L’incontro di oggi può essere un modo per rivisitare il vocabolario essenziale della vita di una comunità. E’ un’occasione per fermarci un attimo e pensare a valori come reciprocità, solidarietà e condivisione. Ringrazio per l’invito ricevuto. E’ sempre difficile amministrare la cosa pubblica, figuriamoci in questi tempi. La Chiesa vi ringrazia e vi dimostra apprezzamento e stima.
La responsabilità: una virtù civica.
Responsabilità verso me stesso o responsabilità verso gli altri? Può darsi che la domanda appaia strana; il termine ‘responsabilità’ deriva naturalmente da ‘rispondere’ e quindi suppone una relazione, un rapporto: sono responsabile perché debbo rispondere di qualcosa davanti a qualcuno: il cittadino è responsabile davanti allo Stato delle azioni che hanno una rilevanza sociale; l’operaio è responsabile di fronte al datore di lavoro del modo in cui lavora e, reciprocamente, il datore di lavoro è responsabile di fronte all’operaio del modo in cui lo fa lavorare; e così via.
La domanda allora diventa: chi è responsabile? e davanti a chi? e di che cosa? L’uomo – ogni uomo – è fatto in modo da essere capace di crescere aprendosi sempre più ampiamente e profondamente al mistero di tutta la realtà. Ogni azione buona migliora la condizione degli uomini e rende più umana la convivenza. Vi auguro di essere appassionati al bene della nostra città.
Per impegnarsi seriamente nella vita sociale l’uomo ha bisogno di avere delle motivazioni forti. L’uomo non si accontenta di vivere, ha bisogno di dire a se stesso perché vive. L’animale quando è sazio dorme; l’uomo quando ha soddisfatto la fame, pensa. Abbiamo bisogno di vivere la nostra esistenza come un dramma che significa qualcosa, che contribuisce ad arricchire il dramma più grande dedll’umanità.
Quali scelte possono favorire la crescita di una città amica delle persone? Abbiamo a volte la tentazione di sognare come ideale un mondo dove i legami sono pochi e scelti, dove lo spazio è cintato e protetto dalla irruzione degli estranei. Ma è proprio questa la direzione? Quali comportamenti possono davvero produrre quella percezione di sicurezza che ci permette di vivere meglio?
Si ha la percezione evidente di una società nella quale la litigiosità ha raggiunto livelli di guardia. E questo ci fa vergognare quando sentiamo dire che l’Italia è il paese con il maggior numero di liti in corso.
Il Natale, ormai, è una festa non solo riservata ai cristiani ma sempre più carica di una valenza antropologica. I valori della quotidianità, del tessuto della vita, le relazioni umane, l’amicizia, l’amore, la fraternità sono legati a questo giorno al punto che anche là dove vi è contrapposizione tra credenti e non credenti, la festa rimane tale per tutti: magari, invece di “Buon Natale!” i non credenti si augurano un più generico “Buone Feste!”, ma il clima dell’incontro, della gioia, dell’intimità è da tutti condiviso. Il Natale è un’autentica occasione per riaccendere una speranza che riguarda l’umanità intera. Non di tutti è la fede, ci ricorda l’apostolo Paolo, ma tra tutti è possibile tessere cammini di pace, di giustizia, di perdono, di ascolto reciproco.
Forse il tempo di Natale e la maggiore sensibilità alla dimensione del dono che questa festa suscita potrebbe aiutarci proprio in due percorsi di approfondimento del senso delle nostre vite. A livello personale e relazionale, possiamo riscoprire la libertà profonda che il donare richiede e la gioia che suscita sia in colui che dona che in colui che riceve. A livello sociale, ci è dato prendere coscienza di come, anche nell’ottica mercantile ormai dominante, si possano concretamente immettere istanze di gratuita fraternità: la solidarietà umana, uno stile di vita più sobrio ed essenziale, una ritrovata dimensione di fratellanza universale non sono alternative alle ferree leggi economiche o all’esercizio della giustizia, ma sono anzi correttivi preziosi per una più equa distribuzione di quei doni naturali che sono intrinsecamente destinati a tutti.
Mi soffermo su ciò che Papa Francesco chiama i quattro principi “per avanzare nella costruzione di un popolo in pace, giustizia e fraternità”. Questi principi orientano “lo sviluppo della convivenza sociale e la costruzione di un popolo in cui le differenze si armonizzano all’interno di un progetto comune” (…)
- “Il tempo è superiore allo spazio”, scrive il Papa. Tutti vogliono possedere tutto e lo scontro tra pienezza e limiti della vita genera tensione. E’ così anche nella politica. Un politico deve guardare avanti, a lunga scadenza, senza cercare traguardi immediati e occupare spazi di potere a tutti i costi. La priorità va data al tempo: risolvere le cose in poco tempo distrugge, lacera quanto la voglia di dominare, occupare spazio.
- “L’unità prevale sul conflitto”, è il secondo principio. Il conflitto va accettato, non dissimulato. Ma, se rimaniamo intrappolati nel conflitto, perdiamo l’orizzonte, la realtà, la prospettiva. Nel conflitto ecco che deve intervenire la solidarietà: è uno stile, un modo per costruire la storia e unire le diversità. Il confronto tra le parti presuppone il riconoscimento del valore dell’altro e della sua legittimità.
