Per due anni ostaggio dei Jihadisti

Il Centro Missionario ha incontrato padre Maccalli

A quasi un anno dalla sua liberazione, incontriamo padre Pier Luigi Maccalli presso il monastero delle suore Carmelitane a Sant’Andrea in Villis: “sono qui di passaggio e ho voluto fermarmi per ringraziarle, perché so che mi hanno sostenuto nella preghiera”.

La vicenda di padre Maccalli è nota: nato a Crema, ordinato sacerdote nel 1985 e poi la missione, con la Società delle Missioni Africane, il 17 settembre 2018 è stato rapito mentre si trovava in Niger ormai da diversi anni, nella missione di Bomoanga. “Lavoravo con piccole comunità di cristiani sparse in un territorio vasto un centinaio di chilometri, sapevamo che in Mali c’erano problemi, ma non ci aspettavamo un attacco, il Mali dista migliaia di chilometri”.
E continua “La sera che mi hanno rapito stavo in casa, i rapitori non sapevano chi fossi e cosa facessi di preciso, ero un bianco e stavo in un posto isolato: un facile bersaglio. Mi hanno preso così come ero, in pigiama e ciabatte, un lungo viaggio in moto, poi in canoa sul fiume Niger e infine il deserto. Non sapevo dove fossi di preciso, i primi mesi ero completamente solo, avevo solo un telo che mi riparava dal sole, e non sapevo di preciso cosa stesse succedendo. Dopo mi hanno spostato e messo con altri ostaggi. Le giornate erano lunghe, calde, avevamo solo l’ombra di un albero per ripararci, ai piedi delle catene che ci toglievano solo per poco tempo all’alba e al tramonto, per sgranchirci. Pregavo, mi sono fatto un rosario con la stoffa dei teli che ci avevano dato per coprirci, e dicevo la messa, non avendo pane e vino, offrivo me stesso e il mio cuore: le uniche cose che avevo. I rapitori non gradivano che pregassi e cercavo di non farmi notare o allontanarmi un poco, con loro ho cercato di mantenere un rapporto umano, dialogo: missione è umanizzazione. Ho anche spiegato loro il lavoro che facevo in missione, la promozione umana, le scuole, distribuire medicinali, l’attenzione alle persone. Inizialmente mi pesava il fatto di essere lontano dalla mia missione e dalla mia gente, ma poi ho capito che la missionarietà va al di là di quello che facciamo, la missione non è solo fare, ma anche lasciar fare a Dio, in quei due anni di prigionia Dio ha lavorato nella gente attorno a me, e in me, cambiando il mio modo di vedere le cose, il mio modo di affidarmi a Lui. Il mio cuore non era in catene. Il deserto, con le sue lunghe notti stellate, mi ha fatto tre regali: comunione, silenzio e scoperta dell’essenzialità. Comunione, perché mi sono sentito unito nella sofferenza a tante vittime innocenti di ingiustizie. Silenzio, quel silenzio che ti scava dentro e ti permette di vedere la tua missione con altri occhi, la preghiera del cuore non è fatta solo di parole ma anche di lunghi silenzi che fanno spazio a Dio. Essenzialità, che ho scoperto nella relazione con l’altro, la cosa che mi è mancata di più: Dio è famiglia, comunione, libertà”.

L’8 ottobre 2021, a un anno della sua liberazione, uscirà un libro dove il padre Maccalli racconta di suo pugno la sua storia, edito da EMI, si intitola “Catene di libertà”.

Questo incontro si pone alle porte dell’OTTOBRE MISSIONARIOcliccando qui è possibile accedere al materiale, a disposizione delle parrocchie e comunità cristiane per riflettere, per l’animazione missionaria e la preghiera di questo mese missionario.
Le proposte diocesane, saranno rese note nei prossimi giorni.

Filippo Bargnesi
segretario CMD