Domenica 16 febbraio si è tenuta l’Assemblea Elettiva dell’AC Diocesana

L’assemblea elettiva dell’AC è un rito che si celebra ogni triennio per votare il nuovo consiglio diocesano dell’associazione.  E’ uno degli ultimi passi per arrivare ad avere i referenti dei settori e la terna di nomi da sottoporre al Vescovo per il nuovo Presidente.
Domenica 16 febbraio si è svolta dunque l’assemblea nei locali della parrocchia di Torrette dove i nuovi responsabili delle parrocchie si sono dati appuntamento ed hanno votato una rosa di nomi che saranno convocati per verificare la loro disponibilità.
Un’occasione per incontrare di nuovo volti amici, e anche per conoscere e iniziare con i nuovi responsabili delle parrocchie. I momenti più istituzionali e formali sono stati alternati da parole e pensieri significativi. La mattina il Vescovo ha tratteggiato le dimensioni del laico appassionato, toccando i temi della responsabilità e santità, riconoscere i segni dei tempi (tutti i tempi), e l’importanza di essere credibili, ricordando figure di riferimento come Vittorio Bachelet e Paolo VI. Poi la presenza di Lorenzo Felici è stato il segno del legame con la dimensione Nazionale. Ci ha ricordato l’importanza di favorire processi, anche se non si vedono i risultati subito, con impegno, semplicità e coraggio.
Atteso il discorso di Laura Meletti, la Presidente uscente, che ha terminato il suo incarico con due mandati alle spalle, con immagini di associazione, di Chiesa, di legami, di un servizio che si innesta nella vita personale: un tuffo e un’immersione che vale sempre la pena compiere.
Un saluto particolare anche a don Gianfranco Ciccolini, da diciotto anni assistente unitario diocesano che ha concluso il suo mandato, e che ha salutato consegnando il racconto della storia del bambù che diventa canale per irrigare.
Giovani, adulti e adultissimi, educatori, da tutte le zone della Diocesi, una immagine di Chiesa che continua a camminare, a starci, accolta con grande generosità ed efficienza a Torrette, che ha messo a disposizione luoghi ma anche il pranzo, e tanto altro.
In attesa del nuovo consiglio, il Vescovo ha annunciato la disponibilità in don Giuseppe Cavoli a svolgere il ruolo di assistente unitario.
Ora facciamoci guidare da parole sagge, nei bilanci (anche quelli fatti di numeri) si tenga conto che “è possibile vedere bene solo a condizione di non cercare il proprio interesse in quello che si vede” e che si scrive “con una minuscola bilancia come quelle utilizzate dai gioiellieri. Su un piatto depongo l’ombra e sull’altro la luce. Un grammo di luce fa da contrappeso a diversi chili d’ombra” (Christian Bobin in Resuscitare).

 

Pubblichiamo, di seguito, il testo integrale del discorso della presidente uscente di AC Diocesana Laura Meletti

Per scrivere queste poche righe ho avuto il classico blocco dello scrittore, sono stata diverse sere con il PC aperto, qualche appunto qua e là, ma senza riuscire a mettere nero su bianco…il nulla…sapevo cosa non volevo dire…

Allora inizio dalla cosa più scontata,i ringraziamenti.
Grazie a tutti per la fiducia , la stima immeritata e la vicinanza.
Grazie a Don Gianfranco, perché anche nelle incompresioni o divergenze, mi ha sempre aiutato a tenere il focus su Gesù, sulla scrittura, sulla preghiera e non sulle miserie umane.

Grazie a chi ha condiviso con me l’impegno e la responsabilità, perché mai mi sono sentita sola, sempre spronata, sempre supportata.

Qui l’immagine dell’associazione come una famiglia è inflazionata e invece mai come quest’anno credo sia quella giusta. In famiglia, lo sappiamo bene, non è sempre tutto rose e fiori, però ci sono delle responsabilità, dei ruoli, un fine comune, un’intensità nei legami che fanno affrontare le situazioni, prendere decisioni, contribuire nella costruzione. Ognuno per il suo pezzetto.

Grazie ai miei genitori, che nemmeno se lo immaginano oggi di essere citati, perché è grazie a loro,che mi hanno instradato alla fede credendoci un po’ “a modo loro”, che ho mantenuto un senso di realtà,la capacità di riposizionare le cose in una scala di priorità…quando con la loro domanda “ma ne vale veramente la pena? Ma almeno ti pagano?” mi hanno fatto cercare e ricercare e alla fine trovare ancora di più le motivazioni e il senso per rispondere: certo che ne vale la pena!

Da loro ho imparato la disponibilità incondizionata, la casa aperta a qualsiasi ora, il rispetto per la nostra storia, per chi è più grande di noi e prima di noi ha lavorato tanto.

Grazie a Pier e a Matteo: per la tanta pazienza, per aver accettato le mie assenze per l’Azione Cattolica, per la costante comprensione e condivisione, Per avermi accompagnato. Posso affermare che è stata una presidenza di famiglia. (Matteo sa nomi e cognomi di tutti i componenti della presidenza, e ogni tanto parla di Giorgio LaPira come se fosse il suo amichetto dell’asilo!)

3 anni fa, all’assemblea a Pergola,ho usato la metafora di una bella tazzina di caffè per descrivere l’AC… e questo mi è costato caro… tanti tanti caffè in questi anni, un giro non indifferente di bar, caffè pagati, e pressione alta… oggi ho paura a usare altre metafore… è un attimo che la situazione sfugga di mano!

