Celebrata dal Vescovo Armando la Santa Messa di Natale

“Natale è il giorno del coraggio”

“Natale è il giorno del coraggio, il coraggio di Dio prima di tutto. Abbiamo sentito nel Vangelo di Giovanni “La luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta” ed ancora “Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di Lui, eppure il mondo non lo riconobbe. Venne tra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto”. Ecco il coraggio di Dio, la Sua volontà di calarsi in una storia che ha disperato bisogno di Lui, eppure gli resiste e si confina nello spazio del rifiuto”.

Con queste parole il Vescovo Armando ha introdotto l’omelia della Santa Messa, venerdì 25 dicembre Santo Natale, presieduta in Cattedrale e trasmessa in diretta su Fano Tv. “Ecco il coraggio di Dio – ha proseguito il Vescovo – il coraggio di guardare con intensità di amore al nostro destino anche quando noi, con sufficienza, volgiamo altrove lo sguardo. Al cammino di Dio che viene incontro a noi, che diviene Emmanuele, il Dio con noi, risponde la nostra strada che si allontana dai propri smarrimenti e dalle proprie solitudini per diventare a Lui risposta e sequela. Ci vuole coraggio ad essere credenti, ad essere cristiani. Ci vuole coraggio non a compiere saltuariamente qualche vago gesto religioso od a provare qualche generico sentimento religioso, ma a credere fino a fidarsi di Dio più che di se stessi. Ci vuole coraggio a rimanere credenti, cioè a decifrare con l’alfabeto dell’amore anche la solitudine, l’amarezza, il dolore. Natale è il giorno del coraggio anche per noi, il coraggio di credere ed anche il coraggio di amare. Non è facile stare come Chiesa, come comunità cristiana dentro la storia, dentro questo tempo e questa umanità che ci è provvidenzialmente toccata in sorte. E’ più facile fuggire. Ci vuole il coraggio di amare questo tempo, la gente così com’è, il coraggio di amare la vita con le sue danze ed i suoi gemiti, ci vuole soprattutto il coraggio di amare Gesù Cristo ed il Suo Vangelo più di tutto, più della nostra stessa pelle. Ecco questo giorno del Natale, forse smarrito tra tanti messaggi che ci frastornano, forse soffocato sotto il peso di troppa esteriorità. Natale: il giorno del coraggio, il coraggio di Dio che si “raggomitola” nel seno di Maria, che si fa piccolo nel nostro presepe, per venirci incontro e consegnarsi nelle nostre mani. Che la grazia di questo giorno ci soccorra, ci rialzi, ci incammini serenamente sulla strada della speranza. Il Natale è veramente Natale se disponiamo i nostri cuori, anzitutto a lasciarsi ancora stupire dall’amore che ama e amando, dall’amore che svela se stesso, denuda se stesso, impoverisce se stesso pur di avvolgere tutto quello che ama di una luce insormontabile. La luce improvvisa dall’alto ha lacerato l’oscurità della campagna palestinese, una voce inattesa, la voce di un angelo, ha rotto il silenzio opaco che avvolgeva ogni cosa e propiziava il sonno di poveri pastori affaticati e un po’ emarginati. Una luce dal cielo e una voce sovrumana: questo è ciò che di insolito si è manifestato a Betlemme due millenni fa e più e ha cambiato la storia del mondo.  Il significato più semplice – ha sottolineato il Vescovo nell’omelia –  e il guadagno più prezioso del giorno di Natale è appunto quello di farci recuperare la memoria, ritornare alle origini. La festa odierna ci ridona la memoria pungente e viva di un evento è davvero inedito, davvero rivoluzionario, davvero redentivo per l’uomo. Noi cristiani, noi che celebriamo il Natale, siamo essenzialmente un “popolo che ricorda”, un popolo che però vive in mezzo a un’umanità smemorata. E’smemorata perché è tutta presa e quasi ossessionata dalla preponderanza di ciò che è attuale; attuale, quindi effimero e senza un consistente futuro. Proprio per questo, noi che celebriamo il Natale riceviamo l’impegnativa missione di salvare i nostri contemporanei dalla sventura della dimenticanza con la nostra testimonianza, col nostro annuncio, con la nostra gioia. Questa sia oggi la grazia che tutti dobbiamo implorare dal Padre: che riaccenda in noi la “memoria di Cristo”; la memoria di colui che “era in principio presso Dio, e tutto è stato fatto per mezzo di lui”; di colui che è “la luce vera, quella che illumina ogni uomo”; di colui che è il Verbo eterno che per noi “si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” come abbiamo ascoltato dalla stupenda pagina iniziale del vangelo di Giovanni. La luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta: questo è l’annunzio che si rinnova in ogni Natale. La luce si fa spazio, irrompe, domina nelle tenebre oggi come allora. Quella luce che più di duemila anni fa ha vinto il buio di una gelida Betlemme, oggi deve spuntare nel cielo della nostra storia, contraddittoria e ricca di opportunità. Però in questo giorno santo dobbiamo consegnarci una missione. Tocca a noi raccontare e portare uno spiraglio di luce nella storia che abitiamo, tocca a noi far spuntare la luce nel cuore di chi si sente solo, abbandonato e incompreso, tocca a noi raccontare che il Signore illumina ogni angolo della nostra vita e trasforma la tristezza in gioia, tocca a noi aiutare i nostri fratelli e amici a riconoscere la luce vera da quella illusoria, tocca a noi cantare, come fecero gli angeli, la nascita di Dio in questa storia. Il rischio di non riconoscere la presenza di Dio è altissimo. Il Vangelo di Giovanni ci ricorda che i suoi non lo hanno accolto, eppure lo cercavano. Quel Dio che mette scandalosamente la sua tenda fra di noi continua a destare smarrimento, incomprensione e continua a dirci che non si vergogna di abitare la nostra carne.  Un’immensa carica di coraggio il Natale infonde in quanti, almeno un poco, cedono alla sua antica seduzione. Nessuno di noi quindi si perda d’animo: troveremo. Purché non ci aspettiamo che siano la potenza, la ricchezza, il sapere mondano a dare alla nostra ricerca appassionata e incerta la luce, la liberazione dal male, la speranza. Non sono queste le strade sulle quali arriva il Signore a salvarci: “Troverete un bambino avvolto in fasce che giace in una mangiatoia”. Questa è la strada di Dio. L’esultanza, che in questi giorni fiorisce nei nostri cuori, nelle nostre città, è anche la felicità di essere stati conquistati dalla verità del Vangelo, l’incanto di sapersi assimilati al Figlio di Dio fatto uomo e inseriti vitalmente in lui attraverso il battesimo, è la lieta fierezza di appartenere alla santa Chiesa Cattolica cioè al “popolo che Dio si è acquistato, perché proclami le opere meravigliose di lui che ci ha chiamato dalle tenebre alla sua mirabile luce” come si esprime entusiasticamente l’apostolo Pietro. Dovremmo riconoscere la nostra impareggiabile fortuna, la fortuna di essere cristiani vale a dire di aver ottenuto misericordia e di essere stati raggiunti, trasformati, radunati in una realtà nuova e imperitura da quel Bambino che oggi contempliamo nato a Betlemme. Signore Gesù in questo mondo strano lacerato da guerre e da odio senza fine dona a ogni creatura il tuo abbraccio di pace”.