San Paterniano viene raffigurato nelle pitture come il Vescovo a cui viene offerta in dono la città perché se ne prenda cura.
Papa Francesco nella Evangelii gaudium al n. 24 così definisce: prendere l’iniziativa, coinvolgersi, accompagnare, fruttificare e festeggiare.
“La comunità evangelizzatrice vive di un desiderio inesauribile di offrire misericordia, frutto dell’aver sperimentato l’infinita misericordia del padre e la sua forza diffusiva. Osiamo un po’ di più prendere l’iniziativa! Come conseguenza, la Chiesa sa “coinvolgersi”. Gesù ha lavato i piedi ai suoi discepoli. Il Signore si coinvolge e coinvolge i suoi, mettendosi in ginocchio davanti agli altri per lavarli…. La comunità cristiana accorcia le distanze, si abbassa fino all’umiliazione se è necessario, e assume la vita umana, toccando la carne sofferente di Cristo nel popolo… La comunità evangelizzatrice si dispone ad accompagnare. Accompagna l’umanità in tutti i suoi processi, per quanto duri e prolungati possano essere. Conosce le lunghe attese e la sopportazione apostolica… usa molta pazienza ed evita di non tenere conto dei limiti. Sa anche fruttificare. La comunità evangelizzatrice è sempre attenta ai frutti, perché il Signore la vuole feconda. Si prende cura del grano e non perde la pace a causa della zizzania… L’evangelizzazione gioiosa si fa bellezza nella liturgia in mezzo all’esigenza quotidiana di far progredire il bene…”.
La comunità deve diventare un luogo dove si coltivano rapporti belli, di fraternità, di prossimità, perché i vicini diventano prossimi; con tutti i suoi peccati e con tutti i suoi limiti rimane un ideale di fraternità in divenire destinato a mostrare che possono esistere legami gratuiti e sinceri e non solo rapporti di convenienza e di interesse; deve farsi carico della storia di ciascuno, della vita quotidiana, di lasciarsi plasmare dalla Parola, dall’Eucaristia e dalla carità. La comunità – soprattutto nella dimensione parrocchiale – custodisce la possibilità di vivere la fede dentro le condizioni della vita quotidiana; deve dire sempre la priorità della scelta di Dio che è l’attenzione ai piccoli, ai poveri. Nella chiesa – parrocchia tutti devono sentirsi a casa loro, perché è uno spazio che non si sceglie, ma in cui si viene scelti.
I. Cosa le nostre chiese, oggi, debbono fare?
1. Innanzitutto accantonare tutti i pregiudizi.
Le dottrine si spiegano, le persone si incontrano; le teorie si discutono, le persone si riconoscono e si scelgono (CEI, Lettera ai cercatori di Dio, 2009).
Un conto sono le idee e un conto le persone, che valgono infinitamente più delle loro opinioni. Tante volte si rischia di ragionare in modo astratto, conflittuale: noi/loro, credenti/non credenti, vicini/lontani, dentro/fuori…
2. Vincere l’individualismo
È necessario evitare il rischio di credere che la comunità possa annunciare il Vangelo senza coltivare relazioni. Esistono fedeli senza una comunità cristiana. Sono i gesti che danno credibilità alle parole. Gesù non si è accontentato di fare bei discorsi, ma le sue parole erano accompagnate dai gesti. Gesù si è chinato sull’umanità bisognosa, ammalata, sofferente.
Non bastano i discorsi, occorre far incontrare la gente, i giovani, i ragazzi con la vita di una comunità parrocchiale dove c’è amore e passione per Dio e per l’uomo, dove c’è la capacità di leggere il presente, i segni del tempo, il cambiamento che ci incalza, dove c’è la capacità di non rinchiudersi fra le mura solide del tempio, ma di uscire e andare per le strade, raggiungere i cortili, incontrare l’uomo dove vive, ama, soffre.
Tra la chiesa con le sue icone, i suoi lumi e i suoi incensi e la strada, la piazza col suo rumore, non ci deve essere una porta sbarrata, ma una soglia aperta, ove scorra il vento dello Spirito di Dio (Pavel Evdokimov).
