«Amore e corpo: spiritualità e materialità dell’esistenza» è stato il tema trattato da Giorgio Bonaccorso monaco benedettino e docente presso l’Istituto di Liturgia Pastorale di Santa Giustina di Padova e in altri istituti teologici. Studioso delle radici profonde del rito, Bonaccorso approfondendo e commentando testi di antropologia, teologia, filosofia e letteratura ha la capacità di mettere in dialogo la teologia con le altre scienze.
L’incontro che si è tenuto sabato 12 novembre presso la sede del Consultorio La Famiglia fa seguito a quello tento dalla Educatrice e Poetessa Paola Turroni ed è all’interno di un percorso di formazione aperto a tutti che si concluderà sabato 26 novembre. A partire dal corpo umano si vuole indagare sul complesso legame fra l’essenza e la consistenza, fra l’essere definito anima, spirito e il suo corpo. Al centro di tutto la domanda su quale sia il rapporto di ogni essere umano con il suo corpo. Prendere sul serio questo rapporto è scoprire il vero volto del Dio dei cristiani distruggendo l’idolo che ognuno di noi si è creato. Non è pensabile una fede senza corpo ed è rischioso un corpo senza fede.
Intenso e trascinante è stato non soltanto il robusto intervento iniziale ma anche il duetto tra relatore e pubblico in sala, tutto centrato sulla questione dell’uomo che è corpo nei suoi tanti modi di essere quali l’anima, la coscienza, la mente che erroneamente continuano ad essere considerati come “cose” staccate da esso. Anche il sacro è un’elaborazione del corpo, il suo movimento diventa in quest’accezione religione. Proprio nel cristianesimo il corpo sta all’ inizio (nell’ incarnazione) e poi alla fine (resurrezione), annuncia non la rinascita, non la reincarnazione, ma la risurrezione cioè un modo diverso di essere corpo tanto che il Risorto nelle pagine neotestamentarie non viene riconosciuto da chi precedentemente pur lo frequentava tanto che Gesù deve mangiare e bere, farsi toccare, spezzare il pane per rivelarsi in questa sua evoluzione che è anche la nostra.
Ma fin dall’ inizio del cristianesimo, dal secondo secolo d.C., dopo San Paolo che parla di corpo spirituale, i padri della chiesa iniziano la distinzione tra corpo come fondamento di salvezza (incarnazione, resurrezione, sacramenti) che viene utilizzato molto positivamente nel loro registro religioso, e corpo come fonte di negatività e peccato, quando il registro è morale.
In particolare ad essere condannate sono le passioni, le emozioni, mentre oggi in particolare le scienze cognitive asseriscono che noi pensiamo perché c’è un’elaborazione emotiva, ossia la coscienza è legata al pathos. Più i valori sono legati alla sfera emotiva più sono radicati nella coscienza quindi non ci possono essere amore o relazione se sono solo pensati, anche l’amore e la relazione con Dio. Il corpo diventa così la cifra antropologica della trascendenza e su questo anche la religione cristiana, che da duemila anni celebra nei sacramenti la passione per e del corpo del suo Signore, sta percorrendo la via lunga che porta al mistero dell’essere in Dio.
Di seguito diamo voce ad alcuni operatori e consulenti del consultorio dai quali si intuiscono le conseguenze e gli orizzonti di quanto abbiamo ascoltato. Dice Michela: «Dalle parole scritte all’incontro con Bonaccorso ho tratto qualcosa sul legame del corpo con l’anima, sulla concretezza del corpo, sul legame con ciò che non conosciamo di noi. Ha descritto l’uomo come carne. L’incontro con il corpo nostro per l’incontro con l’altro, con il corpo dell’altro. Senza il corpo la mente dubita di tutto ciò che è altro. Rifletto così anche sulla questione del proprio corpo come alterità, quello che il corpo ci rimanda come estraneità, non appartenenza. Ripensando alla nostra adolescenza abbiamo il momento culmine dove il corpo è davvero un estraneo che nasce in noi e deborda e ci accompagna e non sappiamo se guardarlo o meno, se accoglierlo nella sua stranezza di forma dirompente, se lasciarlo cadere evitando di prestare attenzione e cura a ciò che ci ha mostrato. Qualcosa di vitale che non può stare in silenzio. Questo è il corpo. Qualcosa che non può stare in silenzio».
