“Le omelie siano significative, brevi. Si necessita un corso di giornalismo”. Card. Ravasi alla Gregoriana

”La parola è in sofferenza. Anche per la comunità ecclesiale, la Chiesa e la sua comunicazione. La parola è tradita e umiliata”. Anche dal pulpito. Ravasi chiama in causa direttamente i sacerdoti. Perché ”spesso le predicazioni sono così incolori, insapori, inodori da essere irrilevanti”. Invece ”bisogna ritrovare la parola che ‘offende’, ferisce, inquieta, giudica”, la ”parola sana, autentica che lascia il segno”. E non dimenticarsi che oggi, piaccia o no, chi ascolta ”e’ figlio della tv e di internet”.
 
E ancora: Ravasi ricorre a Voltaire e Montesquieu e dice con loro che ”l’eloquenza sacra è come la spada di Carlo Magno, lunga e piatta: quello che non sa darti in profondità te lo da’ in lunghezza”. Il tono del cardinale è leggero, ma tagliente. ”Il sacerdote non deve accettare che la parola sia umiliata. E’ chiaro che la capacità di parlare è anche, in parte, dote naturale, ma poi’ c’è la formazione, l’aspetto pedagogico, l’attrezzatura tecnica di cui dotarsi. E questo oggi manca nei seminari”. Per finire: “Umberto Eco stima che oggi i giovani usino solo 800 parole. Ciò impone a chi parla essenzialità, incisività, narrazione, colore”.