3. Prioritario è l’ascolto delle persone
Le persone che nella parrocchia si incontrano non sono persone ideali, ma persone che hanno un volto concreto. Occorre essere in ascolto della ricerca, delle domande talora inespresse e delle condizioni umane del nostro tempo.
Occorre entrare nella vita dell’altro con empatia, non per prendervi possesso o occuparla, ma come ospiti. L’empatia è la capacità di comprendere a pieno quello che c’è nel cuore dell’altro soprattutto il suo dolore.
Un giorno un rabbino domandò a un ebreo: “Mi ami?”E quello rispose: “Sì, certo che ti amo”. E il rabbino domandò ancora: “Sai qual è il mio dolore?” “Come faccio a sapere qual è il tuo dolore?” replicò l’altro. “Allora, concluse il rabbino, non è vero che mi ami. Non mi puoi amare se non conosci il mio dolore”. (Martin Buber)
Conoscere le persone, rispettarne il mistero, il loro cammino, i loro tempi.
Conoscere i loro bisogni, le loro attese, i loro sogni.
Conoscere il territorio, le dinamiche sociali, economiche, il bisogno di solidarietà e di giustizia.
L’incontro ha bisogno di delicatezza, invoca uno spazio di tenerezza, deve essere segno di gioia per la presenza dell’altro. La sfida della comunità parrocchiale che vuole annunciare il Vangelo è leggere tra le pieghe della vita, tra silenzi e disagi…
4. Tenere fisso lo sguardo su Gesù
È su Gesù che la Parrocchia – la comunità cristiana – deve tenere fisso lo sguardo per convertire la sua immagine di Dio per diventare l’azione stessa di Gesù che continua e si prolunga oggi. La gente che abita questo territorio, incontrando la nostra comunità, deve poter incontrare la persona di Gesù e la sua persona che perdona e chiama, che incoraggia.
5. Gesù colma le distanze
Gesù siede a mensa con i pubblicani e peccatori: a tavola si scambia cibo, parole e vita. Il mangiare insieme spinge alla familiarità, ad avvicinarsi senza paura. Gesù che siede a mensa dimostra un’attenzione particolare verso la vita dell’altro, Gesù abbatte le barriere che dividono. Solo da gesti di gratuità nasce una trasformazione dell’esistenza.
6. Gesù cerca gli smarriti
Gesù racconta la parabola dell’uomo che lascia le novantanove pecore nel deserto e va alla ricerca della pecora perduta. L’interesse per la pecora che non c’è diventa il motore del suo agire. Si tratta di andare alla ricerca della pecora smarrita. Le novantanove, anche nel periodo della solitudine nel deserto, maturano, grazie a questa ricerca che avviene fuori dell’ovile, nel mondo, nello spazio aperto della vita.
Questo è il modo di agire di Dio; questo deve diventare il modo di agire della comunità parrocchiale. La gioia più grande della Parrocchia è il ritorno di un solo smarrito.
Non esiste nessuna persona che sia per natura del tutto impenetrabile alla Parola. Né esistono casi veramente irrecuperabili, fin che si rimane nel terreno della vita (Martini).
7. Gesù prova compassione
C’è una parola che ricorre nel Vangelo, che esprime una vicinanza ricca di amore: compassione.
Gesù è l’immagine di Dio che prova passione per l’uomo. Nessuno è definitivamente perduto per Dio, nessuna storia di uomo è troppo sbagliata. L’uomo non è mai da buttare. La compassione è capire e portare nel cuore la sofferenza dell’altro. La compassione fa scorrere nella comunità una solidarietà forte, capace di dare piena cittadinanza a quelli che sono stati cacciati, o che abbiamo abbandonato ai margini, o che abbiamo dimenticato.
II. Mettersi in ascolto del nostro tempo
Occorre domandarci quali richiami, quali opportunità il contesto di oggi offre alla nostra comunità cristiana chiamata ad annunciare il Vangelo.