- “La realtà è più grande dell’idea”. Dovremmo evitare di avere a che fare con forme che occultano la realtà, come i totalitarismi relativi, senza saggezza. Vi sono politici o anche ‘dirigenti religiosi’ che non si spiegano perché il popolo non li segua. Hanno ridotto la politica alla retorica dimenticando la semplicità, poiché hanno abbracciato idee difficili, una razionalità estranea alla gente.
- “Il tutto è superiore alla parte”. Bisogna prestare attenzione alla dimensione globale per non cadere in una meschintà quotidiana. Al tempo stesso, non è opportuno perdere di vista ciò che è locale, che ci fa camminare con i piedi per terra.
Concludo questa breve presentazione dei principi esposti da Papa Francesco sottolineando la sua difesa della politica come “vocazione altissima”, contro un populismo irresponsabile che fa solo demagogia e non risolve i veri, tremendi problemi di poveri sempre più poveri. Mi pare ugualmente importante ricordare la condanna della “idolatria” dell’economia speculativa e delle dinamiche che condizionano lo sviluppo e producono povertà: “Dobbiamo dire ‘no’ a un’economia dell’esclusione e della inequità. Questa economia uccide.
“Il grande rischio del mondo attuale è una tristezza individualista che scaturisce dal cuore comodo e avaro, dalla ricerca malata di piaceri superficiali, dalla coscienza isolata…”.
Corruzione e antipolitica: alla fine, sono il medesimo risultato triste di un fenomeno di mancanza di etica all’interno della politica. Credo che occorrano molte mani: ecco il punto nodale. Dobbiamo fare una economia dove le decisioni non siano prese da pochi in stanze oscure, ma siano trasparenti, ci siano organi di controllo, ci sia la partecipazione della base. E’ il buio che crea la corruzione o l’antipolitica.
Alcune criticità per le nostre città: la perdita di una identità collettiva; l’aumento del disagio sociale, lo sfilacciamento della coesione sociale, lo svilupparsi di un assetto urbanistico che non favorisce le relazioni umane.
Adoperiamoci per una città inclusiva. I cristiani siano o diventino sempre più trasmettitori di speranza, promotori di una cultura della gratuità, animatori di un sentire etico, testimoni di professionalità. Occorre riscoprire la categoria della “compagnia degli uomini” per definire la condizione del cristiano nella storia. Ovvero “guardare il mondo con immensa simpatia perché, se anche il mondo si sente estraneo al cristianesimo, il cristianesimo non si sente estraneo al mondo… qualunque sia l’atteggiamento del mondo verso di esso” (Paolo VI).
Adoperiamoci per un cristianesimo fedele alla terra: un’esistenza integralmente umana, dunque fedele alla terra. Oggi più che mai si tratta di reimparare e di esercitare la grammatica umana elementare: l’essere uomo e donna, l’essere con l’altro, l’amare ed essere amato.
“La Chiesa deve partecipare agli impegni mondani della vita della comunità umana, non dominando, ma aiutando e servendo. Essa deve dire agli uomini di tutte le professioni che cosa significhi “esserci per gli altri” (Dietrich Bonhoeffer, Resistenza e resa).
Occorre domandarci se cerchiamo o sappiamo dialogare o se ci contrapponiamo al mondo invece di guardarlo con appartenenza e simpatia!
Un pensiero speciale vorrei rivolgere ai giovani.
L’attuale generazione di giovani è sovente oggetto di lapidari giudizi, che alternativamente ne giustificano o stigmatizzano marginalità e inedia.
Che cosa fanno i giovani in una società che ha deciso di non aver bisogno di loro? La maggior parte degli adulti si sente, in verità, ancora troppo giovane per pensare di mettersi da parte o anche solo iniziare a programmare la propria inevitabile uscita discena, creando le condizioni perché le prerogative delle nuove generazioni non restino troppo a lungo disattese. La generazione adulta non riesce a pensare alla propria mancanza, al fatto cioè che il mondo andrà avanti anche dopo di lei, e da qui sprigiona una forte inquietudine nell’universo giovanile, continuamente costretto ad assaporare la propria estromissione dai circuiti che contano. (F. Stroppa, La restituzione. Perché si è rotto il patto tra le generazioni, Feltrinelli, Milano 2011)
Ogni generazione, a qualunque tempo e condizione socio-culturale appartenga, è chiamata a un ineludibile compito: al compito della restituzione, cioè a un confronto schietto e viscerale con quanto ha ricevuto e riceve in eredità dalla generazione precedente che l’ha donata.
Stimati amministratori, ricordiamoci sempre che l’autorevolezza nasce dalla disponibilità a pagare di persona per la verità e il bene di tutti e dal mettere la verità sopra ogni altra cosa. Chiediamoci: quali scelte possono favorire la crescita di una città amica delle persone?
Vi auguro “uno stare nel mondo per condividerne le gioie e le sofferenze. E soprattutto oso chiedervi di non essere solo oservatori fuori della mischia e di diventare attori di questo nostro tempo e della nostra città.
A tutti i cittadini di Fano auguro di moltiplicare i legami e viverli con lealtà, fedeltà, rispetto dell’altro: tutto ciò produce un maggior senso di sicurezza nella società e ci permette di vivere meglio.
Fano. Natale 2014
+ Armando vescovo