In questi giorni in cui il Terzo Settore è chiamato a partecipare alla costruzione del piano sociale di zona attraverso tavoli di confronto, come Caritas diocesana ci sta a cuore la situazione delle persone che vivono in condizioni di marginalità estrema. Per questo ci stiamo attivando per: poter adeguare a norma di legge e mettere a disposizione strutture di accoglienza temporanea per nuclei e soggetti in difficoltà; provare a rafforzare la tutela sanitaria dei senza fissa dimora in collegamento con le Caritas della provincia; potenziare ed integrare lo sportello digitale per far fronte alle esigenze di tutti coloro che non sono in grado di attivare SPID ed altri servizi digitali; sensibilizzare le amministrazioni sul diritto alla residenza per i senza fissa dimora ed i conseguenti servizi. Proprio sulla condizione delle persone senza fissa dimora (poco meno di un centinaio a Fano nel 2021) desideriamo invitare il territorio e le sue componenti sociali ad attivarsi per la costruzione di un progetto partecipato che preveda la realizzazione di interventi di contrasto alla povertà generata dalla crisi pandemica. Per stimolare la riflessione di cui siamo convinti il nostro territorio necessiti, condividiamo il testo di Cristina Tonelli, giovane scrittrice fanese e autrice del libro “Sirena senza coda”, che ci offre un punto di osservazione lucido e deciso a riguardo.
“In un periodo in cui il comune denominatore è una società prospera e in salute, mi colpisce un aspetto di essa tanto radicato quanto erroneamente normalizzato: i senzatetto. Penso che sia uno dei fallimenti più gravi e lampanti delle nostre società moderne. Un tempo forse, complice anche il fatto che in generale non si viveva certo in un contesto opulento, si era più solidali, complici e comprensivi. Oggi si fatica a solidarizzare con l’altro, a provare empatia per coloro che avvertiamo come inferiori o fallimentari. È un pensiero crudo ma realistico. Spesso ciò che più indigna, oltre allo stesso fatto che esistano persone che debbano condurre una esistenza cosi grama, è l’indifferenza tangibile e scontata che regna sovrana di fronte a tali situazioni, che di riflesso ci fanno sembrare invincibili, forti e realizzati.
Incontrare indigenti agli angoli delle città ci fa dileguare celermente provando sollievo per non essere finiti a vivere in tal maniera e, in misura minore, ci fa provare dispiacere e indignazione per l’esistenza di tali situazioni così drastiche. In realtà spesso parliamo di persone che hanno perso tutto per malattia, licenziamenti o divorzi, iniziando una nuova vita fatta di voragini mentali ed economiche. Ciò che fatichiamo a comprendere, è che può capitare a tutti noi: una caduta nella vita che si rivela un domino di perdite sino ad arrivare a stringere il nulla tra le mani.
Siamo una società “grassa” che pecca di faciloneria e lussi più o meno faticati e che dà per scontato agi e comodità. Ciò che non concepiamo è il fallimento, restare indietro rispetto a canoni da noi stessi confezionati.
Il profilo dei senzatetto è falsamente omogeneo, in realtà c’è una variegata dimostrazione di vite intense, complicate e di frequente drammatiche. La loro realtà è un mondo fatto di sofferenza e limiti fisici ma sovente anche mentali, ma anche dignità, umiltà e piena coscienza del sé. Persone restie ad accettare aiuti altrui per il vasto orgoglio che portano con sé, grati assai anche solo di qualche moneta allungata, amanti dei loro animali e pronti a proteggerli da tutto. Da essi dobbiamo imparare la resilienza, la dignità, la pazienza di fronte ad una società-maschera, in cui non tutto ciò che luccica è oro ma anzi, a volte è arrugginito e fossilizzato in canoniche regole di facciata.”
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