Chiesa universale, e adoperatevi con iniziative concrete per consolidare la vostra presenza e per offrire nuove possibilità a quanti sono tentati di partire. Siate un ponte di dialogo e di collaborazione costruttiva nell’edificare una cultura di pace che superi l’attuale stallo della paura, dell’aggressione e della frustrazione. Edificate le vostre Chiese locali facendo di esse laboratori di dialogo, di tolleranza e di speranza, come pure di solidarietà e di carità pratica.

Al di sopra di tutto, siate testimoni della potenza della vita, della nuova vita donataci dal Cristo risorto, di quella vita che può illuminare e trasformare anche le più oscure e disperate situazioni umane. La vostra terra non ha bisogno soltanto di nuove strutture economiche e sociali, ma in modo più importante – potremmo dire – di una nuova infrastruttura “spirituale”, capace di galvanizzare le energie di tutti gli uomini e donne di buona volontà nel servizio dell’educazione, dello sviluppo e della promozione del bene comune. Avete le risorse umane per edificare la cultura della pace e del rispetto reciproco che potranno garantire un futuro migliore per i vostri figli. Questa nobile impresa vi attende. Non abbiate paura!

L’antica basilica della Natività, sferzata dai venti della storia e dal peso dei secoli, si erge di fronte a noi quale testimone della fede che permane e trionfa sul mondo (cfr 1Gv 5,4). Nessun visitatore di Betlemme può fare a meno di notare che nel corso dei secoli la grande porta che introduce nella casa di Dio è divenuta sempre più piccola. Preghiamo oggi affinché, con la grazia di Dio e il nostro impegno, la porta che introduce nel mistero della dimora di Dio tra gli uomini, il tempio della nostra comunione nel suo amore, e l’anticipo di un mondo di perenne pace e gioia, si apra sempre più ampiamente per accogliere ogni cuore umano e rinnovarlo e trasformarlo. In questo modo, Betlemme continuerà a farsi eco del messaggio affidato ai pastori, a noi, all’intera umanità: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama”! Amen.

PREGHIERA AL MURO OCCIDENTALE

Dio di tutti i tempi,
in occasione della mia visita a Gerusalemme,
la “Città della Pace”,
patria spirituale di Ebrei, Cristiani e Musulmani,
porto al tuo cospetto le gioie, le speranze e le aspirazioni,
le prove, la sofferenza e il dolore
di tutto il tuo popolo in ogni parte del mondo.

Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe,
ascolta il grido degli afflitti, di chi ha paura,
di chi è privo di speranza;
manda la tua pace in questa Terra Santa,
nel Medio Oriente,
in tutta la famiglia umana;
muovi i cuori di quanti invocano il tuo nome,
perché percorrano umilmente
il cammino della giustizia e della compassione.

“Buono è il Signore con chi spera in Lui,
con colui che lo cerca!”  (Lam , 3,25).

OMELIA NELLA CHIESA DELL’ANNUNCIAZIONE A NAZARETH

Fratelli Vescovi,  Padre Custode, cari fratelli e sorelle in Cristo! E’ per me fonte di profonda commozione essere presente con voi oggi proprio nel luogo dove la Parola di Dio si è fatta carne ed è venuta ad abitare fra noi. Quanto è opportuno trovarci qui riuniti per cantare la Preghiera dei Vespri della Chiesa, dando lode e grazie a Dio per le meraviglie che egli ha fatto per noi! Ringrazio l’Arcivescovo Sayah per le parole di benvenuto, e, tramite lui, saluto tutti i membri della comunità Maronita qui in Terra Santa. Saluto i sacerdoti, i religiosi, i membri dei movimenti ecclesiali e gli operatori pastorali venuti da tutta la Galilea. Ancora una volta rendo lode alla cura dimostrata dai Frati della Custodia, nel corso di molti secoli, nel provvedere ai luoghi santi come questo. Saluto il Patriarca Latino emerito, Sua Beatitudine Michel Sabbah, che per più di venti anni ha guidato il suo gregge in queste terre. Saluto i fedeli del Patriarcato Latino ed il loro attuale Patriarca, Sua Beatitudine Fouad Twal, così come i membri della comunità Greco-Melchita, qui rappresentata dall’ Arcivescovo Elias Chacour. Ed in questo luogo dove Gesù stesso crebbe fino alla maturità ed imparò la lingua ebraica, saluto i Cristiani di lingua ebraica, che sono per noi un richiamo alle radici ebraiche della nostra fede.

