Sofferenza e amarezza per la violenza ad una ragazza nella “Notte bianca” a Fano. Investire sul vivere la festa che parta dalla gente, dal basso

COMUNICATO STAMPA
Nel giorno in cui la Chiesa celebra solennemente il Corpus Domini (Corpo e Sangue di Cristo) presente nell’Eucaristia la Diocesi di Fano-Fossombrone-Cagli-Pergola esprime  sofferenza e vergogna per l’atto di violenza a danno di una adolescente  nel corso della “Notte bianca” nella città di Fano. Le prime parole sono per la famiglia della ragazza e per lei stessa: una qualsiasi forma di violenza, specie quella fisica, segna coscienza e cuore per sempre. Anche il tempo fatica a cancellarle.

La coincidenza con la solennità cristiana del Corpus Domini ci deve far riflettere sull’accellerata e pseudo emancipazione che le ragazze di oggi hanno acquisito rispetto alle loro coetanee di alcuni fa. Mentre si ribadisce la ferma condanna di quanto accaduto si assiste ad una sempre più accentuata esibizione del proprio corpo. Il corpo è un dono, il corpo è sacro. È un regalo grande che la vita ha fatto ad ogni persona e non può essere mai pensato come ostentazione di sé e tanto meno come oggetto.

L’aspettativa nei confronti di tali eventi è molto alta e la proposta e l’offerta è basata prevalentemente sul commercio. I violenti e i più fragili, in tali situazioni di carica aspettativa che la festa richiede, sono i primi che ne pagano le conseguenze. Il modo di vivere la festa cristiana parte sempre dal basso, dal popolo, dalla gente. Vi è un convenire di diverso stile e modalità, partendo anche dalla dimensione importante dell’affettività, dello stare assieme, del saper fare festa, consci che la festa (o il suo contrario) abita in noi.

Di qui un appello ai genitori: l’educazione all’effettività dei figli passa anche (e non solo) attraverso la propria testimonianza di padre e madre in casa, nel modo di parlare e crescere nell’amore, nella stessa modalità di vestirsi perché siamo consapevoli che tutto parla di noi (parlare, vestire, amare, crescere, servire, uso del denaro, dei beni propri e del posto dove si vive) e tutto diviene linguaggio.

In tante parrocchie della Diocesi nei prossimi giorni prenderanno avvio campi scuola, esperienze di condivisione e di servizio. Per la ragazza, vittima di quanto accaduto partecipare ad una di queste esperienze proposte dalle parrocchie può aiutare a vivere e condividere concretamente con tanti ragazzi/e che amano la vita senza disprezzarla, che vivono il rapporto con il proprio corpo e quello dell’altro in modo sano senza farsi gioco di esso, che  non tutti i ragazzi sono malati.

Ai giovani invece che si sono macchiati di una ferita indelebile cosi forte, e alle loro famiglie, non si chiede solo un profondo e onesto esame di coscienza, ma si invita loro a guardare alle settimane, ai mesi e agli anni futuri, evitando di dimenticare troppo velocemente quanto accaduto. Unitamente al riconoscimento della colpa (che non può essere sufficiente) ci sia un serio, profondo, maturo cammino di recupero della propria identità di persone, del senso del dovere e del rispetto alla vita propria e altri, al valore del sacrificio, del denaro in tasca frutto di lavoro guadagnato con il sudore, in una società che ha attutito ogni desiderio perché tutto è facilmente reperibile imbarbarendo ogni istinto.

A questi giovani, rei di quanto compiuto, invitiamo a vivere un tempo molto prolungato al fianco di senza fissa dimora, servendo i pasti alla mensa dei poveri, in una casa per ragazzi e ragazze diversamente abili, imboccando chi non riesce a mangiare e facendo delle notti al fianco di ammalati in ospedale. Gesti quotidiani come questi, che i ragazzi non conoscono più, possono illuminare la coscienza, aiutando a ritrovare lo sfuocato senso di dignità umana che si deve ad ogni persona.

Ufficio Comunicazioni Sociali