Mercoledì 17 febbraio, Mons. Ugo Ughi ha presieduto, in Cattedrale, la Liturgia della Parola con il rito delle Ceneri.
Riportiamo, di seguito, il testo integrale dell’omelia.
Un’immagine classica della Quaresima è il deserto o, meglio, il cammino attraverso il deserto per raggiungere la “terra promessa”, per partecipare cioè pienamente ai santi misteri della Pasqua di morte e di risurrezione del Signore Gesù. Un cenno allo scopo della Quaresima lo troviamo nella seconda lettura, là dove San Paolo scrive che “Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui potessimo diventare giustizia di Dio”. Impressionante! Davanti a noi si eleva il mistero di Gesù crocifisso che dona se stesso per rendere partecipi noi peccatori della sua vita divina. E’ necessario fin da oggi volgere lo sguardo credente alla meta dell’itinerario quaresimale: la Pasqua di Gesù, la nostra Pasqua!
Nello scorso anno, probabilmente per la prima volta, abbiamo fatto un’esperienza particolarmente drammatica del deserto quaresimale. Abbiamo rischiato di trovarci soli e smarriti. Anche quest’anno non mancano limiti dovuti alla pandemia, per cui siamo chiamati a puntare più decisamente sull’essenziale del nostro itinerario di fede, di conversione e di servizio pastorale.
Quello che iniziamo è comunque un percorso non individuale, ma ecclesiale, come ci ricorda il profeta Gioele: “Radunate il popolo”, tutte le categorie di persone, quelli che risponderanno evidentemente, “con i sacerdoti, ministri del Signore” in prima fila, “a piangere tra il vestibolo e l’altare” a motivo delle infedeltà proprie e di tutto il popolo. Pur rispettando il distanziamento fisico, ci sentiamo spiritualmente vicini gli uni agli altri per rispondere insieme all’invito accorato del Signore: “Ritornate a me con tutto il cuore”. Perché è questa la prima conversione che dobbiamo compiere come singoli e come presbiterio, come Chiesa: tornare al Signore, nostro Dio, “perché egli è misericordioso e pietoso, lento all’ira, di grande amore”.
Noi siamo abituati a chiederci e a chiedere: “Che cosa dobbiamo fare?”. Cambiamo domanda; poniamoci prima l’interrogativo molto più stringente e impegnativo: “ Per chi sto/stiamo vivendo?” – “Per chi sono chiamato/siamo chiamati a vivere?”. Viene così limitato il fare per puntare all’essere, per allargare il cuore, aprire la mente e fare nostro l’occhio e il cuore di Gesù che vede le cose e affronta la vita in modo diverso da come vediamo e facciamo noi.
Questa Quaresima è “tempo favorevole”, “giorno di salvezza”, “occasione di grazia”, per riconciliarci con il Signore e per ritrovare e rinsaldare legami fraterni, autentici, fra di noi e con tutti. “Lasciatevi riconciliare con Dio”, ci ha esortato San Paolo, non dando per scontato di esserlo già. E la prova concreta di un rinnovato e approfondito rapporto con il Signore, lo sappiamo bene, è data dalla qualità delle relazioni sociali, comunitarie e con il creato.
Gesù, nel brano evangelico di Matteo, ci mette in guardia dall’esibizione, dal centrarci sul nostro “io” invadente, ingombrante e talora asfissiante. Perciò accogliamo e facciamo nostro l’invito all’ascolto che caratterizza il cammino di Chiesa, che stiamo provando a fare. Sappiamo che l’ascolto è la caratteristica propria del popolo di Dio: Israele è fedele alla sua vocazione, quando ascolta, dice l’AT. E Gesù ci esorta a verificare quello che ascoltiamo e come ascoltiamo.
Dall’ascolto nasce la preghiera, quella che sgorga dal cuore di figli che si intrattengono con il Padre che vede nel segreto. Le modalità della preghiera sono varie, ma tutte devono esprimere l’apertura umile e fiduciosa alla paternità di Dio.
L’ascolto, per essere autentico, richiede capacità di accoglienza del fratello e della sorella così come sono, non come vorremmo che fossero. Perciò è necessario uno stile di gratuità che Gesù dice essere proprio del discepolo, anche quando fa l’elemosina: “Non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra”.
L’ascolto esige poi una grande capacità di silenzio, perché la voce del Signore non sia soffocata da tanti suoni e rumori che invadono la nostra mente e il nostro cuore, e soprattutto perché Dio normalmente parla nel “sussurro di una brezza leggera”, come ad Elia sul monte Oreb (1Re 19,12). Ecco allora il digiuno, non solo dal cibo o da tante cose che zavorrano la nostra persona e la nostra vita, ma anche, e forse in primo luogo, da parole che non edificano, che giudicano con eccessiva severità, che mettono qualcuno in cattiva luce, che manifestano, per dirla con la lettera agli Efesini, “asprezza, sdegno, ira, grida e maldicenza con ogni sorta di malignità” (4,31). Poi ciascuno di noi e ogni comunità cristiana punterà su alcuni aspetti che vengono ritenuti importanti per un reale e profondo cambiamento di mentalità e di vita. A questo scopo potremo utilmente valorizzare il testo che il Vescovo ha preparato per noi per questa Quaresima e che ci sarà distribuito al termine della celebrazione.
Siamo grati al Signore che ci offre ancora questo tempo di misericordia e di grazia, “segno sacramentale della nostra conversione”, come dice la colletta tradizionale della prima domenica di Quaresima. In particolare, facciamo nostra la preghiera del giovane Salomone che chiese al Signore “un cuore capace di ascolto”, per alimentare la nostra spiritualità e per esercitare efficacemente il nostro ministero pastorale.