Ciò che accadde qui a Nazareth, lontano dagli sguardi del mondo, è stato un atto singolare di Dio, un potente intervento nella storia attraverso il quale un bambino fu concepito per portare la salvezza al mondo intero. Il prodigio dell’Incarnazione continua a sfidarci ad aprire la nostra intelligenza alle illimitate possibilità del potere trasformante di Dio, del suo amore per noi, del suo desiderio di essere in comunione con noi. Qui l’eterno Figlio di Dio divenne uomo, e rese così possibile a noi, suoi fratelli e sorelle, di condividere la sua figliolanza divina. Quel movimento di abbassamento di un amore che si è svuotato di sé ha reso possibile il movimento inverso di esaltazione nel quale anche noi siamo elevati a condividere la vita stessa di Dio (cfr Fil 2,6-11).

Lo Spirito che “discese su Maria” (cfr Lc 1,35) è lo stesso Spirito che si librò sulle acque all’alba della Creazione (cfr Gn 1,2). Questo ci ricorda che l’Incarnazione è stata un nuovo atto creativo. Quando nostro Signore Gesù Cristo fu concepito per opera dello Spirito Santo nel seno verginale di Maria, Dio si unì con la nostra umanità creata, entrando in una permanente nuova relazione con noi e inaugurando una nuova Creazione. Il racconto dell’Annunciazione illustra la straordinaria gentilezza di Dio (cfr Madre Julian di Norwich, Rivelazioni 77-79). Egli non impone se stesso, non predetermina semplicemente la parte che Maria avrà nel suo piano per la nostra salvezza, egli cerca innanzitutto il suo assenso. Nella Creazione iniziale ovviamente non era questione che Dio chiedesse il consenso delle sue creature, ma in questa nuova Creazione egli lo chiede. Maria sta al posto di tutta l’umanità. Lei parla per tutti noi quando risponde all’invito dell’angelo. San Bernardo descrive come l’intera corte celeste stesse aspettando con ansiosa impazienza la sua parola di consenso grazie alla quale si compì l’unione nuziale tra Dio e l’umanità. L’attenzione di tutti i cori degli angeli s’era concentrata su questo momento, nel quale ebbe luogo un dialogo che avrebbe dato avvio ad un nuovo e definitivo capitolo della storia del mondo. Maria disse: “Avvenga di me secondo la tua parola”. E la Parola di Dio divenne carne.

Il riflettere su questo gioioso mistero ci dà speranza, la sicura speranza che Dio continuerà a condurre la nostra storia, ad agire con potere creativo per realizzare gli obiettivi che al calcolo umano sembrano impossibili. Questo ci sfida ad aprirci all’azione trasformatrice dello Spirito Creatore che ci fa nuovi, ci rende una cosa sola con Lui e ci riempie con la sua vita. Ci invita, con squisita gentilezza, a consentire che egli abiti in noi, ad accogliere la Parola di Dio nei nostri cuori, rendendoci capaci di rispondere a Lui con amore ed andare con amore l’uno verso l’altro.

