(testo integrale) Quanta sollecitudine amorosa ed operativa del Padrone-Sposo (Dio) nei confronti della vigna amata (Israele); e quanta delusione del Padrone-Sposo per un amore non corrisposto. “Che cosa dovevo fare ancora alla mia vigna che io non abbia fatto? Perché, mentre attendevo che producesse uva, essa ha prodotto acini acerbi?” (Is 5,4). Il cantico d’amore si trasforma in canto di condanna. Il Profeta diventa il portavoce dell’amore tradito di Dio. Il dramma del rifiuto (Mt21,33-43). I vignaioli oltre che incapaci (non sanno far fruttificare la vigna) si rivelano violenti, usurpatori e omicidi. Quale la colpa maggiore dei vignaioli? La colpa sta nel rifiuto reiterato verso i messaggeri del padrone. Come non riconoscere nel figlio della parabola Gesù stesso e l’ormai imminente destino di morte che lo attende?! L’appartenenza alla vigna del Signore non è garanzia automatica di salvezza; Dio attende i frutti dai vignaioli. I frutti non conseguono ad un’etica del dovere ma della responsabilità e della gratuità. Il rifiuto umano di Dio infine non arresta il suo amore, ma lo intensifica ed accresce. Se questa è la prassi di Dio, consegue che deve divenire anche la prassi dei figli di Dio. Caro Matteo, ho notato che nel tuo ricordino hai messo l’immagine del buon pastore. Vorrei prendere spunto da questa immagine per delineare alcuni tratti del sacerdozio ministeriale. Alla luce del buon pastore mi pare che siano tre gli elementi costitutivi di una possibile figura ideale di sacerdote:
– Un pastore che conosce personalmente le sue pecore;
– Un pastore che dona la sua vita per le pecore:
– Un pastore che vive in comunione con Dio.
Il pastore anzitutto conosce le sue pecore: in senso semitico, la conoscenza implica sempre una relazione interpersonale, un coinvolgimento esistenziale, un atto che parte dalla mente ma che tocca il cuore.
Il sacerdote deve parlare di Dio: ma solo chi ha esperienza di Dio può parlare di Dio. Il vero pastore non ha una conoscenza dei suoi fedeli da anagrafe pastorale, ma dal coinvolgimento di destino e dalla condivisione della fede.
In secondo luogo, il buon pastore offre la vita per le pecore. Gesù non ha scelto chi doveva salvare, ma ha salvato chi sentiva il bisogno di venir fuori dalla sua miseria, chi era peccatore. Matteo, non cadere nella logica della prestazione; se si cade in questa logica si può essere indotti a un discorso di confronto tra prestazioni alla ricerca di posti più o meno onorati o a cercare una sorta di gerarchia di valore e di onore fino alla tentazione della “attualità” (cose da fare – mestiere), fino – Dio non voglia – ad una tendenza al minimalismo (ho fatto quanto pattuito), non potete esigere di più.
La logica del ministero, del pastore che offre la vita è la logica del “dare cuore e vita”; dare il cuore e la vita non ammettono misure. “Li amò sino al segno supremo: la croce”. Il mestiere crea mercenari, il ministero costituisce dei pastori.
In terzo luogo il buon pastore, sull’esempio di Gesù che è unito al Padre, vive in comunione con Dio. “Il Padre conosce me e io conosco il Padre” Gesù ha portato Dio, ha rivelato Dio, ha riconosciuto il primato della Parola di Dio. Così è stato nelle tentazioni del deserto, nella moltiplicazione dei pani, nella istituzione dell’Eucaristia. Non diventare “padrone” di Dio: velati sempre il cuore quando parli di Lui e ricordati che sei l’amico dello Sposo perché lo Sposo è solo Cristo. Non sostituirti mai allo Sposo: sei chiamato a fidanzare un popolo a Cristo.
In ultimo ti invito a costruire e percepire l’amore presbiterale. La Chiesa che il Signore ti mette davanti esige una grande comunione pastorale (guardate come si amano i presbiteri), che ha fondamento teologico: sei parte del presbiterio.
Occorre allora una prassi pastorale di comunione e di collaborazione. Cura gli atteggiamenti del cuore nei confronti della Chiesa e del presbiterio.
Quanta durezza o superficialità si sperimenta talora con chi vive accanto a noi. Tutti i difetti che si trovano in ogni opera buona (anche nella Chiesa) non ne intaccano la bontà essenziale. Il dolore è il rovescio di quell’unica stoffa che ha disegnato la grazia. Impara a frequentare il silenzio e la solitudine spirituale.
Signore assisti i preti che presiedono l’Eucaristia e la carità, che confessano i peccati e consolano i cuori. Rendili forti. “Percuoterò il pastore e saranno disperse le pecore del gregge”.
Signore nella memoria della tua ultima Cena, parla ancora al cuore dei tuoi figli, manda delle intuizioni piene di fede e di coraggio. Ti prego per le vocazioni sacerdotali.
La gente vorrebbe coltivare un po’ di più la propria vita spirituale e spesso, al di la delle pigrizie, non sa da chi andare, non ha perseveranza, non ha un amico vicino, non ha una chiesa, non ha un prete.
Il prete è un uomo, non è fatto di un legno diverso da quello di cui tutti siete fatti: è un vostro fratello. Egli continua a condividere le strade dell’uomo anche dopo che la destra di Dio, attraverso le mani del Vescovo, si è posata su di lui: la sorte dei deboli, la sorte di coloro che sono stanchi, scoraggiati, inadeguati, peccatori….
Come messaggeri umani dell’Eterno Dio vi chiediamo: non vi adirate contro di noi!
Noi sappiamo di portare il tesoro di Dio in vasi di creta, sappiamo che la nostra ombra offusca continuamente la divina luce che dobbiamo portare. Siate misericordiosi verso di noi, non giudicate, abbiate pietà della debolezza nella quale Dio ha posto il fardello troppo pesante della Sua Grazia.
Il Signore ci conceda la grazia di restare fedeli anche se siamo da soli con Lui, anche quando gli altri sembrano non interessarsi, anche quando i risultati che vediamo non sembrano rendere ragione di tanta fatica e di tanti sacrifici.
Sappiamo che il Signore ci concederà di saper restare con Lui. La sua fedeltà ci renderà fedeli.
Maria – come nel Cenacolo – ci accolga, ci confermi, ci incoraggi ad aprire le porte verso il mondo, allontani dal nostro cuore la timidezza nell’annunciare il Vangelo di Cristo. Ci assistano i Nostri Santi Patroni.
Così sia.