Cerco di regalarvi qualche pensiero, mio, dopo 6 anni da presidente, e altri 9 precedenti trascorsi in presidenza diocesana, qualche riflessione che vuole solo aggiungere qualcosa di personale ai resoconti dei settori e al documento assembleare, dove troviamo tutto quello che è la nostra AC e quello che potrà essere con l’impegno di tutti.

– Il primo concetto è semplice: l’impegno non è per supereroi.

l’impegno si incastona nelle nostre vite.
E così è stato per me in questi anni.
Non si può aspettare il momento giusto, non si può aspettare la situazione ideale. Non c’è un vero e proprio momento favorevole. E’ già ora il momento favorevole. Già ora, già qui.
A quelli che pensano che quando ci si deve laureare, o ci si deve sposare, o quando arriva un bimbo, o quando ci si imbatte in qualche malattia, allora sarebbe il caso di pensare per sé, di pensare alla propria vita e alla propria famiglia, di ritirarsi e starsene a casa propria senza troppi impicci, di godersi un po’ di intimità e di vivere le cose in maniera personalistica,
a tutti coloro che sono convinti di tutto ciò…
oggi dico, e spero che in questi anni abbiano parlato più i fatti delle mie parole, che quando ci si spende per l’Altro con la A maiuscola e per gli altri, non si perde nulla. Nulla va perduto.

Che la responsabilità associativa è stata per me una scuola di vita, una opportunità di cui sarò grata per sempre, il regalo più bello che potevo fare a mio figlio. Che per me vivere l’arrivo di Matteo nel 2015 e la malattia nel 2018/19, senza rinunciare all’impegno, è stato una grazia e non un peso!
Che poi il rischio di quando si vivono i momenti bellissimi o bruttissimi della vita (e metto tutti gli issimi perché in questo non abbiamo avuto mezze misure) è quello di chiudersi e pensare che questa cosa sta succedendo solo e unicamente a me, solo a me. E invece è salvifico relativizzare e non assolutizzare, che non significa sminuire, ma non smettere mai di vedere anche l’altro che ti sta accanto, la sua storia le sue fatiche e non chiudere mai il confronto. 

Ho maturato la certezza che non si può vivere a compartimenti stagni.

A separare sono buoni tutti, a tenere insieme servono cristiani. A tenere insieme l’organizzazione e la Grazia, la contemplazione e l’azione, la relazione e la diversità, il morire e il risorgere, la persona e la comunità, il paese e il mondo, il carisma e l’istituzione.

Ho imparato che ci si salva solo insieme, solo tenendo insieme. Maledettamente difficile, meravigliosamente bello.

– Qui si aggancia il secondo concetto che vorrei sviscerare:

La persona al centro della cura, la cura delle relazioni, è tutto ancora lì, da sempre e per sempre. E ripeterlo non sarà mai banale e ripetitivo.

Leggevo nell’estate del 2017 queste parole nel profilo fb del presidente diocesano di Nola, Marco Iasevoli, conosciuto ai campi nazionali. Le ho tenute custodite per elaborarle e regalarvele. ogni tanto me le andavo a rileggere.

La cura delle relazioni è stata davvero la sfida più difficile, il terreno più complesso in questi anni.

La cura della persona- cura che, se autentica, si sente nello stomaco- è il plus dell’AC. Fa’ in modo che le persone sentano il tuo interesse sincero, gratuito e responsabile, e avrai reso un servizio incommensurabile. Fa’ che comprendano che quella tua cura umana è solo l’infinitesima parte e un piccolo specchio della cura di Dio, e avrai costruito i binari per un cammino lungo e proficuo. Avrai aperto la strada all’infinito di Dio. Se maturiamo quella intensità evangelica che ci fa mettere davvero la persona al centro, saremo realmente significativi nella vita di tanti, e daremo un senso alla nostra stessa esistenza.

Su questo non possiamo mai dirci arrivati.

c’è sempre da imparare e su questo ci dobbiamo sempre misurare e verificare.
– il terzo pensiero lo prendo in prestito da un artista:
Pochi giorni fa sono stata al concerto di Nicolò Fabi, ha usato un’immagine che mi è piaciuta e che vi ripropongo personalizzandola un po’:

Ci sono momenti in cui bisogna buttarsi.

Siamo tutti, nessuno escluso, su quello scoglio.

Buttarsi è un rischio, possiamo immaginare che sarà bellissimo, possiamo immaginare come sarà il tuffo e la sensazione dell’acqua quando la toccheremo, possiamo immaginare la temperatura dell’acqua o il rumore che sentiremo, possiamo sentire l’adrenalina e l’entusiasmo…ma finché non ci decideremo di collegare il cuore, il cervello  e il corpo e non faremo quel piccolo spostamento di peso, non sapremo mai del tutto come sarà.

Possiamo guardare i tuffi degli altri, commentarli, ammirarli, invidiarli…
ma finché non proveremo a fare il nostro, non sapremo mai che cosa ci aspetta veramente.
Quel piccolo spostamento di peso, quel cambiare il baricentro è un allenamento quotidiano per un cristiano, è un accettare il rischio, è un metterci tutto, tutto se stessi.

In questo scoglio possiamo scegliere di non essere soli e di non  lasciare soli gli altri, a volte basta la mano di qualcuno per incoraggiarci, un volto amico, un pensiero felice,un sorriso rassicurante, una bella musica,  … insomma una buona compagnia ci da quella spinta in più per tuffarci e immergerci.

E allora con il cuore pieno di gratitudine, ringrazio il Signore di essere qui, di essere con voi, di condividere questa storia di santità laicale,
e da oggi mi preparo per tanti altri tuffi!