Nello Stato di Israele e nei Territori Palestinesi i Cristiani formano una minoranza della popolazione. Forse a volte vi sembra che la vostra voce conti poco. Molti dei vostri amici cristiani sono emigrati, nella speranza di trovare altrove maggiore sicurezza e migliori prospettive. La vostra situazione richiama alla mente quella della giovane vergine Maria, che condusse una vita nascosta a Nazareth, con ben poco quanto a ricchezza o ad influenza mondana. Per citare le parole di Maria nel suo grande inno di lode, il Magnificat, Dio ha guardato alla sua serva nella sua umiltà, ha ricolmato di beni l’affamato. Prendiamo forza dal cantico di Maria, che tra poco canteremo in unione con la Chiesa intera in tutto il mondo! Abbiate il coraggio di essere fedeli a Cristo e di rimanere qui nella terra che Egli ha santificato con la sua stessa presenza! Come Maria, voi avete un ruolo da giocare nel piano divino della salvezza, portando Cristo nel mondo, rendendo a Lui testimonianza e diffondendo il suo messaggio di pace e di unità. Per questo, è essenziale che siate uniti fra voi, così che la Chiesa nella Terra Santa possa essere chiaramente riconosciuta come “un segno ed uno strumento di comunione con Dio e di unità di tutto il genere umano” (Lumen gentium, 1). La vostra unità nella fede, nella speranza e nell’amore è un frutto dello Spirito Santo che dimora in voi e vi rende capaci di essere strumenti efficaci della pace di Dio, aiutandovi a costruire una genuina riconciliazione tra i diversi popoli che riconoscono Abramo come loro padre nella fede. Perché, come Maria ha gioiosamente proclamato nel suo Magnificat, Dio è sempre memore “della sua misericordia, come aveva detto ai nostri padri, per Abramo e la sua discendenza per sempre” (Lc1,54-55).

Cari Amici in Cristo, siate certi che io continuamente vi ricordo nella mia preghiera, e vi chiedo di fare lo stesso per me. Volgiamoci ora verso il nostro Padre celeste, che in questo luogo ha guardato all’umiltà della sua serva, e cantiamo le sue lodi in unione con la Beata Vergine Maria, con tutti i cori degli angeli e dei santi e con tutta la Chiesa in ogni parte del mondo.

OMELIA SUL MONTE DEL PRECIPIZIO

Cari fratelli e sorelle! “La pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché ad essa siete stati chiamati in un solo corpo!” (Col3,15). Con queste parole dell’apostolo Paolo, saluto tutti voi con affetto nel Signore. Mi rallegro di essere venuto a Nazareth, luogo benedetto dal mistero dell’Annunciazione, il posto che ha visto gli anni nascosti della crescita di Cristo in sapienza, età e grazia (cfr Lc 2,52). Ringrazio l’Arcivescovo Elia Chacour per le cortesi parole di benvenuto, ed abbraccio con il segno della pace i miei confratelli Vescovi, i sacerdoti, i religiosi e tutti i fedeli della Galilea, che, nella diversità dei riti e delle tradizioni, danno espressione all’universalità della Chiesa di Cristo. In special modo desidero ringraziare quanti hanno reso possibile questa celebrazione, particolarmente coloro che sono stati coinvolti nella pianificazione e nella costruzione di questo nuovo teatro con il suo splendido panorama della città.

Qui nella città di Gesù, Maria e Giuseppe, siamo riuniti per dar rilievo alla conclusione dell’Anno della Famiglia celebrato dalla Chiesa nella Terra Santa. Come segno promettente per il futuro, benedirò la prima pietra di un Centro internazionale per la Famiglia, che sarà costruito a Nazareth. Preghiamo affinché esso promuova una forte vita familiare in questa regione, offra sostegno ed assistenza alle famiglie ovunque, e le incoraggi nella loro insostituibile missione nella società.

Confido che questa tappa del mio pellegrinaggio attiri l’attenzione di tutta la Chiesa verso questa città di Nazareth. Abbiamo tutti bisogno, come disse qui Papa Paolo VI, di tornare a Nazareth, per contemplare sempre di nuovo il silenzio e l’amore della Sacra Famiglia, modello di ogni vita familiare cristiana. Qui, sull’esempio di Maria, di Giuseppe e di Gesù, possiamo giungere ad apprezzare ancor di più la santità della famiglia, che, nel piano di Dio, si basa sulla fedeltà per la vita intera di un uomo e di una donna, consacrata dal patto coniugale ed aperta al dono di Dio di nuove vite. Quanto hanno bisogno gli uomini e le donne del nostro tempo di riappropriarsi di questa verità fondamentale, che è alla base della società, e quanto importante è la testimonianza di coppie sposate in ordine alla formazione di coscienze mature e alla costruzione della civiltà dell’amore!

