(estratto dal Messaggio del Vescovo) In ogni stagione della vita l’uomo è “umano”, cioè “fragile”, ed in tutte le generazioni si è sempre fatta esperienza della fragilità, della debolezza, del limite, del dolore, della malattia che ci insegnano tre cose fondamentali:
– non siamo eterni: non siamo in questo mondo per rimanerci per sempre, siamo pellegrini, di passaggio;
– non siamo onnipotenti: nonostante i progressi della scienza, della tecnica, e della medicina, la nostra vita è destinata a finire; la nostra fragilità è segno evidente del nostro limite umano;
– le cose più importanti sono la vita e l’amore: la malattia ci costringe a dare l’ordine giusto alla nostra gerarchia dei valori.
Fragile si dice di colui che è gracile, esile, delicato e fragilità rimanda al verbo frangere che significa spezzarsi, rompersi, ridursi in frammento. Richiama la bellezza, l’eleganza di un vaso di cristallo o di un vetro soffiato che, cadendo, può sbriciolarsi in frammenti inservibili o di una foglia ingiallita che, staccata dal ramo per un colpo di vento, pur volteggiando nell’aria, prima o poi cade a terra e muore. Il suo contrario è la forza, la stabilità: un oggetto d’acciaio, la roccia di una montagna. Le fragilità, al plurale, indicano situazioni problematiche del percorso esistenziale umano. Fragilità è emarginazione, sofferenza, disagio, solitudine, disperazione, depressione, mal di vivere. I nomi della fragilità hanno un denominatore comune: il dolore, ombra che avvolge non solo le azioni, ma tutto intero l’uomo. Il dolore richiama la paura e la paura genera dolore. “Siamo un granello di sabbia doloroso” (4), il che significa considerare la fragilità non un difetto, ma l’espressione dell’esistere nel tempo. Cosa fare dinanzi al dolore che dilaga, come esprimere le parole del dolore senza tradirne il senso? E’ difficile, soprattutto oggi, in un mondo che preferisce spettacolarizzarlo o rimuoverlo, dimenticarlo, nasconderlo in nome di un benessere illusorio quanto fugace. Prerogativa dell’essere al mondo, radicato nella nostra essenza, esso ci accompagna in ogni fase di età, dall’infanzia alla vecchiaia fino alla morte. Per intraprendere un viaggio nella realtà del dolore occorre partecipazione e umiltà, occorre scoprirne i nomi e i luoghi designati ad accoglierlo: gli ospedali, i cimiteri, le prigioni, i manicomi. Non solo, ma anche gli spazi nei quali la violenza dell’uomo erompe e distrugge: i lager, i ‘teatri di guerra’, le città dove individualismo e indifferenza regnano sovrane, le famiglie dove spesso si consumano tragedie efferate. E proprio in questi spazi il dolore assume il volto dell’abbandono, della solitudine, dell’emarginazione, della malattia, della depressione, della perdita del nulla. (sintesi del Messaggio).
+ Armando Trasarti
Vescovo
NB: Il testo completo è disponibile nella sezione del sito Vescovo – Messaggi, in pdf.