La prossima domenica delle Palme ricorrono ottocento anni da quando Chiara d’Assisi lasciò il palazzo paterno di Assisi per raggiungere la Porziuncola, dando inizio a una comunità di sorelle che diventeranno nel tempo l’ordine delle clarisse. Il tempo della svolta. Le compagne, i monasteri, la devozione.
È nel marzo 1211 o 1212 che si colloca la svolta esistenziale di Chiara: la fuga da casa per raggiungere Francesco e i suoi compagni alla Porziuncola dove riceve la “tonsura”, segno di penitenza, di volontà di cambiamento di stile di vita. Si tratta di un gesto forte di rottura, pensato in accordo con Francesco e probabilmente con il vescovo (Guido I). Il primo provvisorio “approdo” di Chiara non può non essere che un monastero benedettino, per la verità uno dei pochi attestati dalla documentazione in area umbra a questa altezza cronologica. Esso ha il pregio di insistere nella zona tra Assisi e Perugia, e si presenta altresì come un ente monastico già consolidato.
La Leggenda indica il luogo semplicemente come “chiesa di San Paolo”, ma l’identificazione certa con San Paolo delle Abbadesse è possibile grazie alla testimonianza di Beatrice, sorella di Chiara: “Et poi la menò alla chiesia de Sancto Paulo de Abbatissis”. Non compare il termine monasterium, però fonti documentarie coeve supportano la presenza nella zona di un monasterium Sancti Pauli ancillarum Dei: così si esprime la bolla di Innocenzo III del 1198 indirizzata al vescovo di Assisi [Guido I] a conferma dei beni della mensa episcopale. Per quanto qualche dubbio possa sussistere sul testo innocenziano, pervenuto in copia del 1301, l’esistenza di un monastero di San Paolo nella zona è convalidata da un’altra attestazione. Si tratta di un privilegio del medesimo Innocenzo III rivolto dilectis in Christo filiabus Vibilie abbatisse monasterii Sancti Pauli Fontis Tibertini eiusque sororibus, del marzo 1201, pervenuto in copia autentica del 1381. Il toponimo Fonte Tiberino indica il fiume Chiascio nell’ultimo quarto del suo percorso prima di gettarsi nel Tevere, e il monastero si trova proprio in prossimità di questo fiume. San Paolo VIene accolto sotto la protezione della Sede Apostolica e nel documento si esplicita chiaramente che in esso vige il rispetto della regola di san Benedetto; è già dotato di proprietà, che il Pontefice conferma, ed esentato dal pagamento delle decime.
In quale stato vi soggiornò Chiara? La Leggenda, nel raccontare l’intervento dei parenti, così si esprime: Violentiae impetum, venena consiliorum, blanditias adhibent promissionum, suadentes ab huiusmodi vilitate discedere, quae nec generi congruat, nec exemplum habeat in contrata. Marco Bartoli si è già soffermato sull’episodio e in particolare sul termine vilitas, che gli consente di concludere che “Chiara era entrata a San Paolo delle Abbadesse non come monaca, ma come serva, come conversa”. Si vorrebbe poter essere più precisi su tale status; certamente vi soggiornò come non-monaca e di sicuro neppure come aspirante tale, vista anche la vendita dell’eredità. Il termine vilitas allude a una condizione di status o non piuttosto all’atteggiamento assunto da Chiara contrario alle convenzioni del suo rango? O ad entrambe le cose? La tonsura, del resto, l’aveva immessa in una condizione penitenziale di vilitas che non si accordava con la nobiltà delle sue origini e fu la tonsura la vera difesa di Chiara nei confronti dei parenti.
Non sappiamo quali rapporti intercorsero tra Chiara “fuggitiva” e le monache: forse si trattò di semplice ospitalità offerta a una penitente, magari in cambio di qualche servizio, nel rispetto del capitolo 53 della regola di san Benedetto. Alcuni – di recente il Guida – parlano di “diritto di asilo”. Senza dubbio un ente monastico poteva offrire garanzie di protezione. Fu un luogo di rifugio provvisorio, infatti il soggiorno di Chiara a San Paolo non fu di lunga durata. Si possono formulare le ipotesi più varie, ma la conoscenza diretta di un monastero proprietario, ormai strutturato ed organizzato secondo la regola di san Benedetto, forse non fece altro che stimolare maggiormente il diverso orientamento di Chiara. San Paolo delle Abbadesse fu un passaggio, né poteva essere diversamente. Qui probabilmente Chiara ebbe modo di rendersi conto, almeno in parte, di quale fosse la vita di un ente monastico proprietario, dotato di beni, una realtà comunque all’opposto di ciò che – come Francesco – ella ricercava.