Nella prima lettura odierna, tratta dal Siracide, la parola di Dio presenta la famiglia come la prima scuola della sapienza, una scuola che educa i propri membri nella pratica di quelle virtù che portano alla felicità autentica e ad un durevole appagamento. Nel piano divino per la famiglia, l’amore del marito e della moglie porta frutto in nuove vite, e trova quotidiana espressione negli amorevoli sforzi dei genitori di assicurare un’integrale formazione umana e spirituale per i loro figli. Nella famiglia ogni persona, sia che si tratti del bambino più piccolo o del genitore più anziano, viene considerata per ciò che è in se stessa e non semplicemente come un mezzo per altri fini. Qui iniziamo a vedere qualcosa del ruolo essenziale della famiglia come primo mattone di costruzione di una società ben ordinata e accogliente. Possiamo inoltre giungere ad apprezzare, all’interno della società più ampia, il ruolo dello Stato chiamato a sostenere le famiglie nella loro missione educatrice, a proteggere l’istituto della famiglia e i suoi diritti nativi, come pure a far sì che tutte le famiglie possano vivere e fiorire in condizioni di dignità.

Scrivendo ai Colossesi, l’apostolo Paolo parla istintivamente della famiglia quando cerca di illustrare le virtù che edificano “l’unico corpo”, che è la Chiesa. Quali “scelti da Dio, santi e amati”, siamo chiamati a vivere in armonia e in pace l’uno con l’altro, mostrando anzitutto magnanimità e perdono, con l’amore quale più alto vincolo di perfezione (cfr Col 3,12-14). Come nel patto coniugale, l’amore dell’uomo e della donna viene innalzato dalla grazia fino a divenire condivisione ed espressione dell’amore di Cristo e della Chiesa (cfr Ef 5,32), così anche la famiglia fondata sull’amore viene chiamata ad essere una “Chiesa domestica”, luogo di fede, di preghiera e di preoccupazione amorevole per il bene vero e dureturo di ciascuno dei propri membri.

Mentre riflettiamo su tali realtà in questa che è la città dell’Annunciazione, il nostro pensiero si volge naturalmente a Maria, “piena di grazia”, la Madre della Santa Famiglia e nostra Madre. Nazareth ci ricorda il nostro dovere di riconoscere e rispettare la dignità e lo specifico ruolo concessi da Dio alle donne, come pure i loro particolari carismi e talenti. Sia come madri di famiglia, come una vitale presenza nella forza lavoro e nelle istituzioni della società, sia nella particolare chiamata a seguire il Signore mediante i consigli evangelici di castità, povertà e obbedienza, le donne hanno un ruolo indispensabile nel creare quella “ecologia umana” (cfr Centesimus annus, 39) di cui il mondo, e anche questa terra, hanno così urgente bisogno: un ambiente in cui i bambini imparino ad amare e ad apprezzare gli altri, ad essere onesti e rispettosi verso tutti, a praticare le virtù della misericordia e del perdono.

Qui pensiamo pure a san Giuseppe, l’uomo giusto che Dio pose a capo della sua casa. Dall’esempio forte e paterno di Giuseppe, Gesù imparò le virtù della pietà virile, della fedeltà alla parola data, dell’integrità e del duro lavoro. Nel falegname di Nazareth Egli poté vedere come l’autorità posta al servizio dell’amore sia infinitamente più feconda del potere che cerca di dominare. Quanto bisogno ha il nostro mondo dell’esempio, della guida e della calma forza di uomini come Giuseppe!