Ma quali indicazioni vengono al consultorio che per sua natura vuole accompagnare e sostenere il cammino della coppia e delle persone all’interno della relazione familiare?
Michela rilancia: « Mi ha colpito molto quando Bonaccorso ha detto «si sposa la differenza non l’identità dell’altro». Spesso vogliamo che l’altro (in questo caso nella relazione tra uomo e donna, ma non solo) sia come noi per evitare i conflitti, invece sono proprio queste differenze dell’altro (imprescindibili) che ci evocano (ci fanno scoprire) qualcosa in noi e ci consentono di conoscere l’altro (e forse anche noi – lo straniero in noi di cui parla anche la psicoanalisi) più profondamente (anche inteso in senso spirituale. Ci siamo sentiti dire che «nel matrimonio c’è già una separazione, un divorzio interno … i conflitti sono normali … ciascuno deve accettare di essere uno sconosciuto che incontra sconosciuti»
È molto importante davanti ad ogni scelta «l’interpretazione dell’essere umano come corpo dal momento del concepimento fin dopo la morte. Il corpo resta tale ma sempre in divenire, non siamo mai la stessa persona: credo che sia proprio questa l’essenza dell’essere umano. La vita è sempre in divenire mai fissa e statica in quanto ci consente in ogni circostanza di metterci in discussione, cambiare, scoprire qualcosa di nuovo.» E tutto questo – chiosa Stefania – senza dimenticare che «i valori non si trasmettono insegnandoli ma testimoniando perché è con “l’emozione” che si apprende quello che è significativo».
A conclusione riportiamo una breve citazione tratta da un libro di Bonaccorso: “ “Il dilemma umano tra Dio e il corpo attraversa i secoli, ma è un dilemma tutto umano perché Dio, sull’argomento, ha pronunciato la sua Parola definitiva facendola diventare carne e risuscitandone il corpo. Non si è limitato a difendere l’importanza di una sua creazione, ossia del corpo e della carne, ma si è fatto carne e, dopo aver sperimentato la morte, è risorto come corpo. È l’annuncio del natale e della pasqua, dell’incarnazione e della risurrezione. In Gesù Cristo, Dio non parla dell’uomo con discorsi eloquenti, ma è un corpo che parla all’uomo con amore gratuito. Allo stesso modo, il discepolo di Cristo non parla di Dio con tratti elaborati dalla mente, ma è un corpo che parla a Dio col soffio della bocca, con le mani alzate, con gli occhi spalancati. Prima dei discorsi eloquenti e dei trattati elaborati, prima di una parola che argomenta su Dio, sull’uomo e sul corpo, c’è una parola che dice Dio col corpo, una parola che è un corpo per dire Dio, anzi che è il corpo di Dio.” (Il corpo di Dio, vita e senso della vita, Cittadella Editrice p. 5-7) C’è chi alla fine dell’incontro ha detto: « mi ha colpito l’interpretazione del testo sacro come un testo terapeutico». Non vorrei banalizzare questa frase dicendo che il testo sacro è relazione tra diversità apparentemente irriducibili. Non è forse compito di tutti fare favorire l’incontro con l’altro liberandolo dal proprio isolamento?
Ci esorta Papa Francesco: «Tutti siamo chiamati, in questo senso, ad essere “pontefici”, costruttori di ponti. Il nostro tempo richiede comunione nel rispetto delle diversità. Non abbiamo paura della diversità che proviene dallo Spirito».
Don Francesco Pierpaoli