1. Coltivare il pensiero umile
Oggi è importante mostrare la possibilità di un pensiero né forte, né debole: un pensiero umile che sappia accogliere le critiche agli approcci del passato e che restituisca fiducia alle capacità umane. La verità non si possiede, ma ci possiede. La verità richiede accoglienza, attenzione, ascolto perché possa dirsi e di piegarsi oggi.
Il pensiero umile lascia spazio all’inquietudine umana, quasi la custodisce. Non riduce le proprie verità ad armi da usare contro i nemici, i lontani, i non credenti. Un pensiero che giudica, ma non accompagna l’uomo nella ricerca della verità, è certamente fuori posto.
Don Mazzolari, rivolgendosi ai cristiani alla Messa, diceva loro che quando si entra in Chiesa bisogna togliersi il cappello, non la testa.
Mi piacerebbe una Chiesa che osi mostrare la sua fragilità… Talvolta la Chiesa dà l’impressione di non aver bisogno di nulla e sembra che gli uomini non abbiano niente da darle. Vorrei una Chiesa che si metta ad altezza d’uomo senza nascondere che è fragile, che non sa tutto e che anche lei si pone delle domande (Albert Rouet).
2. Vivere la spiritualità del prendersi cura
Papa Francesco ha indicato nel prendersi cura la cifra interpretativa di un cristianesimo che recupera la dimensione del servizio e non occupa posti di potere. Il prendersi cura dell’altro diventa anche un prendersi cura di se stessi. Quando nella comunità funziona il prendersi cura nella gratuità, le relazioni si rinnovano, lo spirito di servizio si rafforza, la testimonianza diventa credibile.
La parrocchia, oggi, è chiamata a prendere in seria considerazione il concreto “tu” dell’altro, le sue condizioni di possibilità, le circostanze, le esigenze che nascono dall’incontro. Ciò suppone la condivisione come metodo: è uno stare in mezzo come dono. Non esiste altro modo per annunciare Dio, come “Dio vicino”.
Sogno che la nostra comunità divenga sempre più evangelica, fraterna, accogliente, responsabile, vivace, aperta, missionaria. Sogno che la nostra comunità divenga per tutti la “fontana del villaggio”di cui parlava Giovanni XXIII, a cui tutti possono abbeverarsi”. “Se io sogno da solo, il mio è soltanto un sogno, ma, se sogniamo insieme, il sogno diventerà realtà” (M. L. King).
3. Rimanere, andare, gioire
“Si tratta di assumere il dinamismo missionario per avvicinarsi a tutti, privilegiando chi si sente lontano e le fasce più deboli e dimenticate della popolazione. Si tratta di aprire le porte e lasciare che Gesù possa andare fuori. Questo stile di evangelizzazione, animato da forte passione per la vita della gente…” (Papa Francesco all’Azione Cattolica Italiana, 3 maggio 2014).
Rimanere. “Vi invito a rimanere con Gesù, a godere della sua compagnia. Per essere annunciatori e testimoni di Cristo occorre rimanere anzitutto vicini a Lui. È dall’incontro con Colui che è la nostra vita e la nostra gioia, che la nostra testimonianza acquista ogni giorno nuovo significato e nuova forza”
Andare. “Andare per le strade delle vostre città e dei vostri paesi e annunciare che Dio è padre e che Gesù Cristo ve lo ha fatto conoscere, e per questo la vostra vita è cambiata: si può vivere da fratelli, portando dentro una speranza che non delude”. “Ci sia in voi il desiderio di far correre la Parola di Dio fino ai confini, rinnovando così il vostro impegno a incontrare l’uomo dovunque si trovi, lì dove soffre e spera, lì dove ama e crede, lì dove sono i suoi sogni più profondi, le domande più vere, i desideri del suo cuore. Lì vi aspetta Gesù.
Gioire. Gioire ed esultare sempre nel Signore! Essere persone che cantano la vita, che cantano la fede; persone capaci di riconoscere i propri talenti e i propri limiti, che sanno vedere nelle proprie giornate, anche in quelle più buie, i segni della presenza del Signore”.
Chiediamo a San Paterniano, nostro patrono e alla Vergine Maria un cuore grande e misericordioso, che desidera il bene e la salvezza di tutti.