Infine, nel contemplare la Sacra Famiglia di Nazareth, rivolgiamo lo sguardo al bambino Gesù, che nella casa di Maria e di Giuseppe crebbe in sapienza e conoscenza, sino al giorno in cui iniziò il ministero pubblico. Qui vorrei lasciare un pensiero particolare ai giovani presenti. Il Concilio Vaticano II insegna che i bambini hanno un ruolo speciale nel far crescere i loro genitori nella santità (cfr Gaudium et spes, 48). Vi prego di riflettere su questo e di lasciare che l’esempio di Gesù vi guidi non soltanto nel dimostrare rispetto ai vostri genitori, ma anche nell’aiutarli a scoprire più pienamente l’amore che dà alle nostre vite il senso più profondo. Nella Sacra Famiglia di Nazareth fu Gesù ad insegnare a Maria e Giuseppe qualcosa della grandezza dell’amore di Dio, suo Padre celeste, la sorgente ultima di ogni amore, il Padre da cui ogni paternità in cielo e in terra prende nome (cfr Ef 3,14-15).

Cari amici, nella colletta della Messa odierna abbiamo chiesto al Padre di “aiutarci a vivere come la Sacra Famiglia, unita nel rispetto e nell’amore”. Rinnoviamo qui il nostro impegno ad essere lievito di rispetto e di amore nel mondo che ci attornia. Questo Monte del Precipizio ci ricorda, come lo ha fatto con generazioni di pellegrini, che il messaggio del Signore fu talvolta sorgente di contraddizione e di conflitto con i propri ascoltatori. Purtroppo, come il mondo sa, Nazareth ha sperimentato tensioni negli anni recenti che hanno danneggiato i rapporti fra le comunità cristiana e musulmana. Invito le persone di buona volontà di entrambe le comunità a riparare il danno che è stato fatto, e in fedeltà al comune credo in un unico Dio, Padre dell’umana famiglia, ad operare per edificare ponti e trovare modi per una pacifica coesistenza. Ognuno respinga il potere distruttivo dell’odio e del pregiudizio, che uccidono l’anima umana prima ancora che il corpo!

Permettetemi di concludere con una parola di gratitudine e di lode per quanti si adoperano per portare l’amore di Dio ai bambini di questa città e per educare le generazioni future nelle vie della pace. Penso in modo speciale agli sforzi delle Chiese locali, particolarmente nelle loro scuole e nelle istituzioni caritative, per abbattere i muri e per essere fertile terreno d’incontro, di dialogo, di riconciliazione e di solidarietà. Incoraggio i sacerdoti, i religiosi, i catechisti e gli insegnanti che sono impegnati, insieme con i genitori e quanti si dedicano al bene dei nostri ragazzi, a perseverare nel dare testimonianza al Vangelo, ad aver fiducia nel trionfo del bene e della verità e a confidare che Dio farà crescere ogni iniziativa destinata a diffondere il suo Regno di santità, solidarietà, giustizia e pace. Al tempo stesso riconosco con gratitudine la solidarietà che tanti nostri fratelli e sorelle in tutto il mondo mostrano verso i fedeli della Terra Santa, sostenendo i lodevoli programmi ed attività delCatholic Near East Welfare Association.

“Si faccia di me secondo la tua parola” (Lc 1,38). La Vergine dell’Annunciazione, che coraggiosamente aprì il cuore al misterioso piano di Dio, e divenne Madre di tutti i credenti, ci guidi e ci sostenga con la sua preghiera. Ottenga per noi e le nostre famiglie la grazia di aprire le orecchie a quella parola del Signore che ha il potere di edificarci (cfr At 20,32), di ispirarci decisioni coraggiose e di guidare i nostri passi sulla via della pace!
AL SANTO SEPOLCRO

