Pensiamo che le parole prete e amico siano le due parole che Lino Ricci, come ha voluto scrivere sul suo manifesto e ricordino, ha manifestato con la sua vita.
Un prete: nonostante tutto! Nonostante il suo carattere, i cambiamenti.
Il prete che accoglieva in casa sbandati di vario tipo senza chiedere assicurazioni preventive di sorta; il prete che rientrava all’una di notte da una riunione del comitato pro-ospedale e che si alzava alle quattro della mattina per andare a preparare la chiesa o l’omelia per la messa del giorno dopo. Memorabili i suoi fogli di quaderno sui quali scriveva le sue omelie. D’altra parte sappiamo bene quanto don Lino ci tenesse alla liturgia. La sua intera vita è stata un gesto liturgico consumato in piena consapevolezza della sua magnificenza e insieme nell’umiltà più autentica del povero Cristo.
Specialmente in questi ultimi anni di malattia, mentre se ne stava pressoché assente nella sua poltrona, ci è capitato spesso di guardarlo e di domandarci quasi con rabbia: ma che vuole ancora il padreterno da quest’uomo? Oggi ci è chiaro che il padreterno non voleva nulla da lui. Gli consentiva semplicemente di fare un altro piccolo miracolo per noi, a cui siamo certi don Lino teneva molto: quello di suscitare attorno a sé la vicinanza, l’affetto, la dedizione e l’amicizia dei suoi confratelli.
Il viaggio a Taizè nel 1972 rappresentò nel suo essere prete uno spartiacque. Una volta ci scrisse: «Il posto o il ruolo che devo avere nella Chiesa, chi deve determinarlo, io o il Signore? Puzza di passività, di “quietismo”, di fideismo il mio modo di vedere? Spetta a me fare a “gomitate” per essere valorizzato? Nessuno però mi ha tolto la libertà di spirito, la facoltà di dire la mia opinione, la possibilità di lavorare senza risparmio e senza interesse personale. Dopo Taizè. Se poi di me non si sono accorti né vescovi, né Papa, non me ne dispiace. Mi preme solo che se ne sia accorto il buon Dio …».
Un amico, perché la sua casa era sempre aperta. Un tavolo lungo, grande, quello nella sala di san Marco, dove era normale incontrarsi per il “Larillalà” e prolungare quella fraternità che la messa di Natale o quella di Pasqua accendevano nel cuore dei giovani. San Marco era la seconda casa di tutti e tra quelle pareti tutti abbiamo lasciato e preso qualcosa: lacrime, abbracci, consolazione, di notte o di giorno. Don Lorenzo Milani ha scritto nella sua ultima lettera ai ragazzi di Barbiana: «Ho voluto più bene a voi che a Dio, ma ho speranza che lui non stia attento a queste sottigliezze e abbia scritto tutto al suo conto». Grazie don Lino, prete amico: un prete che con i piedi per terra, in mezzo alla gente, ha saputo sempre farci vedere altro e un prete che con la testa sempre alta e la schiena dritta ci ha aiutato a vedere oltre la siepe, anche se basso di statura.
Sergio Belardinelli e Francesco Pierpaoli