Terzo Quaresimale del Vescovo nella Basilica di San Paterniano

“Questa parola di Gesù sulla croce ci fa entrare nel cuore delle situazioni. Ognuno di noi queste parole può leggerle in storie personali, fisiche, morali, ideali interrotti, fatiche da vivere”.

Con queste parole il Vescovo Armando ha introdotto il terzo Quaresimale lunedì 25 marzo nella Basilica di San Paterniano arricchito dal coro “Jesus spes” Istituto Diocesano di Musica Sacra diretto dal M° Federico Raffaelli. All’organo Ettore Molteni, Luca Grandicelli, Andrea Boccato organo

Il Vescovo, nella sua meditazione, si è soffermato sul grido di Gesù “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?” che è il grido dell’umanità, di chiunque si pone il problema della responsabilità. “Credo che ognuno di noi – ha sottolineato il Vescovo facendo riferimento al Salmo 22 – qualche volta, abbia gridato questo salmo. Questo grido di Gesù è il collasso di ogni senso dell’esistenza, come se l’intima essenza e il centro della vita di una persona fossero stati risucchiati via, lasciando l’esistenza stessa sospesa su un vuoto. Qualcuno che amiamo – ha proseguito il Vescovo – può trovarsi in situazioni drammatiche, davanti alla morte nel fiore degli anni, o possiamo perdere un figlio. Qualcuno può chiederci: “Perché? Perché? Dov’è Dio ora?” E noi possiamo essere terrorizzati nel renderci conto che non abbiamo nulla da dire. Allora tutto ciò che possiamo fare è stare là e confidare che anche Dio sia là”.

Il Vescovo si è poi soffermato, in maniera più approfondita, sul Vangelo di Marco (Mc 15, 33-36). “Marco ci presenta una narrazione in cui i fatti della passione del Signore emergono nella loro cruda realtà. Nulla viene sminuito del contesto di brutale violenza e di umiliante disprezzo in cui Gesù è gettato nei momenti conclusivi della sua vita terrena. Quel Gesù che lungo tutto il racconto evangelico avevamo visto accanto alle prove degli uomini, mentre condivideva sofferenza e dolore di tanti, ora si trova egli stesso colpito da feroce crudeltà, provato e schiacciato.  E quando si giunge sul Golgota emerge, nel racconto di Marco, come il Signore sia costretto a subire tutto ciò nella più completa solitudine. Il grido su cui questa sera siamo invitati a soffermarci – ‘Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?’ – costituisce il culmine di tale solitudine: abbandonato dagli uomini, ora Gesù appare abbandonato anche da Dio.  Questa identità, rivendicata da Gesù e riconosciuta dal centurione, lungo tutto il racconto della crocifissione si trova a essere contrastata, si potrebbe dire perfino contraddetta, dall’atroce tragedia che si sta consumando sul Golgota. La trascendenza divina di Gesù sembra essere smentita dalla sofferenza che lo opprime e dalla morte che ormai si profila in modo ineluttabile su di lui, inchiodato alla croce. Qui l’evangelista, o forse già la tradizione da cui attinge, per offrirci un orizzonte di comprensione di quanto accade, fa ricorso a un’altra linea della rivelazione profetica, quella che parla della necessità per l’inviato di Dio di attraversare la prova del sacrificio personale. I primi passi in questa direzione si trovano nel racconto del sacrificio di Isacco, nelle storie di Giuseppe venduto dai fratelli e poi gettato in prigione, nelle vicende di Mosè rigettato dal suo popolo, nelle figure dei profeti perseguitati. Tutta la narrazione della crocifissione in Marco è scandita di tre ore in tre ore. Gesù viene crocifisso all’ora terza, cioè alle nove del mattino e le prime tre ore sono segnate, secondo l’evangelista, dagli insulti e dalle derisioni dei passanti, degli avversari, dei capi dei sacerdoti e da scribi, da due malfattori che erano stati crocifissi con lui; in questi attacchi Gesù era rimasto solo, senza alcun difensore. Ora la sua solitudine si fa, se possibile, più profonda, in quanto anche la natura, la terra sembra allontanarsi da lui piombando nel buio. È una tenebra che dura per tre ore, fino alla morte del Signore. Questa quarta parola  – ha concluso il Vescovo – deve toccarci dentro, coltivare in noi il senso della Settimana Santa. Questo grido ci fa capire che Lui non soffre apparentemente, ma realmente e la sua sofferenza non tocca solo la carne ma anche il suo spirito. Le sue parole non sono parole di disperazione o di accusa contro Dio: quello del giusto e di Gesù è un grido di angoscia. Gesù sulla croce soffre nel suo cuore fino a provare angoscia. “Paura e angoscia”. Già, Marco ci aveva avvertito, Gesù aveva provato fin dal Getsemani.  Vivendo questo abbandono, Gesù raggiunge fino in fondo l’assunzione del peccato degli uomini, che consiste appunto nella lontananza da Dio”.

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