Cari Amici in Cristo, l’inno di lode che abbiamo appena cantato ci unisce alle schiere angeliche ed alla Chiesa di ogni tempo e luogo – “il glorioso coro degli Apostoli, la nobile compagnia dei Profeti e la candida schiera dei Martiri” – mentre diamo gloria a Dio per l’opera della nostra redenzione, compiuta nella passione, morte e risurrezione di Gesù Cristo. Davanti a questo Santo Sepolcro, dove il Signore “ha vinto l’aculeo della morte e aperto il regno dei cieli ad ogni credente”, vi saluto tutti nella gioia del tempo pasquale. Ringrazio il Patriarca Fouad Twal e il Custode, padre Pierbattista Pizzaballa, per le loro gentili parole di benvenuto. Desidero esprimere alla stessa maniera il mio apprezzamento per l’accoglienza riservatami dai Gerarchi della Chiesa ortodossa greca e della Chiesa armeno apostolica. Con animo grato prendo atto della presenza di rappresentanti delle altre comunità cristiane della Terra Santa. Saluto il Cardinale John Patrick Foley, Gran Maestro dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme. Saluto pure i Cavalieri e le Dame dell’Ordine qui presenti, con gratitudine per la loro inesauribile dedizione a sostegno della missione della Chiesa in queste terre rese sante dalla presenza terrena del Signore.

Il Vangelo di san Giovanni ci ha trasmesso un suggestivo racconto della visita di Pietro e del Discepolo amato alla tomba vuota nel mattino di Pasqua. Oggi, a distanza di circa venti secoli, il Successore di Pietro, il Vescovo di Roma, si trova davanti a quella stessa tomba vuota e contempla il mistero della risurrezione. Sulle orme dell’Apostolo, desidero ancora una volta proclamare, davanti agli uomini e alle donne del nostro tempo, la salda fede della Chiesa che Gesù Cristo “fu crocifisso, morì e fu sepolto”, e che “il terzo giorno risuscitò dai morti”. Innalzato alla destra del Padre, Egli ci ha mandato il suo Spirito per il perdono dei peccati. All’infuori di Lui, che Dio ha costituito Signore e Cristo, “non vi è sotto il cielo altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati” (At 4,12).

Trovandoci in questo santo luogo e considerando quel meraviglioso evento, come potremmo non sentirci “trafiggere il cuore” (cfr At 2,37), alla maniera di coloro che per primi udirono la predicazione di Pietro nel giorno di Pentecoste? Qui Cristo morì e risuscitò, per non morire mai più. Qui la storia dell’umanità fu definitivamente cambiata. Il lungo dominio del peccato e della morte venne distrutto dal trionfo dell’obbedienza e della vita; il legno della croce svela la verità circa il bene e il male; il giudizio di Dio fu pronunciato su questo mondo e la grazia dello Spirito Santo venne riversata sull’umanità intera. Qui Cristo, il nuovo Adamo, ci ha insegnato che mai il male ha l’ultima parola, che l’amore è più forte della morte, che il nostro futuro e quello dell’umanità sta nelle mani di un Dio provvido e fedele.

La tomba vuota ci parla di speranza, quella stessa che non ci delude, poiché è dono dello Spirito della vita (cfr Rm 5,5). Questo è il messaggio che oggi desidero lasciarvi, a conclusione del mio pellegrinaggio nella Terra Santa. Possa la speranza levarsi sempre di nuovo, per la grazia di Dio, nel cuore di ogni persona che vive in queste terre! Possa radicarsi nei vostri cuori, rimanere nelle vostre famiglie e comunità ed ispirare in ciascuno di voi una testimonianza sempre più fedele al Principe della Pace. La Chiesa in Terra Santa, che ben spesso ha sperimentato l’oscuro mistero del Golgota, non deve mai cessare di essere un intrepido araldo del luminoso messaggio di speranza che questa tomba vuota proclama. Il Vangelo ci dice che Dio può far nuove tutte le cose, che la storia non necessariamente si ripete, che le memorie possono essere purificate, che gli amari frutti della recriminazione e dell’ostilità possono essere superati, e che un futuro di giustizia, di pace, di prosperità e di collaborazione può sorgere per ogni uomo e donna, per l’intera famiglia umana, ed in special modo per il popolo che vive in questa terra, così cara al cuore del Salvatore.

