“Perché l’Azione cattolica ha ancora un buon numero di giovani che la vivono e la amano, che cosa ha da proporre loro”, “in quali diocesi e perché l’ Azione cattolica è un percorso di fede credibile per i giovani?”. Su queste domande mons. Domenico Sigalini, assistente ecclesiastico generale di Azione cattolica (Ac) e vescovo di Palestrina, si è interrogato durante la terza giornata del convegno degli assistenti diocesani di Ac in corso a Roma. “I giovani chiedono giustizia – ha spiegato – riguardo alla verità di se stessi, della dimensione religiosa della vita, del significato della affettività e della sessualità, del mondo, del loro futuro su cui è caricato un debito pro capite impossibile da sostenere, verità su Dio che viene continuamente oscurato, sul loro passato e quindi sui fondamenti della loro identità, cancellati con pietosi inganni”. “Chiedono, quindi, giustizia riguardo alla libertà, alla Chiesa – ha continuato mons. Sigalini -, per avere spazi nei quali potersi incontrare, giustizia di un rapporto tra le generazioni e rispetto al lavoro, alla possibilità di fare famiglia, di progettare futuro”. In questo panorama si pone l’operato dell’Azione cattolica che “può prendere sul serio i giovani”.
Mons. Sigalini ha richiamato poi lo statuto dell’associazione che possiede nel suo “Dna l’ascolto e l’amore indiscusso al Papa, al dialogo, all’amore per la Chiesa e che offre alla comunità cristiana, come tesoro necessario, la fede dei suoi ragazzi e giovani”. Per il vescovo, “i giovani sono una perla dell’Ac, che va custodita e promossa con tenacia” perché “bisogna porre il giovane come protagonista della Chiesa”. Nell’Ac, la parola “protagonismo” significa “solo caricarsi di responsabilità, dietro un invito esplicito, solare, proposto anche attraverso elezioni democratiche, ma germogliato nella coscienza di un percorso personale di fede, aiutato da una guida spirituale”. Accanto ai giovani, nel loro cammino di vita, si pone l’educatore e “in Ac giovani e adulti si mettono assieme e contano alla stessa maniera nelle decisioni, nella progettualità e nell’attività”. “L’adulto – ha aggiunto mons. Sigalini – è sempre un educatore, ma deve dare spazio al confronto, al dialogo”. Altro concetto centrale è quello di libertà, “un’energia incontenibile, una forza potente” che può trasformarsi in disgregazione e voglia di fuggire. “La libertà è una gran botta di energia per la vita; essa però può provocare un malessere di natura esistenziale”. Ecco il ruolo delle associazioni considerate come “laboratorio in cui si cerca e si può trovare il punto di equilibrio per uscire da queste due derive”.
“La forza della libertà sconvolge anche l’esperienza religiosa. Il primo risultato – ha sottolineato il vescovo – è che oggi ogni giovane ritiene che la vita religiosa deve essere scelta e non più imposta. Questa religione deve anche parlare la loro lingua, deve essere capace di entrare in risonanza con quanto sentono dentro di sé e con il loro desiderio di realizzazione”. In 6 anni la comunità cristiana ha “perso” dei giovani e “le cause ce le siamo sentite dire con schiettezza da loro stessi: linguaggi incomprensibili, dialogo inesistente, ascolto negato, chiusura e divisioni, moralismo senza dialogo. La Chiesa finisce per sembrare ‘una montagna di divieti’. È questo quello che pensano in molti”. In questo senso risulta fondamentale il ruolo dell’Ac che, ha concluso mons. Sigalini – deve rispondere alla “richiesta di chiarezza coraggiosa” e proporre “testimonianze di vita quotidiana”. Infine, un messaggio che è anche un appello: “I giovani chiedono alla Chiesa di ‘aprire le porte’, ma non per ‘farci entrare’, ciò significa che chi sta dietro le porte delle Chiese e delle canoniche deve uscire, per vivere in mezzo agli altri e così capirne le ragioni. Indica che non sono i giovani a dover tornare nella Chiesa; è piuttosto questa che deve ritornare tra i giovani”.