Uscita dall’ambito monastico tradizionale, Chiara si trasferì a Sant’Angelo di Panzo. Anche in questo caso sia la Leggenda che la testimonianza di Beatrice parlano semplicemente di “chiesa”. A Sant’ Angelo la condusse personalmente Francesco, insieme a Filippo e Bernardo che, come si può facilmente immaginare, dovevano essere esperti conoscitori della zona; il luogo/chiesa era dunque a loro ben noto. Per noi anche questo costituisce un piccolo problema.
Nulla supporta l’esistenza in loco di un monastero benedettino, e peraltro, a quell’altezza cronologica, appaiono rare le comunità monastiche femminili organizzate e definite. Ma non mi pare trovi qualche conforto documentario neppure la preesistenza di un nucleo di religiosae mulieres, prima dell’arrivo di Chiara, di Agnese, che qui la raggiunse, e forse di qualche altra affiliata della prim’ora. Rimane il fatto abbastanza “strano” che Francesco e compagni avessero condotto Chiara in un luogo privo di una qualche presenza.
Si possono formulare solo delle congetture. Si trattò di un minigruppo di penitenti – Chiara ed Agnese sicuramente – che lì fecero esperienza di vita religiosa sul genere delle recluse? L’appoggiarsi a una chiesa è caratteristico del fenomeno della reclusione volontaria, e già a suo tempo Sensi aveva ventilato tale ipotesi. Tuttavia bisogna sottolineare che in questo periodo in area umbra non vi sono attestazioni frequenti del fenomeno, anche se esso ha radici remote nel tempo in tutta Europa e soprattutto dal secolo XII appare in incremento, né va trascurato che esso viene in qualche modo “inglobato” nel filone monastico camaldolese-avellanita, presente ed influente nelle zone umbre.
In merito alla questione se Sant’Angelo di Panzo sia stato effettivamente un santuario micaelico, è suggestione di cui lascio la responsabilità a Sensi. Probabilmente si trattava veramente di una semplice chiesa, isolata, appartenente al capitolo-cattedrale, luogo solitario, eremitico; forse semplicemente un luogo “libero”, privo di altre presenze istituzionali. Forse poteva offrire a Chiara, ad Agnese che la raggiunse, e probabilmente a qualche altra, la possibilità di maturare meglio il proprio progetto, di decidere cosa fare; ma doveva comunque trattarsi di un luogo troppo isolato e persino pericoloso per un piccolo gruppo di donne. L’approdo sicuro e definitivo – come sappiamo – fu a San Damiano. Anche per San Damiano si parla semplicemente di chiesa e addirittura di “loco”, forse di giurisdizione vescovile, e c’è chi ha parlato di piccolo santuario.
Un luogo strategico dove si poteva coniugare vita eremitico-contemplativa, clausura, povertà. Il consilium venne dallo stesso Francesco e qui veramente Chiara gettò l’ancora. È il legame diretto con Francesco e con la sua fraternitas che fa di San Damiano la sede eletta: all’insegna di questo rapporto Chiara e le compagne possono maturare il loro percorso.
In conclusione a me sembra che, all’altezza del 1211/1212, si possa parlare con certezza di monastero benedettino per il solo San Paolo delle Abbadesse, mentre per Sant’Angelo di Panzo e per San Damiano le ipotesi che sinora sono state formulate non hanno ancora trovato adeguati supporti per indicare in essi strutture diverse da quelle di chiese.
È importante comunque sottolineare che tutti questi passaggi sono “un percorso geografico, ma insieme simbolico di una ricerca che non ha quadri di riferimento organicamente definiti: procede quasi per tentativi e sperimentazioni”. Questi luoghi sono veramente il segno di una dinamica di ricerca, dell’esigenza di inventare, rispetto alla tradizione, qualcosa di nuovo. In San Damiano si trova la sede logistica, ma questo è solo l’inizio di un cammino molto più lungo, volto a definire una vita religiosa che intende essere evangelica e alternativa, improntata a rigorosa povertà individuale e collettiva. È il percorso che condurrà Chiara, per fissare i suoi alti ideali, alla stesura della Regola.
(Osservatore Romano, di Giovanna Casagrande)