Quest’antica chiesa dell’Anastasis offre una sua muta testimonianza sia al peso del nostro passato, con tutte le sue mancanze, incomprensioni e conflitti, sia alla promessa gloriosa che continua ad irradiare dalla tomba vuota di Cristo. Questo luogo santo, dove la potenza di Dio si rivelò nella debolezza, e le sofferenze umane furono trasfigurate dalla gloria divina, ci invita a guardare ancora una volta con gli occhi della fede al volto del Signore crocifisso e risorto. Nel contemplare la sua carne glorificata, completamente trasfigurata dallo Spirito, giungiamo a comprendere più pienamente che anche adesso, mediante il Battesimo, portiamo “sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nella nostra carne mortale” (2 Cor 4,10-11). Anche ora la grazia della risurrezione è all’opera in noi! Possa la contemplazione di questo mistero spronare i nostri sforzi, sia come individui che come membri della comunità ecclesiale, a crescere nella vita dello Spirito mediante la conversione, la penitenza e la preghiera. Possa inoltre aiutarci a superare, con la potenza di quello stesso Spirito, ogni conflitto e tensione nati dalla carne e rimuovere ogni ostacolo, sia dentro che fuori, che si frappone alla nostra comune testimonianza a Cristo ed al potere del suo amore che riconcilia.

Con tali parole di incoraggiamento, cari amici, concludo il mio pellegrinaggio ai luoghi santi della nostra redenzione e rinascita in Cristo. Prego che la Chiesa in Terra Santa tragga sempre maggiore forza dalla contemplazione della tomba vuota del Redentore. In questa tomba essa è chiamata a seppellire tutte le sue ansie e paure, per risorgere nuovamente ogni giorno e continuare il suo viaggio per le vie di Gerusalemme, della Galilea ed oltre, proclamando il trionfo del perdono di Cristo e la promessa di una vita nuova. Come cristiani, sappiamo che la pace alla quale anela questa terra lacerata da conflitti ha un nome: Gesù Cristo. “Egli è la nostra pace”, che ci ha riconciliati con Dio in un solo corpo mediante la Croce, ponendo fine all’inimicizia (cfr Ef 2,14). Nelle sue mani, pertanto, affidiamo tutta la nostra speranza per il futuro, proprio come nell’ora delle tenebre egli affidò il suo spirito nelle mani del Padre.

Permettetemi di concludere con una speciale parola di incoraggiamento ai miei fratelli Vescovi e sacerdoti, come pure ai religiosi e alle religiose che servono l’amata Chiesa in Terra Santa. Qui, davanti alla tomba vuota, al cuore stesso della Chiesa, vi invito a rinnovare l’entusiasmo della vostra consacrazione a Cristo ed il vostro impegno nell’amorevole servizio al suo mistico Corpo. Immenso è il vostro privilegio di dare testimonianza a Cristo in questa terra che Egli ha santificato mediante la sua presenza terrena e il suo ministero. Con pastorale carità rendete capaci i vostri fratelli e sorelle e tutti gli abitanti di questa terra di percepire la presenza che guarisce e l’amore che riconcilia del Risorto. Gesù chiede a ciascuno di noi di essere testimone di unità e di pace per tutti coloro che vivono in questa Città della Pace. Come nuovo Adamo, Cristo è la sorgente dell’unità alla quale l’intera famiglia umana è chiamata, quella stessa unità della quale la Chiesa è segno e sacramento. Come Agnello di Dio, egli è la fonte della riconciliazione, che è al contempo dono di Dio e sacro dovere affidato a noi. Quale Principe della Pace, Egli è la sorgente di quella pace che supera ogni comprensione, la pace della nuova Gerusalemme. Possa Egli sostenervi nelle vostre prove, confortarvi nelle vostre afflizioni, e confermarvi nei vostri sforzi di annunciare e di estendere il suo Regno. A voi tutti e a coloro a cui vanno le vostre premure pastorali imparto cordialmente la mia Benedizione Apostolica, quale pegno della gioia e della pace di Pasqua.